Sfollati
Gli studenti cercano casa, così come Cottarelli. Meloni va avanti sul presidenzialismo (più o meno).
Ciao!
Siamo Pietro e Simone,
e quella appena trascorsa è stata una settimana piuttosto intensa. Anche solo perché è stata la settimana del nove maggio.
Walter Memoni era il nostro sfogo memetico prima che arrivasse questa newsletter.
Per un po’ la nostra programmazione sembrava orientata solo ai soliti ripiegamenti della politica italiana su sé stessa, con Cottarelli che abbandona la poltrona di senatore in polemica con il Partito Democratico e Giorgia Meloni che incontra le opposizioni sulle riforme istituzionali senza volerle davvero ascoltare. Poi, per fortuna, ci hanno pensato gli studenti a portare dei temi più concreti sotto la luce dei riflettori. E quindi, partiamo da lì.
Anche perché tornare a parlare di un ministro che ha serie difficoltà a capire come funzionano genoma umano, fenomeno migratorio e crisi demografica ci sembrava un utilizzo poco fruttuoso del nostro tempo.
Vi avvisiamo che questo numero sarà bello lungo. A noi piace così.
Iniziamo.
Il 4 maggio, una 23enne di Alzano Lombardo ha deciso di accamparsi con una tenda davanti al Politecnico di Milano, per protestare contro l’impennata del costo degli affitti che penalizza coloro che vorrebbero studiare fuori sede. In pochi giorni la mobilitazione si è allargata in tutta Italia: diversi studenti si sono accampati davanti all’Università La Sapienza, così come a Cagliari, Torino, Firenze e Pavia.
Ma questa protesta è solo la scintilla che ha incendiato un malessere che covava da tempo sottotraccia, frutto di una situazione diventata sempre più ingestibile soprattutto dopo la pandemia.
Il caro affitti è una realtà notissima non solo a chi cerca casa fuori dalla propria città per studiare, ma anche a chi finalmente decide di staccarsi dai genitori.
Il mercato immobiliare italiano (almeno, quello regolare) è sempre stato basato sulla proprietà e pochissimo sull’affitto. Secondo Eurostat in Italia coloro che vivono in una casa di proprietà sono circa il 75%, sopra la media europea (70%) e molto sopra i dati di Germania e Francia, le grandi potenze a cui siamo soliti paragonarci. Questa compressione del mercato “storico” degli affitti ha portato a una conseguenza non positiva: quando non sono in nero, gli affitti sono gestiti sempre di più parte da grandi aziende di intermediazione (come Immobiliare o Idealista). Come spiega Sarah Gainsforth in questo pezzo su Il manifesto l’offerta pubblica di alloggi per studenti vale circa il 5% del mercato e i nuovi 60.000 alloggi promessi con il PNRR verrebbero gestiti in maniera tale da puntare su studentati, sì, ma privati.
Esperimento interessante trovato su Reddit. Perdeteci qualche minuto perché è, appunto, tragicomico al punto giusto.
Calato in questo contesto, il dibattito politico è surreale. Da una parte, il ministro dell’Istruzione Giuseppe Valditara (che vi ricorderete per altre grandissime uscite) afferma che questo caro-affitto sia una realtà nelle grandi città governate dal centrosinistra (grandi città non governate dal centrosinistra, in effetti, pochine) e che quindi sostanzialmente sarebbe colpa del centrosinistra. Per essere subito smentito dalla ministra dell’Università Anna Maria Bernini, che non vuole grane coi comuni.
Tra gli altri, a rispondere a Valditara c’è stato il sindaco di Firenze Dario Nardella, che ha definito «da irresponsabili (...) criminalizzare i sindaci di sinistra». Aggiungendo che «una delle cause del caro affitti (...) è anche il boom del turismo dopo il Covid, che ha riguardato non solo Firenze, ma anche Milano, Roma e Napoli». Come se prima del Covid il turismo e la gentrificazione dei centri storici con conseguente aumento degli affitti non riguardassero le grandi città italiane.
Siamo stanchi, capo.
Tra le reazioni politiche c’è poi da registrare anche quella più discussa - e discutibile -, ovvero quella di Francesco Giubilei, giovanissimo consigliere del ministro della Cultura Sangiuliano di cui vi avevamo già parlato in questa newsletter.
Giubilei ha pubblicato un tweet in cui invita i ragazzi a studiare per costruirsi un futuro migliore attraverso i sacrifici, piuttosto che a passare il tempo in campeggio in tenda davanti all’università. Salvo poi venire totalmente demolito nientepopodimeno che da sé stesso di 13 anni fa.
“Un'altra cosa possiedo: un grande archivio, visto che non ho molta fantasia, e ogni volta che parlo di questo archivio chi deve tacere, come d'incanto, inizia a tacere.”
