Ciao!
Siamo Simone e Pietro,
e dopo una settimana Pietro si è accorto di questo riferimento al titolo della newsletter.
Tornando a noi, oggi partiamo con una considerazione un pochino più seria. Forse approfondimento tematico + considerazione seria in rapida sequenza è un cocktail letale per questa newsletter, ma ci proviamo.
Il tango ballato in questi giorni dalle parti della coalizione che si vuole opporre alla destra potrebbe dare l’impressione di essere espressione di democrazia: discussione sui programmi, diatribe accese che si evolvono in litigi e conflitti, questioni di rappresentanza.
Ieri c’è stato un momento in cui questo velo è stato brevemente squarciato. È arrivato mentre Carlo Calenda annunciava in diretta sui Rai 3, ospite di Lucia Annunziata - in una puntata che fornirà parecchi grattacapi a chi in futuro studierà la storia delle elezioni politiche del 2022 - la rottura dell’alleanza con il PD.
«C’è molta confusione, soprattutto tra le istituzioni [...]. Se dovremo raccogliere le firme, le raccoglieremo»
In realtà, confusione non ce n’era: Azione, il partito di Carlo Calenda, le firme le deve raccogliere eccome. In caso di alleanza con liste che non sono legate da quest’obbligo, come ad esempio il PD o Italia Viva, non ne avrebbe dovuta presentare mezza. E invece, dopo una settimana di alleanze fatte e disfatte, tweet al vetriolo, messaggi WhatsApp velenosi ai propri alleati e comparsate televisive, Calenda corre da solo.
E non ha idea di cosa debba fare per partecipare alle elezioni politiche, ovvero il più importante momento democratico a cui si possa partecipare in Italia, che in mano si abbia una candidatura o solo una scheda elettorale. Che lo si voglia o no, il futuro di 60 milioni di persone italiane e di quasi 6 milioni e mezzo di persone che vi vivono senza avere cittadinanza italiana, oltre che di tutti coloro che vi entrano o ne escono e di tutti coloro che in Italia nasceranno, è legato a quello che succederà il 25 settembre.
In Italia c’è chi la partecipazione alla vita politica del paese la prende sul serio, senza la possibilità di giocarsi chissà quali seggi a chissà quali tavoli roulette di coalizione. La raccolta firme, ad esempio, è partita per Unione Popolare, l’alleanza tra Potere al Popolo e l’ex sindaco di Napoli Luigi De Magistris. Ha una connotazione politica chiara, e pur non potendo contare su una struttura partitica radicata e (almeno storicamente) di massa ha avviato una campagna di raccolta firme, pur sapendo di essere (fino a ieri) tra le pochissime formazioni politiche a doverlo fare, e che si tratta di un’impresa non da poco raccogliere decine di migliaia di firme in pochi giorni.
Chi ne fa parte, poi, non è solo con la raccolta firme che si deve scontrare: Marta Collot, portavoce nazionale di Potere Al Popolo e già candidata sindaca di Bologna, meno di un mese fa è stata condannata in primo grado per manifestazione non autorizzata, resistenza aggravata e altri reati per le proteste a cui aveva partecipato insieme all’Unione Sindacale di Base dopo la morte di Abd Elsalam, travolto da un camion durante un picchetto davanti allo stabilimento GLS di Piacenza.
La partecipazione alla vita democratica del paese evidentemente non prevede proteste e scioperi.
Non è neanche lontanamente della stessa cultura politica Marco Cappato, radicale ed ex di +Europa. Ma anche lui, pur sapendo che missione impossibile fosse quella di raccogliere le firme necessarie per la propria lista, ha deciso di lanciare un appello e chiedere la possibilità di presentare liste firmate con SPID.
Le firme vanno raccolte entro il 21 agosto.
In vista di queste elezioni inaspettate, con una campagna elettorale agostana difficilissima e da preparare in fretta e furia, insomma, c’è chi si ricorda in diretta televisiva che senza alleanze deve persino raccogliere firme per provare di essere una forza in grado di rappresentare chi vota. Forse dover fermare la gente per strada lo distrarrà da Twitter per un paio di settimane.
Torniamo sulla portata principale del menù di oggi.
Ieri pomeriggio, osservando Carlo Calenda mandare in frantumi l’alleanza di centrosinistra in diretta tv, diventava sempre più chiaro come il titolo con cui avevamo aperto il primo numero di questa newsletter fosse sensato.
Ancora, il giorno dopo, scrivevamo pochi minuti prima della chiusura dell’accordo che «se queste sono due parti che si stanno venendo incontro, l’impressione è che ciò che ne scaturirà sia più una violenta collisione che non un abbraccio». A rileggere tutto ciò oggi, sembra assurda l’idea di aver pensato che un accordo del genere potesse reggersi in piedi. Dopo una settimana, siamo al punto di partenza.
