Ciao!
Siamo Pietro e Simone,
e questa newsletter si chiama Buone intenzioni. Quella robaccia di cui la strada per l’inferno è lastricata.
Volevamo iniziare questa mail in maniera più ironica ma la verità è che siamo intimoriti dal vostro sostegno: più di 200 persone si sono iscritte prima ancora che scrivessimo una sola riga su questa campagna elettorale. Non neghiamo di sentirci “confusi e felici”: se Draghi avesse avuto tutta questa fiducia, a questo punto noi saremmo in vacanza. Dal canto nostro, ce la metteremo tutta per ripagarla.
Ora iniziamo davvero.
Se a giugno 2022 un'entità ultraterrena ci avesse sussurrato all'orecchio
«...Carlo Calenda sarà il principale argomento della prossima campagna elettorale...»
avremmo preso per scema la suddetta entità.
E invece.
La notizia della giornata è che Carlo Calenda ha deciso di farsi dire di no dal centrosinistra. Facciamo una breve ricostruzione.
L’attuale legge elettorale prevede che un terzo dei seggi (147 alla Camera e 74 al Senato) venga assegnato attraverso un sistema maggioritario: il che significa che la coalizione vincente in quel collegio, anche solo di un voto, elegge il proprio candidato a scapito di tutti gli altri.
Questa campagna elettorale, insomma, gira intorno alle coalizioni che si fronteggiano. La destra è stata molto rapida e abile nel decidere di correre insieme, trovando persino un accordo sul possibile leader del governo secondo il principio per cui “chi prende un voto in più, esprime il premier”. Una scelta che non era scontata, dato che in molti nel centrodestra premevano per ridiscuterla al fine di spingere la coalizione verso il centro e non consegnare palazzo Chigi a Giorgia Meloni.
Il centrosinistra, invece, è come al solito spaccato. Abbandonata l’alleanza con il Movimento 5 Stelle, nella coalizione del Partito Democratico sembrano destinate a entrare nella coalizione una lista che riunisce Sinistra Italiana e Verdi, “Nuove Energie”, e la nuova lista di Luigi Di Maio, “Impegno Civico”.
In questo “campo larghissimo” sembrava dovesse entrare anche la lista di Azione (la formazione fondata da Carlo Calenda) e +Europa (che dal 2018 è casa di una parte dei Radicali Italiani). I sondaggi valutano la federazione tra le due forze parlamentari tra il 4% e il 6%. Invece, con il passare dei giorni sta prendendo sempre più piede l’ipotesi di un “terzo polo” che includa anche Renzi e altri pezzettini del mondo centrista. Quest’ammucchiata punterebbe a togliere voti a Forza Italia, come dimostrerebbe l’adesione in pompa magna ad Azione delle ex ministre forziste Mara Carfagna e Mariastella Gelmini. I berlusconiani non l’hanno presa bene. Per niente.
Nella serata di ieri, Azione e +Europa hanno reso pubblica una lettera a Letta indicando le loro condizioni per rientrare nella coalizione di centrosinistra.
Posizioni abbastanza radicali da far pensare che la lettera sia solo un pretesto per farsi dire di no.
La lettera a Letta (sì, l’abbiamo scritto volontariamente così) con le condizioni di Azione e +Europa per entrare nella coalizione. Una pratica lista in cui manca solo la pace nel mondo.
Ora il PD (anzi, «Enrico» in persona) è "chiamato a dare risposte". È una situazione in cui si è infilato da solo e con qualche colpa, visto che la segreteria del partito conosce bene Calenda, ministro dei governi Renzi e Gentiloni, ed entrato nel PD dopo le politiche del 2018. Per tenerselo stretto, il partito nel 2019 si presentò alle elezioni europee con un simbolo macchiato di blu, e una scritta: "Siamo Europei". Era il modo di ufficializzare la partecipazione attiva di Calenda alla campagna elettorale, e di convincerlo a essere una parte rilevante della vita del partito.
Per annunciare questa alleanza tra membri dello stesso partito, l’allora segretario del PD Nicola Zingaretti organizzò una sorta di gender reveal party.
Sappiamo com'è andata a finire. Qualche mese dopo, appena ufficializzata l'alleanza coi 5 Stelle (opera, peraltro, di Matteo Renzi, con cui Azione e +Europa si alleerebbero in caso rifiutassero la coalizione di centrosinistra), Calenda uscì dal partito e fondò Azione. Come se non bastasse, gli corse contro alle elezioni di Roma. Ed è proprio al "modello Roma" che Calenda fa riferimento quando pensa di essere un'alternativa sia alla destra che al PD, come ribadito anche in un’intervista di stamattina al Corriere in cui afferma: «Possiamo ripetere il risultato di Roma e determinare la sconfitta della destra sovranista». Dimenticando le differenze tra i sistemi elettorali e soprattutto che alla fine, quell’elezione, l’ha vinta il PD.
Quindi, oggi Letta deve decidere. Da una parte, farsi dettare la linea da un potenziale partner che può contare su circa il 5% nei sondaggi non farebbe piacere a nessuno, dentro al partito. Soprattutto non farebbe piacere a una parte di elettorato e a potenziali alleati a sinistra.
Dall'altra, il PD è davvero, davvero in difficoltà. Ha rotto a furor di popolo (o almeno, così dice) l'alleanza coi 5 Stelle e sta inseguendo un partner che fa di tutto per farsi dire di no. Certo, il partito non ha mai brillato per schiena dritta in termini di alleanze elettorali e di governo. Non cambiare abitudini e cedere sui punti di Calenda potrebbe dare un po' di ossigeno a una campagna elettorale che si è fermata all'accusa di tradimento verso chi ha fatto cadere il governo e la fermissima opposizione a Fratelli d'Italia.
Martedì 19 luglio Letta si dichiarava non preoccupato rispetto alla tenuta del governo. Mercoledì 20 luglio il governo Draghi è caduto. Forse è il caso che il segretario si tenga alla larga dall’aggettivo “sereno”.
Dimostrare di avere una strategia che funziona, anche solo una volta ogni tanto, non farebbe male.
Il PD risponderà alle richieste di Azione e +Europa, non sappiamo ancora come. Da buon ex democristiano, Letta potrebbe provare a rompere l’alleanza tra Azione e +Europa, trascinando con sé questi ultimi (più inclini a correre nel centrosinistra); o proporre una via di mezzo, cedere sulle nomine ma non su tutti i temi, o viceversa.
E se il duro e puro Calenda dicesse di no? Correrebbero da soli, o comunque con le “frattaglie” - termine utilizzato da Calenda, dall’alto di non si sa quale consenso plebiscitario - di questo centrosinistra sfilacciato?
L'alternativa è tornare dai 5 Stelle. Dopo tutte le male parole spese nelle ultime settimane da una parte e dall'altra sarebbe difficile. Soprattutto, non sarebbe credibile.
In ogni caso, questa telenovela si chiude sicuramente oggi. Anzi, non escludiamo affatto che Calenda annunci la decisione nel secondo esatto in cui premiamo per la prima volta il tasto invio.
Vi invitiamo caldamente a controllare non appena finite di leggere.
Il primo numero di Buone intenzioni finisce qui. Se avete dubbi, domande, curiosità o insulti potete scriverci a buoneintenzioninewsletter@gmail.com o sui nostri profili Instagram: @pietroforti.docx e @simonemartuscelli. Se invece questo primo numero vi è piaciuto così tanto da doverne parlarne con qualcuno, basta cliccare sul pulsante in basso.
A domani!
Certo che dovremmo smettere di appellare il PD come centrosinistra...