Ciao!
Siamo Simone e Pietro,
e non parleremo per nulla di ciò che è successo oggi.
Non l’avremmo fatto comunque, perché la domenica è il giorno in cui ci dedichiamo ad un approfondimento sui temi di questa campagna. Ma oggi, a maggior ragione, provare a restituire una prospettiva di più ampio respiro ci sembra la miglior risposta allo spettacolo poco edificante a cui siamo costretti ad assistere.
Tanto più che stavolta non siamo soli, ma accompagnati da diversi “ospiti”.
La prima è Susanna Rugghia. Susanna si è spesso occupata per Scomodo di politiche e dinamiche sociali territoriali in quanto responsabile della redazione romana. Avendo studiato a più riprese a Parigi ha conosciuto a fondo due realtà cittadine tra loro molto diverse, e ha sviluppato un forte interesse per le dinamiche con cui gli esseri umani abitano territori tra loro così distinti, ma con problematiche spesso simili.
Il tema di questo primo approfondimento, quindi, è l’abitare.
Lo dicevamo ieri alla fine della newsletter: è un tema che riguarda letteralmente ogni persona che viva in Italia, ma che si sostiene su un modello arcaico e completamente inattuale.
«I programmi politici che si diffondono durante la campagna elettorale per temi complessi come l’abitare pongono sempre obiettivi altisonanti, ma in realtà demenziali e irraggiungibili. Tutto questo non può essere affrontato senza un potenziamento del settore pubblico, ed è inutile se non si fa funzionare quel che già dovrebbe esserci per migliorare la vita alla gente».
Sarah Gainsforth è ricercatrice indipendente che studia e si occupa di trasformazioni urbane e del loro impatto sociale in termini di disuguaglianze relative all’abitare. In realtà di programmi, come sapete, se ne vedono pochini, ma qualche proposta già inizia a circolare. Sul metodo con cui sono stilati questi programmi si potrebbe scrivere una collana a sé.
Vincono le idee, soprattutto quelle che puoi tirare fuori sapendo che non vincerai le elezioni.
«La politica dovrebbe incaricarsi un ripensamento complessivo non solo delle politiche della “casa”, ma della vivienda, come si dice in spagnolo: non esistono il lavoro, la casa, i servizi. Ci dev’essere una lettura più integrata delle politiche abitative».
Filippo Tantillo è ricercatore territorialista ed esperto di politiche del lavoro e dello sviluppo, e si occupa da anni di una gigantesca fetta di paese costantemente ignorata: le aree interne. Ma soprattutto su quest’ambito dei suoi studi ha sentito poco che si avvicini a un “ripensamento”.
I disastri cominciano prima dei programmi. E gli ultimi governi hanno fatto di tutto per crearne di nuovi.
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Negli ultimi tempi, poche cose sono sulla bocca di tutti senza che nessuno ne abbia davvero chiaro il significato come la fantomatica “agenda Draghi”. Eppure, uno sforzo di memoria neanche troppo difficile permetterebbe di ricordare come l’incarico all’ex presidente della BCE fosse legato a due questioni principali: l’uscita dalla pandemia e la gestione del PNRR.
Su quest’ultimo punto, le stime sui fondi del Piano destinati all’abitare sono molto variabili. Come scrive Gainsforth su L’Essenziale, le linee di finanziamento direttamente destinate a questo obiettivo sono tre, per un totale di 9 miliardi di euro. Questi interventi però si limitano ai finanziamenti per la rigenerazione urbana e il social housing.
Se si parla dei fondi destinati agli enti locali, invece, la somma è ovviamente destinata ad aumentare, fino a coprire il 60% del piano.
“Quello che è impressionante è la mancanza assoluta di una riflessione dei vantaggi di sistema”, spiega Tantillo: “Come se la somma di tutti gli interessi privati possa dare il bene pubblico.” A mancare è, infatti, qualsiasi tipo di meccanismo di coordinamento o di strategia nazionale per la gestione di tali fondi, concepiti invece secondo il meccanismo dell’incentivo pubblico all’intervento edilizio privato.
