Kermesse
L'Italia tiene il fiato sospeso per i risultati del weekend. Poi ci sono le Regionali.
Ciao!
Siamo Pietro e Simone,
e abbiamo volontariamente dedicato il titolo ad una parola mai utilizzata assolutamente da nessuno se non dai giornalisti durante la settimana di Sanremo.
Se guardando questa foto avete pensato “movida”, potreste far parte della categoria. Vi siamo vicini.
Siamo consapevoli di quanto il Festival della canzone italiana abbia monopolizzato i discorsi degli ultimi giorni e di quanto continuerà ancora a farlo; ma per i doveri legati a questa newsletter siamo costretti a ricordarvi che Sanremo non è l’unica kermesse di questo fine settimana: domenica (e lunedì) ci si sfiderà anche per le elezioni regionali in Lombardia e nel Lazio. Se pensavate che Giorgia Meloni fosse un pelo più in difficoltà in questo periodo, immaginate quando vincerà entrambe le regionali, sbaragliando tanto i suoi avversari quanto i suoi alleati.
E quando la sua omonima si renderà protagonista di una rimonta mozzafiato all’Ariston.
E quante macchine come la tua
Dello stesso blu
Ora però basta paralleli tra Sanremo e la politica, almeno per un po’. Già è difficile scrivere questa newsletter mentre stanno uscendo una dietro l’altra le indiscrezioni sulla lite tra Anna Oxa e Madame.
Iniziamo.
Partiamo con una premessa. La prima volta che vi abbiamo parlato delle regionali risale ormai a metà novembre, quasi tre mesi fa. Più volte abbiamo descritto questo appuntamento come un passaggio chiave: perché le due regioni che andranno alle urne sono le più popolose d’Italia, perché sono chiamate in causa le due città principali, Roma e Milano, e perché si tratta del primo voto dopo le Politiche e dopo la formazione del governo, quindi un test importante per capire la salute dell’esecutivo.
Ecco: nonostante queste premesse, il motivo per cui torniamo ad occuparci del tema solo ora risiede in una campagna elettorale completamente anonima da parte di tutte le forze in campo. Più che dimenticabile, del tutto dimenticata.

Questa, ad esempio, è una notizia quasi più interessante.
In Lombardia, ad esempio, la partita per la presidenza della regione si è chiusa sostanzialmente con l’annuncio della candidatura disgiunta tra il Partito Democratico, che sostiene Pierfrancesco Majorino, e Azione/Italia Viva, che invece hanno puntato su Letizia Moratti. Troppo ci sarebbe da dire sulla scelta del PD di scegliere, in maniera quasi chirurgica, alleanze ritagliate su misura per perdere in entrambe le regioni: l’abbiamo già fatto, e non ci dilungheremo oltre. In ogni caso, complice questa divisione nel campo del centrosinistra, i sondaggi non sembrano lasciar prefigurare scenari diversi dalla vittoria dell’uscente Attilio Fontana, sostenuto invece da tutto il centrodestra.
La nostra personale interpretazione del giorno del ricordo.
A quanto pare, quindi, è già il caso di guardare a quello che succederà il giorno dopo il voto.
Uno degli ambiti principali in cui la conferma del centrodestra in Lombardia rischia di rivelarsi un disastro, ad esempio, è quello della sanità, tema di competenza regionale e quindi chiamato prepotentemente in causa. E per capirlo basta guardare a quanto è stato fatto finora.
Nella regione la sanità assorbe quasi il 70% dei bilanci regionali, ma il “modello Lombardia” costruito in questi anni da una regione governata senza soluzione di continuità dal centrodestra è un modello profondamente diseguale. Negli ultimi 25 anni, la privatizzazione della sanità ha eroso uno spazio sempre maggiore al servizio pubblico: ad oggi, dei 238 ospedali lombardi, poco meno della metà (104) sono privati; e dei 5,3 miliardi spesi nel 2019 in prestazioni ospedaliere, circa il 40% era erogato da strutture private. La pandemia di Covid-19, in questo senso, ha messo in luce in maniera evidente le carenze del modello lombardo: fondato su un ristretto numero di eccellenze europee a far da contraltare a scarsi finanziamenti destinati alle prestazioni di base, come testimoniato dal problema cronico delle liste d’attesa. Sottolineando, invece, l’importanza di un sistema sanitario ramificato sul territorio.
