Ciao!
Siamo Pietro e Simone,
ed eccoci, con un po’ di ritardo, al penultimo approfondimento tematico di questa campagna elettorale.
Quest’ultima settimana non è per niente usurante.
Il tema è quello più ricco di sfaccettature, più reclamizzato nei passati quattro anni e mezzo e al contempo quello meno toccato durante la campagna elettorale. Almeno, non lo è stato nella misura in cui i partiti non fossero obbligati a parlarne. La transizione energetica, la siccità, gli eventi meteorologici estremi hanno fatto parte di questa campagna elettorale perché si imponevano in maniera quasi violenta.
Tali questioni, tuttavia, sono state a tratti oscurate da discussioni come quelle sul presidenzialismo, ridimensionate nei dibattiti su proposte minime (come il rigassificatore di Piombino) o molto astratte (come il nucleare), o ridotte a commiato davanti a morti tragiche.
La crisi climatica permea il nostro presente. Come verrà affrontata dal prossimo governo?
Iniziamo.
L’Osservatorio di Pavia e Greenpeace Italia hanno monitorato per 14 giorni la campagna di 14 esponenti politici, e il clima è stato menzionato nello 0,5% dei loro interventi. Al contempo, però, si è parlato moltissimo di qualcosa da cui l’azione contro la crisi climatica e la transizione ecologica dipende moltissimo: la politica energetica.
Il 2 febbraio 2022, la Commissione europea presenta un atto delegato complementare alla Tassonomia UE sulla transizione ecologica: in sostanza, gas e nucleare vengono considerate fonti compatibili con la transizione, e quindi sostenibili. Ventidue giorni più tardi, la Federazione Russa invade l’Ucraina.
Quando a luglio 2022 nel Parlamento europeo non vengono trovati i voti necessari a bocciare questo atto, il gas non fa già più parte dei piani dell’Unione allo stesso modo.
Vi abbiamo già lungamente parlato di prezzo del gas e di come ne viene determinato il prezzo, e di come soprattutto questo meccanismo coincide con quello che determina i prezzi delle energie rinnovabili. È proprio da qui che deriva il principale dei problemi: la maggior parte dei paesi europei ha un mix energetico che prevede molta più energia prodotta con il gas di quella prodotta con le rinnovabili, e il prezzo del gas è stato basso piuttosto a lungo.
E poi.
Questo ha portato a un aumento spaventoso del costo dell’energia e in particolare dell’elettricità, il cui mercato all’ingrosso è legato a quello del gas, e questo è il motivo per cui si parla di “disaccoppiamento”. Che insieme a “extraprofitti” è stata un po’ la parola dell’estate.
Al momento, dunque, l’Italia e l’Europa si trovano in una situazione molto complessa: devono cercare di diminuire il prima possibile la propria dipendenza dal gas per motivi geopolitici evidenti, e devono cercare di limitare (ove non proprio azzerare) il consumo di energia prodotta con altre fossili per motivi che ormai più o meno tutti saprebbero citare.
Ma l’Italia non parte da una condizione facile.
Beh, ottima mossa.
Gli obiettivi stabiliti al livello europeo nel piano Fit For 55 per il 2030 prevede che l’Italia installi impianti pronti a produrre tra i 70 e i 75 gigawatt aggiuntivi di energia prodotta con fonti rinnovabili. È davvero, davvero tanto: nel 2020 l’aggiunta ha portato a 1,09 GW e nel 2021 a 1,5 GW. Il programma del centrosinistra è tra i pochi a porsi l’obiettivo di rispettare i parametri: il PD dichiara di voler incrementare di 85 GW la produzione di energia da rinnovabili, quello di Sinistra Italiana e Verdi vuole che la produzione da rinnovabili costituisca l’80% dell’energia elettrica prodotta in Italia entro il 2030. Unione Popolare parla di nuovi 10 GW annui.
Curiosamente, gli schieramenti a sinistra della destra condividono quest’obiettivo con Confindustria. Vedi a volte il destino.
Il come farlo, attualmente, è un mistero: di piani industriali nei programmi dei partiti non se ne vedono molti, e non è un caso che l’unico punto portato da sette liste (in ordine sparso: Azione/Italia Viva, +Europa, Lega, Fratelli d’Italia, Movimento 5 Stelle, Forza Italia) a proposito del peso delle rinnovabili nel mix energetico italiano parlino esclusivamente di snellire la burocrazia che impedisce. Che è stato spesso e volentieri l’alibi del ministro Roberto Cingolani per giustificare il ritardo dell’Italia.
Un aspetto su cui ci si concentra molto poco, anche nel dibattito pubblico, è il tema della fiscalità ambientale. Oltre a SI/EV e Unione Popolare nessuno parla di abolire i sussidi per investimenti nelle fossili: il PD parla di “riforma fiscale verde”, +Europa e M5S propongono di sostituirli gradualmente mentre la Lega parla esplicitamente di mantenerli.
In tutto ciò, si è inserita la discussione sul nucleare. Un ritorno di fiamma che ha portato alcuni partiti a scrivere nei propri programmi cose un po’ avventate, ma in ogni caso il dibattito è più vivo che mai. Azione/Italia Viva e Lega ne fanno un cavallo di battaglia, che soprattutto nel programma del terzo polo sostituisce di fatto qualsiasi altra considerazione sulle rinnovabili.
Quest’estate italiana si è aperta con la tragedia sulla Marmolada, è stata scandita dai ritmi della siccità e si è conclusa con la tempesta perfetta abbattutasi sulle Marche.
