A piena voce
Un annuncio importante per tutti i nostri lettori. Poi, Meloni prova a farsi sentire all’estero.
Ciao!
Siamo Pietro e Simone,
e questo è un numero un po' particolare.
"Dobbiamo parlare" vibes.
Dall'1 agosto 2022 a oggi vi abbiamo tampinato parecchio. Non che lo facessimo contro la vostra volontà (anche se in più di qualche caso siamo finiti nelle vostre cartelle spam o "promozioni"), però è più facile farsi leggere quando insieme a quel che scrivi arriva una notifica. Per noi è sempre stato un piacere sapere di essere letti, anche quando la newsletter vi arrivava alle 21:30 di un venerdì perché quel giorno avremmo preferito ascoltare in loop tutti gli incendiari discorsi di Enrico Letta piuttosto che scrivere un numero.
Il nostro venerdì sera dopo un incendiario discorso di Enrico Letta:
Non saremo noi a nascondervi, però, che la realtà per due giovani giornalisti non ancora professionisti è complessa e non sempre la sola idea di essere utili a un gruppo di persone (anche se per noi quasi 1400 persone sono una folla oceanica) basta come spinta a scrivere un bel numero. Tradotto: non abbiamo una lira e aggiungere un altro lavoro gratis al bilancio della settimana non è sempre stato semplice.
Soprattutto quando scrivendo ti devi occupare di un certo tipo di categoria.
Quindi un paio di mesi fa abbiamo deciso di raccogliere una sfida e fare una cosa che più o meno qualunque giornalista sulla faccia della terra ha fatto almeno una volta nella vita. No, non è tentare di lanciarsi dal ponte di Ariccia. Sì, è registrare un podcast.
Lo scorso 7 aprile vi avevamo annunciato che per una settimana non avremmo inviato la newsletter, salvo tornare, inevitabilmente, sui nostri passi dopo la rottura tra Calenda e Renzi. Questo perché quella settimana stavamo registrando la prima puntata di una versione podcast di Buone Intenzioni da inviare a un concorso indetto da una testata storica, L'Espresso. Questo è il risultato, e il fatto che il primo numero della newsletter e la puntata pilota del podcast siano ambedue su Carlo Calenda ci ha fatto interrogare seriamente sul senso della vita.
È molto probabile che se non fosse collassato il Terzo Polo non ci avrebbe calcolato nessuno. Invece abbiamo passato una prima selezione, e da qui alla fine dell'anno parteciperemo a una seconda fase. Per la quale registreremo molte puntate di una versione podcast di Buone Intenzioni.
Noi mentre cerchiamo di capire come integrare i meme in una versione parlata di questa roba.
Tutto questo per dirvi che non sappiamo ancora come e quando, ma ad un certo punto la versione scritta di questa newsletter dovrebbe essere sostituita da un podcast. Anche volendo non riusciremmo a fare entrambe le cose, soprattutto per raccontare due volte la stessa storia della settimana politica. E ammetterete anche voi che ripetere due volte quello che succede nella politica italiana sarebbe peggio del waterboarding.
"Si dice IL presidente del Consiglio!"
Continueremo, ovviamente, ad inviarvi le puntate del podcast via mail. Stiamo ancora cercando di capire cosa fare di questo spazio, che siamo convinti sia prezioso. Sarà, con tutta probabilità, un periodo in cui procederemo per tentativi: potrete guidarci, darci consigli e fare proposte scrivendoci a buoneintenzioninewsletter@gmail.com, come ormai saprete.
Chi vorrà continuare a seguirci, quindi, potrà ovviamente farlo. Solo, ascoltandoci e non leggendoci. E speriamo che vogliate farlo in tante e tanti.
Ora, però, iniziamo.
Avete presente quella storia del governo italiano che sta cercando in ogni modo di salvaguardare il rapporto con l'Europa nonostante le premesse indichino che ci si avvicina a un disastro annunciato? No? Allora tenetevi forte.
Ieri si è tenuta un'importante riunione del Consiglio europeo, ovvero l'organo che riunisce i rappresentanti dei 27 governi nazionali degli Stati membri dell'UE. La politica estera per parecchio tempo aveva ragionevolmente occupato i pensieri dei rappresentanti dei vari esecutivi europei. E sembrava che questa potesse essere la china presa in questa riunione, anche e soprattutto dopo gli ultimi avvenimenti in Russia con la marcia-non-marcia della brigata Wagner verso Mosca (a tal proposito: vi consigliamo quanto scritto da Giovanni Savino su Tempolinea, la newsletter di Iconografie).
