Ciao!
Siamo Simone e Pietro,
e oggi è domenica: il che vuol dire che è il giorno del nostro speciale tematico. Riepiloghiamo le regole d’ingaggio: si tratta di un numero più trasversale del solito in cui parliamo, spesso insieme a qualche ospite, di un tema specifico analizzando le posizioni dei partiti e cercando di dare un’occhiata allo stato dell’arte. In questo numero, il tema è l’Europa.
Un tema su cui regna la chiarezza.
Se il rapporto quasi ingenuamente conflittuale con l’Unione che caratterizzava la prima fase della XVIII legislatura si è andato addolcendo (anche perché per molti versi nell’Unione è diventato facile ridurre a parìa chi esce dai ranghi, soprattutto a seguito dell’invasione dell’Ucraina), c’è chi si prepara da tempo ad affrontare da premier le enormi sfide del futuro prossimo in Europa. E chi, invece, proprio non sembra capire dove collocarsi.
Ultimi avvisi: se ci avete scoperto durante questa seconda settimana della nostra newsletter che si avvia alla conclusione (come vola il tempo quando ci si diverte, eh?) per sostenere il nostro lavoro vi basta semplicemente condividerlo: ad esempio, inviando questa mail ad amici con il pulsante in basso.
Inoltre, potete scriverci per qualsiasi cosa a buoneintenzioninewsletter@gmail.com, o sui nostri profili Instagram: @pietroforti.docx e @simonemartuscelli.
Siamo andati lunghi già con gli onori di casa, non è un buon segno. Iniziamo.
Se negli ultimi tempi vi è sembrato che Giorgia Meloni stesse rivolgendo un occhio di riguardo all’estero, è così. Ieri abbiamo scherzosamente citato il discorso in tre lingue divulgato sui social in cui dichiarava che il fascismo era stato “consegnato alla storia”, ma è decisamente il punto più grottesco e meno importante della strategia della leader di Fratelli d’Italia.
A proposito di lingue.
Da quando il partito europeo di cui Fratelli d’Italia fa parte, lo European Conservatives & Reformers Party (ECR), è rimasto privo di una testa con l’uscita di scena dei Tories britannici, il gruppo paradossalmente si è rafforzato e unito. E l’ha fatto, negli ultimi due anni, sotto la guida di Giorgia Meloni.
L’estrema destra, in Europa, è molto divisa. Fidesz, partito ungherese di Viktor Orbàn, dopo aver fatto parte per anni del gigantesco e “moderato” Partito Popolare Europeo ne è uscito poco più di un anno fa (prima di essere cacciato). La Lega salviniana è alla guida di Identity & Democracy insieme Marine Le Pen, che guida il Rassemblement National, e ai tedeschi di Alternative für Deutschland. Pur essendo il quinto gruppo più numeroso grazie all’exploit di Salvini nel 2019, ID conta un solo eurodeputato in più di ECR. Questi invece si apprestano a esprimere ben tre capi di governo (Italia, Repubblica Ceca e Polonia), un vicepresidente del Parlamento europeo (il lettone Roberts Zīle) ed è ben posizionata in Spagna, con Vox al 16% nei sondaggi.
Sarebbe facile, oggi, cogliere la differenza tra ID ed ECR sulla base della condanna più o meno dura nei confronti dell’invasione russa dell’Ucraina. Lo storico rapporto tra Lega e Russia Unita (partito di Vladimir Putin) e in generale la stima di Salvini per il presidente russo è nota, e lo stesso vale per Le Pen e AfD. Al contrario, la presenza massiccia di partiti dell’Europa orientale in ECR, come per la Polonia storicamente anti-russa, garantiscono (o rendono obbligatorio) al partito europeo di Meloni un sostegno chiaro alla causa atlantica.
Poi c’è questo piccolo inconveniente da risolvere.
In ogni caso, la collocazione europea di Giorgia Meloni è davvero ottima. Guida dall’ottobre del 2020 un partito europeo alla ribalta, e che a causa dell’invasione russa dell’Ucraina è riuscita anche a mettere da parte, almeno temporaneamente, le proprie beghe con la burocrazia europea. Paradossalmente gli alleati europei di Meloni, e in particolare la Polonia, nonostante il ritorno dello scontro sullo stato di diritto sono rafforzati dall’attuale situazione internazionale. E lo sanno.
Sulle politiche migratorie, il programma dei Conservatori e Riformisti è chiarissimo, e quasi “nostalgicamente” ispirato alle proposte di Boris Johnson, con cui si complimentano per la deportazione in Ruanda di “irregolari” per aver «terminato l’immigrazione illegale». È interessante quanto la politica ambientale sia assente e al contempo gli garantisca un grande successo. Il partito si concentra soprattutto sul costo della transizione ecologica, e cerca di tenere a bada gli animi sostanzialmente negazionisti che lo compongono. Il tutto senza avere alcuna politica energetica in campo. Ma su questo fronte Meloni punta tutto in casa, con due carte: il sì al nucleare e il buon rapporto con Claudio Descalzi, amministratore delegato di ENI.