Con buona pace di un lombardo doc.
Ma le conseguenze della vittoria di Fontana potrebbero essere anche politiche, a seconda di quali saranno le proporzioni dei risultati. Non solo nel centrosinistra, dove un buon risultato di Moratti (= il secondo posto) potrebbe rilanciare il terzo polo oppure, più probabilmente, una sconfitta ordinata potrebbe gettare nello psicodramma tutte le forze politiche dell’area.
Anche tra i vincitori c’è qualcuno che rischia di uscirne meglio degli altri. E ci sembra quasi superfluo, ma necessario, dire che questo qualcuno è Giorgia Meloni. In un baluardo leghista come la Lombardia, alle scorse elezioni politiche, Fratelli d’Italia era riuscita a doppiare il risultato del Carroccio, ottenendo il 28,5% dei consensi contro il 13,3% leghista; e persino Forza Italia, storicamente molto radicato nella regione, si era fermato intorno all’8%.
Se questa tendenza “pigliatutto” del partito della premier dovesse proseguire, portando la Lega intorno al 10% e Forza Italia intorno al 6%, per i rispettivi leader i problemi interni diventerebbero impossibili da nascondere. Un discorso valido soprattutto per Matteo Salvini, che sente il fiato sul collo della minoranza regionalista riunitasi nella corrente bossiana di Comitato Nord: che per ora resta silente, non avendo presentato una sua lista alle regionali, ma potrebbe passare all’attacco in caso di ulteriore fallimento della Lega salviniana nella partita di casa sua.

Quando un uomo sente la fine.
Una vittoria a valanga potrebbe, quindi, diventare persino un problema per Meloni, con gli alleati di governo che si troverebbero costretti a tornare all’attacco della premier per riguadagnare terreno. Ci sentiamo di dire, però, che tra tutti i problemi possibili il paradosso dell’abbondanza è forse quello più auspicabile.
Ci piacerebbe dire, per creare suspense, che per il Lazio il discorso sia un po’ più complesso. E invece.
Come dicevamo, il centrosinistra ha creato le condizioni perfette per una vittoria a mani basse della destra nella scelta delle alleanze. Una buona parte di questa scelta è dovuta a un’inedita condizione clinica classificabile come “sindrome da Internet Explorer”, riuscendo solo ora a concretizzare la coalizione perdente con cui avrebbe voluto affrontare la destra la scorsa estate.
Noi mentre ripercorriamo mentalmente le vicissitudini della mancata alleanza Calenda-Letta.
All’inizio della campagna elettorale di quest’estate, come di sicuro ricorderà chi ci segue dalle origini, la grande storia politica per una settimana è stata l’alleanza fatta e disfatta nel giro di pochi giorni tra il Partito Democratico e Azione. Il PD porta ancora segni evidenti di quella colluttazione surreale al limite della psichiatria. D’altronde, l’impossibilità di creare un’opposizione compatta è in parte conseguenza diretta della follia di quella vicenda.
Quando Calenda ha annunciato quindi che stava tornando sui suoi passi, almeno nel Lazio, il PD ha volentieri sacrificato l'intesa con parte della propria ex alleanza elettorale al livello nazionale, ovvero l’intesa con Verdi e Sinistra. Su questi ultimi torniamo tra poco.
L’opportunismo politico del Terzo Polo probabilmente ha consigliato cautela al fumantino leader di Azione, in assenza di un candidato forte da appoggiare in solitaria nel Lazio, una Moratti laziale.
Simone assolutamente non triggerato dalle parole “Moratti” e “laziale” nella stessa frase.
Formalmente, la stella polare per la strategia elettorale di Calenda e Renzi è la stessa che li ha portati ad appoggiare l’ex sindaca di Milano in Lombardia: i vaccini.
baSTA RIFERIMENTI A SANREMO
Il candidato del Partito Democratico appoggiato dal Terzo Polo è, non a caso, Alessio D’Amato, diventato abbastanza popolare (almeno, per gli standard del PD) come star della campagna vaccinale nel Lazio. L’assessore alla salute dell’uscente giunta presieduta da Nicola Zingaretti aveva intrapreso una linea dura contro i no vax, e come Letizia Moratti in Lombardia è per questo diventato un candidato spendibile e assai gradito dal Terzo Polo.
