Ciao!
Siamo Sietro e Pimone,
e oggi torniamo finalmente a parlare di Carlo Calenda.
“Vi sono mancato?”
Il motivo è che finora abbiamo analizzato tutte le possibili combinazioni per la lista del leader di Azione: il no ai 5 Stelle, il sì al PD, il no ad un campo largo-ma-non-troppo, e alla fine la corsa solitaria. Ma non abbiamo considerato una possibilità che ieri si è fatta strada in maniera ancora timida ma da non sottovalutare: l’ingresso in un governo di centrodestra.
Prima di iniziare, ultimo reminder: stasera presentiamo per la prima volta la newsletter live a Roma, al festival Il mondo nuovo. Ci trovate in via Col di Lana, da Vanni, alle 19.30 circa. Se trovate questa newsletter davvero fastidiosa, avete l’opportunità di tirarci i pomodori dal vivo. Sarà comunque la cosa più rossa di questa campagna elettorale.
Noi, intanto, andiamo avanti come un treno. Iniziamo.
Ricostruiamo i fatti in ordine cronologico. E quindi, in principio fu Carlo.
Ieri sera Calenda, ospite su Sky TG24, dopo aver parlato a lungo del caro bollette - ribadendo la proposta di fermare la campagna elettorale per intervenire e la volontà di andare avanti sul progetto del rigassificatore di Piombino - ha parlato anche degli scenari post-voto.
“Penso che Azione/Italia Viva debba arrivare sopra il 10%, perché così sarà difficile formare un governo di parte e si potrà riformare un’area di responsabilità”, ha affermato, aggiungendo che “sette secondi dopo un eventuale successo di Azione/Italia Viva, Lega, Forza Italia e PD andrebbero a supportare una maggioranza Ursula”.
Peccato che questa definizione sia usata a sproposito.
Sì, è fisicamente una maggioranza.
Brevissimo passo indietro. Per “maggioranza Ursula” si intende l’insieme dei partiti italiani che hanno votato a favore dell’elezione di Ursula von der Leyen alla presidenza della Commissione europea.
La locuzione è entrata nel linguaggio politico soprattutto per un motivo, sul quale, a quanto pare, Calenda sorvola: quel voto, nel luglio 2019, si rivelò importante soprattutto perché fu uno dei primi segnali dell’”istituzionalizzazione” del Movimento 5 Stelle, che votò a favore di Von der Leyen insieme a Forza Italia e PD, mentre Lega e Fratelli d’Italia si espressero in maniera contraria.
Fu anche grazie a quell’avvicinamento che un mese dopo, quando Salvini decise di staccare la spina al governo gialloverde, PD e M5S trovarono un punto d’incontro per formare il Conte II. E fu proprio in quell’occasione che Calenda decise di lasciare il PD, in protesta contro la decisione di formare un governo con i 5 Stelle.
Appare bizzarro quindi che sia proprio lui, oggi, a farsi promotore di una coalizione di questo tipo. Per di più modificandone arbitrariamente il perimetro, escludendo il M5S e facendo rientrare la Lega, in quella che appare più una riproposizione della “maggioranza Draghi”.
Del resto, i piani di Calenda su Draghi erano già chiari da tempo.
In ogni caso, il dato politico del giorno è l’apertura del centro ad un governo che comprenda anche parti della destra. In un tentativo di disarticolare una coalizione che ad oggi sembra riuscire a nascondere tutte le sue crepe sotto il tappeto.
L’amore e la violenza.
La principale di queste crepe, ad oggi, è quella che riguarda la politica estera. Repubblica, stamattina, racconta ad esempio di come Bruxelles vede il prossimo voto italiano dalla prospettiva di un protagonista piuttosto importante: Manfred Weber, presidente del Partito Popolare Europeo, il principale gruppo politico del continente.
In questi giorni Weber sarà a Roma, dove incontrerà i rappresentanti delle due liste affiliate al PPE che corrono in queste elezioni: Silvio Berlusconi, per Forza Italia, e Lorenzo Cesa, segretario dell’UDC, per Noi Moderati.
Il nostro cuore non ha retto al logo dell’UDC.
Ma la linea del PPE su queste elezioni sembra ormai essere definita: sì a Meloni, se bisogna includere qualcuno a destra, e no a Salvini, se invece bisogna escludere. Una scelta anche di convenienza, se vogliamo, da parte dei Popolari: con l’uscita di scena di Angela Merkel, il gruppo più numeroso all’europarlamento si ritrova escluso dagli esecutivi dei quattro paesi principali dell’Unione (Germania, Francia, Italia e Spagna): e se per ritornare al governo bisogna allearsi con la destra più estrema, meglio che sia almeno più radicata nelle istituzioni europee e nei rapporti atlantici.
Come abbiamo analizzato già nel nostro speciale sull’Europa, Meloni è da questo punto di vista un partner molto più affidabile di Salvini. Presidente del gruppo dei Conservatori e Riformisti (ECR), la leader di Fratelli d’Italia condivide inoltre l’affiliazione politica con il PiS polacco, marcatamente anti-russo, e vanta ottimi rapporti con i conservatori statunitensi. A differenza di Salvini, il cui gruppo Identità e Democrazia si pone su posizioni ancora più euroscettiche e ospita forze filorusse come il Rassemblement National di Marine Le Pen.
Individuato l’alleato, però, il PPE vorrebbe comunque renderlo più innocuo. E starebbe pensando, a questo proposito, di proporre la “promozione” di Azione/Italia Viva all’interno della maggioranza, per aumentarne la quota moderata e includere nel governo anche rappresentanti di Renew Europe, il gruppo europeo dei liberali. Una composizione che assomiglia sempre di più ad una “maggioranza Frankenstein”.
Le brevissime prima di lasciarci.
Sul caro bollette, Di Maio propone di coprire con una spesa di 13,5 miliardi l’80% delle bollette delle imprese fino a fine anno, se dovesse andare al governo.
Visti i sondaggi, ci terremmo alla larga da promesse fossimo in lui. E dalle percentuali.
Infine, la lista di Marco Cappato, Referendum e Democrazia, è stata esclusa da tutti i collegi a causa della non validità delle firme digitali. Sembra quasi che un paese che non permette a 5 milioni di fuorisede di votare fuori dal proprio comune di residenza sia poco preparato a garantire normali meccanismi democratici.
Noi ci vediamo stasera, come dicevamo. Per i pochi che non ci saranno, ci si legge domani come al solito. Ma saremo leggermente offesi con gli assenti.
Ciao!