20 agosto - Foglia di Fico
Meloni e Letta litigano, PD e M5S si corteggiano, i russi si intromettono
Ciao!
Siamo Pietro e Simone,
e se oggi dovessimo seguire i giornali parleremo esclusivamente di liti furibonde, di PD romano e, in qualche modo, di Suburra.
L’ultima volta che avevamo sentito una persona dire «ti compro» a un’altra persona non credevamo che una frase del genere potesse essere al centro di una campagna elettorale.
Ecco, oggi fossimo in voi non sprecheremmo un secondo a leggere quel che si dice della lite tra Albino Ruberti e i fratelli Francesco e Vladimiro De Angelis.
Proviamo a non parlarvene neanche noi.
Iniziamo.
Insieme alle questioni del PD romano, l’argomento più gettonato sui giornali di oggi è il botta e risposta tra i leader dei due partiti più avanti nei sondaggi: Giorgia Meloni ed Enrico Letta.
Qualche giorno fa il segretario del PD ha rilasciato un’intervista alla CNN in cui ha analizzato le possibili conseguenze di una vittoria della destra alle prossime elezioni: “Nel mondo sarebbero Trump, Putin e Orban a gioire se vincessero Meloni e Salvini. C’è il rischio di un profondo cambiamento di posizione dell’Italia sullo scenario internazionale”. Meloni ha replicato sostenendo che attraverso queste frasi “la sinistra va in giro a screditare la Nazione per difendere il proprio tornaconto”.
I due, a quanto pare, avranno presto la possibilità di confrontarsi l’una contro l’altro, stavolta in solitaria: il 22 saranno entrambi ospiti per un confronto da Bruno Vespa a Porta a Porta.
Sperando che si raggiungano di nuovo vette di questo tipo.
Per chiudere la questione, Letta ha replicato, a margine della presentazione delle candidature dei quattro capilista under 35 del PD: “La prima emergenza migratoria in Italia sono i giovani che se ne vanno. Lo dico a chi parla a vanvera di blocchi navali”. Tutto giusto, in apparenza. Il PD, però nel suo programma (che abbiamo provato a spiegare qui) parla molto anche di immigrazione, e pur concentrandosi molto sui giovani non si accenna mai alla fuga dei cervelli.
Quando si parla di fuga di cervelli il Partito Democratico non è che abbia lasciato esattamente un buon ricordo.
In ogni caso, con il proseguo della campagna elettorale il dibattito sulle politiche migratorie è destinato ad essere sempre più centrale.
Ecco perché il nostro speciale di domani parlerà proprio di immigrazione.
Stamattina sul Corriere c’è un’interessante intervista a Roberto Fico, presidente della Camera e presidente del Comitato di Garanzia del Movimento 5 Stelle.
Nonché protagonista di una delle migliori tag page di sempre.
Fico si avvia a terminare il suo secondo mandato, motivo per cui non verrà ricandidato nelle liste pentastellate. Si era parlato di un corteggiamento del PD nei suoi confronti, ma queste voci si sono risolte in un nulla di fatto. Ma proprio al rapporto del Movimento con il PD Fico dedica, in quest’intervista, un’ampia riflessione. Per Fico sono stati i Dem a “chiudere ogni possibilità di confronto”, ma il problema vero riguarderebbe “la concezione dell’alleanza”:
«Parlare di campo largo o campo progressista: sono punti di vista distinti e dirimenti. Il campo largo può comprendere il sì al nucleare, l’ok all’utilizzo di tecnologie più retrograde per la gestione dei rifiuti, il via libera al liberismo più sfrenato. Un campo largo così può essere un concorrente del centrodestra ma non è coerente con gli ideali in cui crediamo.»
Sostiene inoltre che nonostante le differenze sia possibile costruire delle convergenze con il Partito Democratico sulla base dei programmi, e cita come esempio Napoli, dove il sindaco Manfredi è sostenuto anche dal Movimento. Mentre si dice convinto che “le alleanze a freddo non funzionino”.
Non è la prima volta che PD e M5S in queste settimane si scambiano dichiarazioni in cui da un lato sembrano voler tenere la porta aperta, dall’altro non tentano una vera riconciliazione, probabilmente per paura del giudizio degli elettori. Un balletto che avvantaggia, neanche a dirlo, esclusivamente il campo opposto.
Ultime righe dedicate alla destra.
Ieri vi accennavamo delle difficoltà della destra rispetto alla questione russa, e in particolare sul ruolo delicato che la leader di coalizione Giorgia Meloni si ritrova a svolgere.
Oggi si parla abbastanza di quanto dichiarato dal presidente del Copasir (ovvero l’organo parlamentare che vigila sull’operato dei servizi segreti) Adolfo Urso. Alcune delle sue dichiarazioni fanno le copertine dei giornali, anche perché tra metafore altisonanti («L'Italia, per la sua storia e collocazione geografica, può quindi rappresentare il grimaldello con cui forzare l'atlantismo europeo») e proto-tecnicismi affascinanti («[...] interferenze ed ingerenze di carattere ostile che, in una dimensione sempre più ibrida e asimmetrica, possono ledere i nostri interessi strategici») il Copasir ha dato abbastanza spettacolo a riguardo.
Il presidente Urso, però, ha anche derubricato le dichiarazioni di ieri di Dmitrij Medvedev, che sarebbero «una carnevalata». Insomma, nessun motivo di agitarsi, anche se il pericolo che la Russia voglia influire sulle elezioni italiane (come ha tentato di influenzare quelle di mezzo mondo, d’altronde) rimane.
Perché ne parliamo in relazione alla posizione della destra e in particolare di Meloni? Semplicemente perché il presidente Adolfo Urso, che ricopre la carica dal giugno del 2021, è un parlamentare di lungo corso, attualmente senatore di Fratelli d’Italia. E dal nome di battesimo non ci si poteva aspettare nulla di diverso.
Non è un mistero che le posizioni di Fratelli d’Italia in politica estera siano le più marcatamente atlantiste all’interno della coalizione di destra. Le parole di Urso rappresentano bene il goffo tentativo di tenere insieme visioni che non sembrano essere compatibili. Su quale compromesso si assesterà la destra, e se ne troverà uno, resta uno dei principali interrogativi del post-voto.
Una campagna elettorale dominata dalla nostalgia.
Infine, la Lega ha presentato le sue liste. Nessuna sorpresa particolare: tutti i big sono confermati, mentre Matteo Salvini non correrà in nessuno dei 68 collegi uninominali su 221 (il 30% circa) che spettano alla Lega all’interno della coalizione, ma sarà candidato al Senato in un collegio proporzionale di Milano. Qualche problema invece nel resto del centrodestra, e in particolare in Forza Italia, soprattutto per quanto riguarda il meccanismo delle quote rosa, per cui la proporzione tra i generi non può essere inferiore al 60-40.
Il ritiro delle donne da Forza Italia resta tuttora incomprensibile.
Come vi anticipavamo ieri, dopo il consueto approfondimento tematico della domenica ci prendiamo una breve pausa. Ci sentiamo comunque il 26. Mancherà un mese alle elezioni.
A domani!