Prima di parlare dello schieramento che vincerà nel Lazio, però, è necessario tornare sull’incredibile ma comunque prevedibile capacità di scissione interna alle opposizioni.
Per chi non ricorda i particolari della rocambolesca caduta del governo di Mario Draghi, uno dei motivi che aveva portato il Movimento 5 Stelle a togliergli la fiducia era la volontà di costruire un grande termovalorizzatore (o “inceneritore”, per dirla à la M5S) a Roma. Questo punto di attrito, indubbiamente secondario in quei giorni, rimane però ancora un pretesto di scontro tra ex alleati di governo. Soprattutto perché la giunta romana di Roberto Gualtieri non ha intenzione di fare passi indietro sul progetto, e perché D’Amato ha più volte ribadito di essere molto favorevole all’opera.
Proprio per continuare a scavare il solco, i 5S hanno risposto con una candidatura ambientalista: Donatella Bianchi, giornalista, storica conduttrice di Linea Blu. Da allora lo scontro tra il candidato di PD e Terzo Polo e quella pentastellata si è acuito e allargato, arrivando anche a toccare l’ambito di competenza di D’Amato: la sanità, di nuovo. Anche qui, ci torniamo tra poco.
Qualche riga più su vi parlavamo di scissioni. Pensavate che ci riferissimo solo alla spaccatura ormai consumata tra PD e 5S?
Ingenui.
Europa Verde e Sinistra Italiana mantengono una linea comune in Parlamento, ma alle regionali laziali hanno fatto un capolavoro. Si sono presentati separati, con SI ad appoggiare Bianchi e i Verdi ad appoggiare D’Amato. Per addentrarci ancora di più nella sfaldatura dell’atomo, Possibile di Pippo Civati appoggia D’Amato in lista coi Verdi, accompagnati anche dalla lista locale Sinistra Civica Ecologista, che a Roma governa con Gualtieri. E a cui il Polo Progressista ha quasi rubato il nome scrivendo “di Sinistra & Ecologista” nel suo orrendo logo.
Dopo avervi tentato di spiegare cos’è successo alla sinistra in queste elezioni regionali abbiamo un mal di testa ingiustificabile.
La destra, invece, ha superato mal di testa e mal di pancia andando sul sicuro nella scelta del candidato: Francesco Rocca, per quasi dieci anni alla guida della Croce Rossa italiana. Il suo nome era circolato per qualche tempo anche per una possibile candidatura alle elezioni comunali della Capitale nel 2021, dove alla fine la destra aveva scelto di disintegrarsi con la scelta del meravijoso Enrico Michetti.
«Come dici? Il logo della Croce Rossa? Non so di cosa tu stia parlando, amico».
La candidatura di Rocca è stata l’ennesimo contentino di Meloni ai suoi alleati. La base laziale di Fratelli d’Italia non aveva dubbi sull’eventuale candidatura di Fabio Rampelli, nome di grande peso della destra postfascista romana. Non che tra Meloni e Rampelli al momento corra buon sangue, tanto che la presidente del Consiglio per tenere a bada alcuni bollenti spiriti ha commissariato la federazione romana, creatura sostanzialmente “rampelliana”.
Ma Rocca è un candidato che a Meloni certo non dispiace, nonostante qualche grana legata al passato del crocerossino, condannato in gioventù per spaccio.
Ogni volta che qualcuno dice che “il tempo è galantuomo” Salvini rischia l’ictus.
La campagna elettorale di Rocca nel Lazio è un campionamento mal riuscito delle classiche rivendicazioni di Fratelli d’Italia. Chi si ricorda le devianze? Ecco. Tra le altre cose (come per esempio la realizzazione di un nuovo “piano casa”), il candidato punta moltissimo sulla sanità. Che come avrete capito è un grande tema, forse l’unico, di queste elezioni regionali.
Ma nonostante il profilo apparentemente integerrimo di Rocca, anche nel Lazio in quest’ambito la sua storia personale e la storia dei governi di destra non promettono bene, come sottolineato da quest’articolo di Antonio Fraschilla e Clemente Pistilli su Repubblica.
Per oggi chiudiamo qui, noi ci sentiamo venerdì prossimo con un commento sui risultati. Anche delle Regionali.
Non prima di un meme tanto scontato quanto necessario.
Ciao!
Bravi vi amo🤗