Spesso, inoltre, i fondi straordinari del PNRR finiscono per coprire interventi che invece rientrerebbero nella manutenzione ordinaria: come le 1784 opere in 483 comuni, principalmente del sud, che rientrano nella linea di finanziamento legata ai progetti di rigenerazione urbana.
Infine, i tempi stretti richiesti dai progetti del Piano di ripresa (da completare entro il 2026) si scontrano con gli organici sottodimensionati degli enti locali e con le risorse delle imprese assorbite da un altro incentivo: il Superbonus.
«Nei comuni con cui sto lavorando oggi, che stanno lavorando a interventi relativi alla messa a disposizione di case popolari o comunque a prezzo agevolato non si trovano le ditte che ci lavorino. Il Superbonus ha fatto sì che tutto il settore edilizio si spostasse massicciamente sul privato. Anche i sindaci con cui ho a che fare e che hanno messo in cantiere la ristrutturazione di piazze, edifici pubblici, beni per usi civici e via dicendo, semplicemente non trovano chi ci lavori. Secondo le scadenze del PNRR dovrebbero presentare entro fine ottobre tutti i progetti definitivi da fare con i fondi del NextGenerationEU con i bandi chiusi e portati a termine, quindi anche con la ditta individuata. Non ce la fanno, devono chiedere rinvii e dilazioni».
Per un motivo piuttosto banale. «Per quanto abbiano soldi pubblici in mano, possono pagare il prezzo di mercato per la ristrutturazione di un edificio pubblico: il privato, col Superbonus 110%, può pagare il 10% in più».
E tutto questo gra-tui-ta-men-te.
Nel suo nuovo libro “Abitare stanca. La casa: un racconto politico”, Sarah Gainsforth rivela quanto, nella crisi post pandemica, saranno duri i costi sociali ed economici sulle spalle delle future generazioni in assenza di una inversione di tendenza che parta dalle politiche abitative.
Questa crisi viene però da più lontano, è insita in una concezione culturale che vede la rendita - cioè il guadagno generato dalla proprietà immobiliare come fonte di ricchezza “ma anche dallo sfruttamento di risorse naturali e di contenuti culturali immateriali e simbolici” - sostituirsi al reddito da lavoro.
«E la cultura della casa di proprietà, che ha radici nelle politiche abitative portate avanti negli ultimi decenni, ha plasmato non solo la società ma il senso comune. L’egemonia della logica della rendita, che fa sì che che una classe dirigente guidata da un ex banchiere riesca a presentare i propri interessi come interessi generali, blocca qualsiasi tentativo di dibattito, di discussione e di superamento dell’idea che la proprietà sia la migliore soluzione al disagio abitativo. Ma non è sempre stato così».
Il dibattito urbanistico in Italia è stato rimosso a partire dagli anni Settanta, spiega Gainsforth, «da un certo momento della nostra storia non si riesce più a parlare di casa, rendita, proprietà, affitto senza incontrare reazioni isteriche. Ogni volta che si parla di patrimonio e di riforma del catasto non se ne può parlare in maniera logica e razionale. Vezio De Lucia e altre importanti voci dell’urbanistica parlano di “controriforma” in questo senso».
Alla voce “reazioni isteriche”, Giorgia Meloni che vuole abolire il reato di tortura ma che definisce “mattanza sociale” la riforma di un catasto che non viene toccato dal 1939. (No, non chiuderemo con una battuta su chi c’era al governo nel 1939.)
È un sistema che ha fallito e rivelato a più riprese le proprie falle e fragilità strutturali, «se funzionasse saremmo tutti al 100% proprietari», spiega Tantillo, «ma il meccanismo si è inceppato perché il valore delle abitazioni in tutte le aree che non corrispondo al centro città - aree in cui vive più della metà della popolazione italiana - si sta abbassando sempre di più».
Poi c’è chi questa roba la dovrebbe spiegare al mondo dai giornali su cui scrive. «Una casa da un milione di euro [...] una casa come quella in cui tutti abbiamo vissuto con i nostri figli».