L’Europa di Giorgia Meloni è davanti agli occhi di tutti, e potrebbe diventare realtà nel giro di poche settimane.
Se perfino a destra la politica estera, e in particolare le appartenenze europee, sono motivo di divisioni interne, vi lasciamo immaginare la situazione nel già frammentato campo di centrosinistra.
Il Partito Democratico è saldamente collocato all’interno dell’Alleanza Progressista dei Socialisti e dei Democratici, della quale rappresenta il secondo partito per numero di parlamentari dopo il PSOE spagnolo. Azione e Italia Viva si collocano in Renew Europe, ovvero il gruppo dei Liberaldemocratici guidato da Emmanuel Macron. Discorso più complesso per Sinistra Italiana - che è parte del gruppo della Sinistra europea, ma solo come osservatore esterno - e soprattutto per il Movimento 5 Stelle, che non fa parte di nessuna alleanza continentale.
Per capirne di più abbiamo parlato con Gloria Bagnariol, campaigner e parte dello staff della comunicazione per il gruppo al Parlamento europeo The Left. «Queste elezioni potevano rappresentare una possibilità di chiarezza del quadro politico, come sono state le elezioni francesi in cui da tempo era chiaro cosa fosse il centro, cos’era la sinistra e cosa la destra. Questa cosa invece in Italia non è successa, questi blocchi non sono chiari».
Il balletto delle alleanze a cui abbiamo assistito in questa prima parte di campagna elettorale aveva anche, e soprattutto, questo significato: ridisegnare lo schema politico e provare a restituirgli un nuovo equilibrio. Un tentativo fallito. L’idea del PD, per tutta la durata del Conte I prima e del governo Draghi poi, era quella di coinvolgere il Movimento 5 Stelle in un “campo largo” di centrosinistra, sacrificando all’occorrenza il dialogo con il centro perché meno “proficuo” in termini di consensi. Ma la mossa che ha messo fine al governo di unità nazionale ha interrotto il dialogo con i pentastellati e prospettato la possibilità che tra centrodestra e un centrosinistra largo a rimanere schiacciato fosse proprio il M5S. Uno schema durato fino all’addio di Calenda, che ha aperto una fase di profonda incertezza destinata a durare probabilmente anche dopo il voto. E che si riverbererà anche sulle alleanze europee.
“C’è il M5S che si sta posizionando su temi progressisti ma probabilmente lo fa solo per opportunismo comunicativo; c’è il PD che non ha ancora sciolto la sua riserva se essere un partito più d’ispirazione macroniana o di centrosinistra; e poi c’è una parte di sinistra radicale abbastanza subalterna ad un centrosinistra molto spostato al centro”, dice Bagnariol.
Soprattutto il riposizionamento del M5S è degno di nota. “Il primo gruppo di parlamentari eletto dal Movimento è confluito in tutti gli altri gruppi europei” fa notare Bagnariol. Il progetto attuale dei vertici pentastellati, ormai da tempo, è quello di ottenere l’ingresso nel gruppo dei Verdi europei. Un’alleanza cresciuta moltissimo alle ultime Europee ma che in Italia fatica a trovare interpreti credibili. “Anche a livello europeo ci sono contraddizioni, soprattutto rispetto ai Verdi che hanno incarichi di governo, come in Germania, che si stanno spostando a destra. La vera domanda è: le politiche che sostengono sono una critica al sistema capitalista o portano avanti il mito dell’individuo ‘eco-responsabile’?”
Quello delle politiche ambientali è un tema particolarmente delicato a livello comunitario, soprattutto alla luce della recente crisi energetica. Il dibattito europeo si era già acceso negli ultimi tempi intorno al tetto sul prezzo del gas, chiesto anche dall’Italia e portato a casa, in maniera parziale, da Spagna e Portogallo. “Una delle cose più “avanguardistiche” che il governo Draghi ha fatto negli ultimi mesi è stata la windfall tax, la tassa sui profitti extra dell’energia. Risulta però che le aziende non l’abbiano pagata”. Ovviamente, nulla riguardo a questi temi rientra nel programma del centrodestra.
Infine, un tema ignorato finora da questa campagna elettorale. Il prossimo governo sarà chiamato, con tutta probabilità, a rinegoziare i termini del Patto di stabilità, sospeso a causa dell’emergenza Covid. “Per quanto non siano affatto la stessa cosa, né un governo di centrodestra né un governo Letta sarebbe in grado di rinegoziare il Patto di stabilità in favore delle classi popolari”, afferma Bagnariol. “Sono gli stessi responsabili dell’inserimento del pareggio di bilancio in Costituzione, uno di quei momenti in cui l’Italia ha provato ad essere ‘più realista del re’ accartocciandosi senza motivo”.
Un’ultima cosa prima di salutarvi: ci prendiamo una breve pausa di 24h per Ferragosto, ma confidiamo che il papiro che vi abbiamo appena inviato basti per due giorni. Ci risentiamo dopodomani.
A martedì!