Ma il tweet di Giubilei si inserisce in un contesto molto più ampio di reazioni scomposte da parte del gotha liberista italiano, che ha trovato sfogo nell’unico spazio dove Carlo Calenda (che poverino, ha detto anche cose vagamente sensate sul tema) ottiene il 40% dei consensi: Twitter.
Questo vince la palma di tweet più stronzo del mese, ma anche questo non scherza.
Un insieme di pareri che elogiano il sacrificio degli studenti non solo come necessario e immodificabile, ma persino come formativo per il carattere degli studenti (“l’umiliazione per la crescita della personalità”, do you remember?); e che hanno tutti in comune una cosa: provenire da soggetti che il sacrificio non sanno nemmeno dove sia domiciliato.
È difficile non vedere in queste risposte il terrore di sentire i propri insignificanti privilegi minacciati da chi chiede semplicemente condizioni di partenza il più possibile uguali per tutti e tutte. Ma forse è proprio la paura negli occhi di queste persone a convincerci della bontà di questa protesta.
Un post di Simone che argomenta meglio questo punto altrimenti qui facciamo notte.
Tornando ad occuparci delle dinamiche parlamentari, domenica scorsa il Partito Democratico ha visto uscire dalle proprie fila un altro senatore, il cui nome però pesa un po’ di più degli altri addii recenti: stiamo parlando di Carlo Cottarelli, che era stato addirittura candidato in un collegio uninominale come rappresentante di tutta la coalizione che ruotava intorno al PD (a Cremona, dove aveva perso con Daniela Santanché prima di subentrare grazie al paracadute al plurinominale).
Cottarelli ha annunciato il suo addio in maniera più “discreta” rispetto ad altri: dove per discreta si intende comunque una lettera a Repubblica, in cui spiega le sue ragioni senza però gridare alla leninizzazione del PD.
Roba che a confronto Cottarelli assomiglia vagamente a Engels.
L’ex presidente del Consiglio incaricato (ogni tanto fa sempre bene ricordarlo) ha annunciato che non passerà ad altri gruppi parlamentari ma lascerà il suo incarico da senatore, permettendo a Cristina Tajani, ex assessora di Milano e più vicina ad Elly Schlein, di subentrare al suo posto. Meritano qualche riflessione, però, le ragioni indicate da Cottarelli alla base della sua decisione.
Nella sua lettera Cottarelli scrive: “in questo momento storico mi sembra che nella vita parlamentare ci sia molta, troppa animosità”.
“Questa crisi climatica mi sembra un po’ caldina, non trovate?”
Un pensiero che dice molto sul rapporto fattosi sempre più intricato tra i “politici di professione” e i tecnici, entrambi fermi sulle loro posizioni: i primi così immersi nelle dinamiche di palazzo da perdere spesso e volentieri di vista le questioni di merito; i secondi che spesso si aspettano di essere ascoltati come dei messia senza dover affondare i piedi nel fango, e rimanendo poi delusi nello scoprire che la politica è anche “sangue e merda”, per rifarsi alla fortunata definizione dell’ex ministro socialista Rino Formica.
La seconda ragione, invece, rimanda all’ormai solito ritornello del PD “troppo spostato a sinistra” citato da tutti ma di cui nessuno riesce a dare una definizione precisa.
“E mi dica, questo PD di sinistra è qui con noi in questa stanza?”
Cottarelli in questo caso fa un’analisi politica più attenta, sostenendo che Schlein “non sbaglia a portare il PD più a sinistra” per “trasmettere un messaggio più chiaro agli elettori”. Ma afferma di trovarsi a disagio su diversi temi, tra cui soprattutto “il ruolo che il ‘merito’ debba avere nelle nostre società”.
Ora: si fa fatica a pensare che Elly Schlein voglia sostituire il principio del merito con l’assegnazione a sorte di tutti i posti di lavoro di questo Paese. Più verosimilmente, il problema del “principio del merito” è che ignora tantissime precondizioni alla base dell’accesso a certe opportunità: che non è abbastanza meritocratico, in sostanza.
Reputando Cottarelli un uomo di discreta intelligenza siamo sicuri sarebbe d’accordo con questo assunto di base, che avrebbe potuto sostenere restando in Parlamento per portare avanti queste battaglie. Ma, di nuovo, forse chiedere ad un estraneo della politica di imparare certi meccanismi vuol dire mettere in comunicazione mondi troppo diversi; e che soprattutto hanno davvero poca voglia di imparare l’uno dall’altro.
La settimana appena conclusa è stata anche quella in cui il governo ha deciso di fare ciò che gli riesce meglio: rilanciare su cavalli di battaglia identitari molto discussi in campagna elettorale.
Simone che riscuote dopo che Pietro aveva scommesso che sarebbe passata almeno metà legislatura prima di iniziare a parlare di presidenzialismo.