Il punto all'ordine del giorno che ha reso questa riunione conclusa a tardissima notte una sorta di inferno per chiunque fosse coinvolto è stato un grande classico immancabile: l'immigrazione. E non c’è nulla di meglio di un trappolone dei governi guidati dai sovranisti di destra per rendere questi incontri un incubo.
Pov: stagisti sottopagati nelle istituzioni europee che devono seguire la riunione quando vedono che i governi di destra stanno prendendo parola un po’ troppo spesso.
Giorgia Meloni ha sempre sostenuto che qualsiasi problema che l'Italia possa avere con la gestione dell'immigrazione è irrisolvibile senza un accordo al livello europeo che vada a modificare le regole dei famigerati trattati di Dublino. Questo accordo era già stato trovato in un altro vertice, lo scorso 8 giugno: i ministri dell'Interno degli Stati membri avevano accettato una redistribuzione di una quota minima di migranti (30mila persone) sbarcati nei Paesi di frontiera in Europa. Per chi non avesse voluto partecipare a questo smistamento di esseri umani c'era un modo semplice di uscirne: pagare, nello specifico 20mila euro a migrante. Come spiegava qualche tempo fa Annalisa Camilli su Internazionale, si trattava di un accordo comunque “non buono” per l’Italia, a causa del pesante slittamento di competenze in termini di gestione dello status di rifugiati: in sostanza, anche se l’Italia non sarebbe stato più Paese ultimo di destinazione come un tempo, dovrà gestire ancora più casi nell’infernale burocrazia dell’accoglienza.
Ma, dopo ieri, è quasi tutto inutile. I premier Mateusz Morawiecki (Polonia) e Viktor Orbàn (Ungheria) si sono tirati indietro, bloccando il Consiglio di ieri fino a tarda ora e facendo saltare l’accordo. Hanno contestato sia i ricollocamenti sia il meccanismo di risarcimento, creato appositamente per chi come loro non voleva neanche la quota minima.
Questo è un problema grosso per l’Italia, che si trova al punto di partenza. Certo, un’Europa più a destra aiuta il governo di Giorgia Meloni nel tentativo di “fermare le partenze”, con accordi firmati al livello europeo con i Paesi di confine, come Tunisia e Libia. Allo stesso tempo, però, una non-riforma dei trattati di Dublino lascia l’Italia e gli altri Paesi di confine (Grecia e Spagna in primis) con tutto il carico dell’accoglienza sulle spalle. E questo per chi, come Polonia e Ungheria, alza muri non vuole avere a che fare con la gestione dell’immigrazione per continuare a rafforzare il proprio consenso.
Ciononostante, Meloni non se l’è sentita di prendersi con i suoi storici alleati, e ha dichiarato: «Non sono delusa dall’atteggiamento di Polonia e Ungheria, non sono mai delusa da chi difende gli interessi nazionali».
L’equivalente di un "ti capisco se mi hai lasciato, sono io il problema".
Il Consiglio europeo era stato aggiornato a oggi per poi concludersi definitivamente con un nulla di fatto. La destra italiana, su questo fronte, torna a casa a mani vuote.
Ma i dossier esteri sui quali il governo Meloni mostra evidenti difficoltà non sono finiti qui. La situazione relativa al Mes, ad esempio, sta assumendo contorni tragicomici.
Stamattina si sarebbe dovuta tenere la discussione parlamentare sul disegno di legge di ratifica del Meccanismo europeo di stabilità. Un appuntamento importante soprattutto perché già la scorsa settimana, in una scena che poi si è verificata nuovamente ieri, la maggioranza non si è presentata in commissione Esteri per discutere del ddl, lasciando così la sola opposizione ad approvarne il passaggio parlamentare. Una decisione motivata, in via ufficiale, dalla volontà di “rispettare il dibattito parlamentare”.
Peccato che questa mattina, proprio prima che si aprisse la discussione, il centrodestra ha presentato alla Camera una questione sospensiva di 4 mesi sul ddl, per consentire “maggiori approfondimenti sul funzionamento del Mes”. La sospensiva verrà votata, con tutta probabilità, la prossima settimana; e rischia di rimandare il dibattito sul Mes a novembre, ovvero nel pieno della discussione sulla Legge di bilancio.
La foto rappresenta un ministro a vostra scelta di questo governo. Ci vedete bene Tajani? Allora è Tajani. Il piumaggio vi ricorda Valditara? Your call.