Per rompere definitivamente Calenda ha usato la storia. Ha citato Bad Godesberg, il congresso del Partito Socialdemocratico Tedesco del 1959 in cui l’SPD abbandonò la strada marxista e rivoluzionaria per abbracciare il riformismo e la socialdemocrazia. Calenda, a quanto pare, era convinto – sbagliandosi, a detta sua – che il PD fosse pronto ad intraprendere una strada simile. Il PD secondo Calenda non sembra voler abbandonare l’instancabile lotta per il comunismo.
Ogni possibile svolta riformista è stata ovviamente resa vana dall’accordo con il compagno Tabacci.
Il leader di Azione ha citato anche il Comitato di Liberazione Nazionale: sostenendo che Letta, dovendo scegliere tra il formare una coalizione di governo e una riedizione del CLN per salvare l’Italia dalla destra, abbia scelto la seconda strada. Resta da capire se questa di Calenda non sia un’ammissione di disinteresse rispetto a questo obiettivo.
Oltre allo sfoggio di cultura, abbastanza fine a sé stessa, i riferimenti storici servono a Calenda ad uno scopo ben preciso: dare alle sue mosse un’impressione di profondità, comunicare che alla base di queste decisioni ci sia una lunga riflessione radicata in un passato ancora antecedente alle beghe politiche di oggi, e dunque più nobile.
Che le decisioni di Calenda siano di caratura superiore resta tutto da dimostrare, e dovendo sbilanciarci propenderemmo per il no. Ma un fondo di verità forse c’è: le (brutte) intenzioni di Calenda erano chiare da tempo.
Ne siamo sempre stati convinti.
Forse nemmeno lui aveva piena contezza del fatto che il suo costante tirare la corda in realtà nascondesse, inconscia, la volontà di romperla definitivamente. Magari per un po’ anche lui ha creduto di cedere ad un principio di “responsabilità” sacrificando qualcosa su un piano idealistico. Di poter fare davvero politica, nel senso dialettico del termine.
Poi, tutto è venuto a galla. Ad oggi, appare chiaro che un uomo come Calenda non avrebbe potuto comportarsi in nessun altro modo se non in questo.
Un concetto che Letta ha espresso sorprendentemente bene.
L’ironia della sorte vuole che adesso il leader di Azione sia chiamato ad un compromesso forse ancora più grande. Proprio per evitare la raccolta firme di cui parlavamo in precedenza, a Calenda non resta altro da fare che rivolgersi all’unico interlocutore rimasto al centro: Matteo Renzi.
Per Repubblica, l’ex premier sarebbe perfino disposto a cedere il ruolo di frontman, pur di fare passi avanti nella costituzione di quel “Terzo Polo” che ormai lo ossessiona.
Qualcuno ieri diceva che due personaggi come loro non potrebbero mai correre insieme, sarebbero due galli in un pollaio.
Ma se l’intenzione di Calenda è quella di non rivolgere la parola a chiunque abbia un ego vagamente avvicinabile al suo, forse è il caso che riconsideri l’opportunità stessa di fare politica.
Comunque, ora il Partito Democratico è solo. O meglio:
• È accompagnato da +Europa, che aveva dichiarato che avrebbe deciso oggi in giornata con una discussione interna – scordandosi che la fondatrice Emma Bonino va dispensando interviste in lungo e in largo. E dopo la sorpresa-non sorpresa di ieri, anche un esponente di rilievo come Riccardo Magi non ci è andato giù piano.
• Ha accanto anche Sinistra Italiana (che pure deve ufficializzare la decisione tramite voto degli iscritti) ed Europa Verde (che aveva già ampiamente dichiarato che la strada col PD era l’unica percorribile).
• Altri soggetti minori della coalizione, come Impegno Civico di Luigi Di Maio, senza Calenda saranno probabilmente più liberi di scorrazzare per gli uninominali.
Ieri Letta ha chiuso nuovamente ai 5 Stelle, ma è tutt’altro che generalizzata la convinzione che questa sia la decisione definitiva.
Da parte sua, un gongolante Giuseppe Conte, ora non più l’unico leader di una forza politica non di destra in aperta crisi, ha dichiarato di non avere alcuna intenzione di rientrare nel campo largo.
A proposito: alle 14:00 si chiudono le liste delle autocandidature alle “parlamentarie” del Movimento 5 Stelle. Vi mandiamo questa newsletter prima di sapere se Alessandro Di Battista e Rocco Casalino si saranno autocandidati.
Hype.
Chiara Appendino si è autocandidata e, se arriverà la pronosticata vittoria alle parlamentarie, correrà nel collegio torinese. Chi non si è candidato è Domenico De Masi, noto sociologo e autore vicino al Movimento (anche se a più riprese aspramente critico di Virginia Raggi durante il suo mandato da sindaca). La motivazione:
https://www.urbandictionary.com/define.php?term=Chadness
Oggi siamo andati lunghi. Non promettiamo di non rifarlo, ma almeno di provare a contenerci.
A domani!
"la coalizione che si vuole opporre alla destra" è già meglio che definire il PD centrosinistra :-D
comunque bravi vi seguo ;-)