Il legame tra il moltiplicarsi di eventi estremi e i cambiamenti climatica è uno dei punti principali su cui si è concentrato l’ultimo rapporto dell’IPCC (gruppo intergovernativo sul cambiamento climatico), divulgato in tre volumi tra l’agosto del 2021 e l’aprile del 2022. Nel secondo volume, “Impatti, adattamento e vulnerabilità”, sono valutati gli impatti devastanti sulla vita dell’essere umano.
Ovviamente, il campanello d’allarme recepito con più urgenza è stato quello degli effetti sull’agricoltura causati dalla siccità. A luglio in un’intervista al Manifesto il presidente dell’Istituto di meteorologia, Luca Mercalli, sottolineava quanto la crisi idrica fosse annunciata. E, soprattutto, quanto mancassero piani per intervenire sull’adattamento alla crisi climatica.
Quello dell’adattamento è un tema che manca quasi del tutto nei programmi elettorali. I due partiti in testa ai sondaggi menzionano solo la necessità di aggiornare il piano di adattamento esistente, fermo dal 2018.
Nel caso specifico della crisi idrica, proposte compaiono nei programmi di tutti i partiti. In nessun caso si fa menzione di eventuali costi di un piano straordinario, come quello proposto da Sinistra Italiana/Verdi e Partito Democratico. Si parla molto di efficientamento della rete idrica. La Lega propone la creazione di bacini idrici, Fratelli d’Italia di “dissalatori” per aiutare il settore agricolo. Il Movimento 5 Stelle e Unione Popolare parlano di tutela dell’acqua pubblica, mentre +Europa fa riferimenti a investimenti privati. Anche se in un’altro paese, preparato alla siccità persino meno dell’Italia, non è che operatori privati se la siano cavata granché meglio.
Parola agli esperti.
Abbiamo citato, qualche giorno fa, un intervento di Mario Tozzi sulla Stampa che si concentrava molto sul tema della cementificazione e su quanto essa impedisca di contrastare eventi meteorologici estremi. Sul dissesto idrogeologico, a destra il programma della Lega è quello più approfondito, che tuttavia sul consumo di suolo si limita ad affermare che sia necessario “semplificare il procedimento delle bonifiche”. Più o meno tutti gli schieramenti si distinguono per contrasto a nuove costruzioni, ma è il Movimento 5 Stelle a rivendicare in pompa magna un provvedimento passato: si punta al recupero dell’esistente con il contestatissimo Superbonus 110%, la cui estensione sembra poter essere infinita. L'edilizia, dunque, rimane un settore strategico, anche se è uno dei più energivori.
Giuseppe Conte davanti ai conti del Superbonus.
Ma durante la campagna elettorale c’è anche chi ha provato a far capire che affrontare la crisi climatica non può non essere la priorità di qualsiasi governo uscirà dalle urne.
Nei giorni in cui cadeva il governo Draghi e iniziava questa corsa alle urne, a Torino giovani di tutto il mondo si riunivano per il Climate Social Camp organizzato da Fridays For Future. La campagna elettorale nasceva così già sotto il segno della “prima elezione climatica della storia di questo Paese”, come sarebbe stata ribattezzata dai movimenti per il clima.
Ma le aspettative sono state disilluse. «In questi giorni uno studio (quello di Greenpeace e Osservatorio di Pavia, ndr) sottolineava come in realtà si sia parlato pochissimo di ambiente e crisi climatica durante questa campagna elettorale» ci dice Luca Sardo, tra i portavoce di Fridays For Future Italia. «Speravamo che queste potessero essere le prime elezioni climatiche, e che la crisi climatica potesse davvero essere al centro della campagna, ma non è stato così».
Quindi, gli attivisti hanno pensato di fare da soli. «Abbiamo presentato un nostro pacchetto di proposte, la nostra Agenda Climatica», racconta Luca.
No, non quell’agenda.
È un documento in cinque punti, che articola le idee del movimento per affrontare la crisi climatica. «Ovviamente la priorità è l’energia, dove è necessario rinunciare a tutti i nuovi progetti legati alle fonti fossili e costruire un nuovo modello energetico basato sulle rinnovabili e su comunità energetiche che permettano di abbassare i costi dell’energia». Ma si parla anche di trasporti («Bisogna andare verso il trasporto pubblico gratuito, sul modello del biglietto a 9 euro della Germania») e di edilizia («Il Superbonus va integrato con un nuovo piano di edilizia popolare, che sia a vantaggio delle classi più indigenti e favorisca l’efficientamento energetico delle abitazioni»).
Per questo, ma non solo, domani scenderanno in piazza per un nuovo Sciopero Globale per il Clima. «Per noi la dimensione globale resta importante: vogliamo portare all’attenzione di tutti anche crisi che vengono ignorate in Occidente, come quella in Pakistan. Ma ovviamente per noi italiani questa giornata ha un significato in più, per provare a portare all’attenzione dei media questi temi».
Tre anni fa, le europee del 2019 furono precedute anch’esse da uno Sciopero Globale, due giorni prima. In Italia l’”onda verde” non arrivò, ma fu più marcata nel resto d’Europa: e alcuni osservatori diedero i meriti proprio alla sensibilizzazione portata dalla manifestazione del venerdì precedente al voto.
Anche questa campagna, iniziata in un clima favorevole (perdonate l’ennesimo gioco di parole), finirà con una forte mobilitazione per l’ambiente. In mezzo, però, pochi fatti. Una metafora, forse.
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Non ci prolunghiamo oltre, e vi diamo tutto il tempo di digerire questo faticoso doppio invio.
Ai nostri lettori piace darsi un tono.
Noi ci sentiamo domani. È l’ultimo giorno di campagna elettorale. Grazie a Dio.
Ciao!
Bravissimi 🤗