«Si pone quindi un problema fondamentale di impoverimento progressivo di una parte del territorio, e viceversa il problema di congestione di altre parti. Questo sistema non produce solo disuguaglianze, ma vere e proprie diseconomie». Sono le zone periurbane, gli hinterland, i territori più congestionati e che più soffriranno la crisi climatica e i suoi effetti devastanti. «È qui che davvero mancano servizi, scende il valore delle case e si diffondono le crisi. In queste zone si va a votare come un blocco, culturalmente convinto che ognuno si possa salvare da solo».
Un modello fallimentare, ma radicato, e ben protetto da interessi inscalfibili. «Quando abbiamo presentato il libro a Milano», ci spiega Sarah, «Alessandro Coppola ha detto una cosa interessante: siamo abituati a pensare che il tema della casa in Italia non si riesca ad affrontare per via della diffusione massiccia della proprietà.
Questa narrazione è talmente forte che si mette in atto un meccanismo di identificazione della “classe media” (che non esiste più) con gli interessi dei ricchi. E Alessandro suggeriva che in effetti servirebbe un’analisi della composizione del “blocco della proprietà”, e ne verrebbe fuori che la maggior parte dei proprietari non sono affatto benestanti e che eventuali riforme riguarderebbero una piccola minoranza della popolazione».
Per spiegare quant’è perverso questo sistema, Gainsforth ci ricorda che «sono ancora in piedi i piani di vendita. Se uno volesse migliorare la situazione dovrebbe innanzitutto smettere di vendere le case e cominciare a gestirle.
Nel PNRR la linea di finanziamento su “progetti di rigenerazione urbana” è pura e semplice ordinaria amministrazione delle città. Non si capisce perché questa roba qui debba essere finanziata con fondi di programmi straordinari anziché tentare di potenziare la macchina pubblica, iniziando a coinvolgere soggetti esperti, che conoscano i territori su cui si va a intervenire, e conoscono benissimo sia i problemi che le soluzioni. L’alternativa è, appunto, continuare a proporre grandi progetti in campagna elettorale, vederli fallire e sprecare tempo e denaro pubblico».
«L’approccio è tutto ideologico», aggiunge Tantillo, «basato sulla disconoscenza di quello che c’è e succede nel mondo e sull’affidamento cieco al mercato, alla “mano” che risolve e riequilibra tutto. Nel nostro paese non esiste neanche, il mercato: esiste un sistema feudale, organizzato in potentati e cartelli, con poche persone che possiedono e che controllano, banalmente, il prezzo delle case.
Quelle che si propongono sono soluzioni falsamente tecniche, e anche se ci fosse una via d’uscita non sarebbe raggiungibile se non tramite una soluzione politica, una scelta di campo». Una scelta di campo politico in senso elettorale? «Una visione che tenga conto di questi equilibri potrebbe anche essere declinato in programmi elettorali, se ci fosse un richiamo chiaro alla Costituzione che sottolinea che il bene pubblico viene leggermente prima del bene privato».
La realtà dei fatti non è questa.
Prima di lasciarci, qualche consiglio di lettura per approfondire il tema.
Prendiamo in primis dal lavoro dei nostri ospiti, che approfittiamo per ringraziare. Sarah Gainsforth ha pubblicato diversi lavori, di cui il più recente è “Abitare stanca. La casa: un racconto politico” (Effequ, 2022). Altri due approfondimenti interessanti: questo sul tema delle politiche abitative per gli studenti, e questo reportage sulla rigenerazione urbana di Roma.
L’ultimo lavoro editoriale a cui ha partecipato Filippo Tantillo è “L'Italia lontana: Una politica per le aree interne” (Donzelli, 2022). In questo articolo, invece, si occupa del tema della ripartenza delle aree interne dopo la pandemia.
Sulla situazione del diritto all’abitare, infine, un ottimo report di Rapporto Diritti.
Dopo questa boccata d’aria noi ci risentiamo domani, per rituffarci nel percorso che porterà alla composizione delle liste elettorali. Un ultimo sforzo prima di parlare davvero dei programmi, si spera.
Ciao!
Questo approfondimento domenicale della vostra newsletter è particolarmente interessante.
Bravi! Complimenti.