L’idea che un governo nato da una campagna elettorale il cui slogan era “Pronti” ora abbia bisogno di ulteriori quattro mesi per approfondire un meccanismo non così complesso, fa se non altro sorridere. È meno divertente, invece, realizzare come il prendere tempo nella speranza che le cose si risolvano da sole sia una strategia quasi strutturale della politica estera di Meloni. E lo dimostra anche la discussione sull’adesione italiana alla Belt and Road Initiative promossa dalla Cina.
Nel marzo 2019 l’allora presidente del Consiglio Giuseppe Conte (governo gialloverde, feel old yet?) siglò un Memorandum of understanding per l’ingresso dell’Italia nella “Nuova Via della Seta”, l’ambiziosa iniziativa di Pechino per incrementare gli investimenti e stringere i rapporti commerciali con l’Eurasia. L’accordo aveva una durata di cinque anni, e di fronte alla scadenza del 2024 il governo Meloni sembra intenzionato a non rinnovarlo.
Chissà come mai. (yep, it’s Di Maio content time again)
In quel caso, però, l’esecutivo italiano è chiamato a darne comunicazione a Pechino entro il 31 dicembre: e non è ancora chiaro come verrà gestita l’ormai scontata uscita dall’accordo. La premier continua a ripetere come “si possano avere ottime relazioni con la Cina senza far parte di un piano strategico”, ma la realtà è che Pechino ha già cominciato ad attaccare la linea dell’Italia.
Con il rischio sempre più concreto di una rottura traumatica che avrebbe ripercussioni anche per il nostro Paese, molto più di quanto farebbe un “divorzio ordinato” rispetto ad un’intesa che ha sempre faticato a decollare.
In chiusura di questo numero, due brevi.
Lunedì si sono chiuse le urne in Molise, e i risultati non hanno destato alcuna sorpresa: il candidato del centrodestra Francesco Roberti, ormai ex sindaco di Termoli e presidente della provincia di Campobasso, ha trionfato nettamente contro Roberto Gravina, sindaco di Campobasso e candidato del centrosinistra. Le percentuali non danno adito ad interpretazioni fantasiose: Roberti ha ottenuto il 62% dei consensi, staccando di gran lunga Gravina fermo al 36%.
Come vi raccontavamo nell’ultimo numero, è difficile dare una rilevanza nazionale ad un’elezione del genere. Il risultato dell’alleanza M5S-PD è sicuramente deludente, ma frutto di una programmazione che definire scarsa sarebbe un eufemismo. C’è un altro dato, però, su cui forse è più utile soffermarsi: Italia Viva, pur senza presentare una propria lista, ha dato il proprio sostegno al candidato del centrodestra, con il coordinatore regionale di IV Donato D’Ambrosio candidato nella lista dell’UdC (no, non è un meme) a sostegno di Roberti.
Se tre indizi fanno una prova questo, sommato alla reazione “commossa” di Renzi alla morte di Berlusconi e alla decisione, di queste ore, di non sostenere la proposta di salario minimo presentata da tutte le altre opposizioni, chiarisce forse definitivamente il progetto di Matteo Renzi: dare la caccia all’elettorato forzista senza ritegno.
Di lavoro da fare ce n’è ancora parecchio, ad occhio.
Infine, qualche settimana fa vi raccontavamo della ritrosia della maggioranza nel nominare Stefano Bonaccini commissario per l’emergenza alluvione in Emilia-Romagna. Un’attenta riflessione ha portato a scartare il nome di Nicola Dell’Acqua, già commissario alla siccità: per nostra fortuna, perché con quel cognome e il doppio incarico di commissario alla siccità e all’alluvione non saremmo mai più riusciti a fare un meme altrettanto divertente.
La scelta, però, è ricaduta su un nome altrettanto glorioso: l’ex commissario all’emergenza Covid, il generale Francesco Paolo Figliuolo, pronto ad appuntarsi l’ennesima medaglietta sul petto.
Questa immagine viene da un futuro in cui Figliuolo ha risolto il cambiamento climatico trovando anche il tempo per altre otto biografie con Beppe Severgnini.
Per questo numero è tutto.
Per il futuro c’è tanto entusiasmo, un po’ di incertezza e la speranza di avervi con noi ancora a lungo, con qualsiasi format.
Noi ci leggiamo/sentiamo venerdì prossimo, ciao!
I podcast sono molto più comodi sia per chi nel frattempo deve fare altre cose e va sempre di fretta sia per chi, come me, fa spesso fatica a leggere per motivi di salute. Quindi io sarei felicissima di avere una versione in podcast di "Buone intenzioni" e la seguirei con piacere! Per il resto, tanti auguri per qualsiasi opportunità 💪🥃
Grandissimi! Complimenti per tutto 🤗Vi aspetto per la prossima grande avventura 🐞