In effetti è stato un fulmine a ciel sereno. Con il PNRR, le ultime nomine da gestire, una crisi diplomatica con la Francia ancora in corso (e tanto altro ancora!) nessuno si aspettava che la destra rilanciasse su un tema-diversivo di cui non si sentiva parlare dalla fine della campagna elettorale.
La riforma costituzionale che porterebbe all’elezione diretta del capo dello Stato (o del capo di governo) sulla carta non esiste. Nessuno ha idea di cosa abbia in testa la destra al riguardo, ammesso e non concesso che la destra abbia in testa una riforma precisa. Per ora, la presidente del Consiglio Giorgia Meloni ha lanciato il sasso e lasciando che l’unica mano visibile fosse quella delle opposizioni, ovvero le uniche si stanno esprimendo a riguardo.
Al momento, l’unico oggetto del dibattito politico sono le “consultazioni” con le opposizioni avviate da Meloni per avere il polso della situazione.
Prevedibilmente, l’incontro su cui c’è stata la maggiore attenzione è quello con Elly Schlein, la cui posizione da fantomatica “leader delle opposizioni” è sempre più forte.
È un titolo che si basa sul numero di prime pagine che ti dedica Libero nell’arco di una settimana. Per questa settimana siamo a tre su cinque.
L’incontro è stato molto breve, circa 20 minuti. Le due leader di partito hanno confermato di avere visioni radicalmente diverse. L’highlight ripreso da tutti i giornali è stato uno scambio squisitamente politico: Meloni avrebbe detto di volere l’elezione diretta del presidente del Consiglio per rispetto del «mandato popolare», sostenendo che soltanto così si potesse arrivare a una «democrazia matura». Schlein, che ci immaginiamo con questo sorriso, ha ribattuto: «E allora, presidente, perché non la monarchia illuminata?».
Meloni, comunque, alla fine del giro di consultazioni ha parlato di “apertura” da parte delle opposizioni sull’elezione diretta del premier.
La percezione di Meloni delle consultazioni.
La percezione di Schlein delle consultazioni.
In realtà una delle opposizioni (che sofferenza scriverlo così) ha dimostrato di essere interessata all’argomento. Probabilmente perché è di dest è un argomento che uno dei leader ha sempre cercato di vendere come la riforma del “Sindaco d’Italia” essendo lui stesso un ex-sindaco-convertito-premier.
L’ex Terzo Polo ha insomma dimostrato interesse. Comunque, la somma dei parlamentari di Terzo Polo e forze di maggioranza non consentirebbe al governo di bypassare il referendum costituzionale: per approvare la maggioranza direttamente alla Camera sarebbero necessari 267 voti, e allo stato attuale maggioranza + Terzo Polo = 259.
Torniamo un attimo all’incontro tra Meloni e Schlein solo per analizzare una battuta pronunciata dalla segretaria del PD. La leader dem ha scherzato sul fatto che questa riforma presidenziale è stata spacciata, come sempre, come un metodo per “garantire governi più stabili”: «La vedo troppo preoccupata della stabilità del suo governo».
Questa affermazione potrebbe semplicemente essere una stoccata gratuita. Ma in effetti le tempistiche con cui il governo ha voluto tirare fuori l’argomento sono strane, anche se il governo sulla carta non è mai stato così stabile: da quando Silvio Berlusconi è al San Raffaele, Forza Italia è in uno stato comatoso che non permette di piantare grane. Quindi, applicando un po’ di sana dietrologia, i motivi per cui il governo non sarebbe così stabile come si crede possono essere due: l’altro alleato, la Lega, sta lavorando a qualche scherzone epico finito malissimo, oppure sta per arrivare qualcosa di grosso dall’Europa. Tipo sul PNRR. E questo non sarebbe divertente per nessuno.
Infine, un velocissimo promemoria: domenica si andrà al voto in 786 comuni italiani. Non ci sono comuni di primissimo piano: Ancona è l’unico capoluogo di regione, mentre i capoluoghi di provincia sopra i 100mila abitanti al voto sono Brescia, Catania, Latina, Siracusa, Terni e Vicenza.
Fare una panoramica oggi sarebbe abbastanza complesso, quindi rimandiamo alla settimana prossima eventuali analisi su qualche tendenza interessante che potrebbe uscire dalle urne.
Intanto, se vivete in uno dei comuni interessati, andate a votare. Un esercizio che non fa mai male.
Buone intenzioni per il sociale.
Per questa settimana è tutto, e forse è pure troppo.
Un meme wholesome per farci perdonare. Questo template ci è piaciuto tantissimo.
Noi ci sentiamo, come al solito, venerdì prossimo.
Ciao!
Grazie mi sono divertita tantissimo , davvero molto bravi✊