12 agosto - Dio li fa, e poi
Ciao!
Siamo Pietro e Simone,
e Carlo Calenda ha finalmente trovato un amichetto con cui giocare.
Sarebbe materiale per Scopertine, ma ci proviamo. Low quality best quality.
Ieri è stato annunciato l’accordo definitivo tra Azione e Italia Viva, che correranno con una lista unica separata dalle due coalizioni principali. Il Grand Tour di Calenda alla scoperta della politica italiana, in sostanza, è finito tra le braccia sicure di Matteo Renzi.
Sparare sulla croce rossa.
Ma per nostra fortuna, ieri non è successo solo questo. Quindi, iniziamo.
L’intesa tra Azione e Italia Viva è stata trovata in tempi rapidissimi: solo cinque giorni fa Calenda era ancora pronto a correre con il Partito Democratico, mentre oggi un accordo rifinito in tutti i dettagli è già pronto con il nuovo alleato. Ma cosa prevede?
I due partiti correranno in una lista unica. Calenda avrebbe preferito una coalizione, con i due partiti pronti a presentare ciascuno liste proprie. Ma con la questione della raccolta firme ancora poco chiara, si è probabilmente deciso a non rischiare.
I candidati nei collegi saranno ripartiti 50 e 50 tra le due compagini, così come saranno equamente distribuiti i capigruppo: a uno la Camera, all’altro il Senato. Nelle partecipazioni televisive, però, sarà Azione ad essere predominante, con Calenda ad interpretare il ruolo di leader della lista. Come dimostra il logo, presentato anch’esso ieri.
Scusi, non ho capito bene il nome.
A partire da questa immagine, sorgono spontanee almeno due domande. La prima riguarda l’ego gargantuesco di Calenda, ma più che una domanda è una certezza ormai acquisita in questa primissima parte di campagna elettorale.
L’ex ministro dello Sviluppo economico sembra davvero convinto, inebriato forse da un 6% nei sondaggi più ottimisti o dal quasi 20% ottenuto nella corsa a sindaco di Roma, che il suo nome sia un asset in grado di spostare pacchetti di voti. Giureremmo che non è così. Ma visto che si tratta solo di uno scontro tra percezioni diverse, rimandiamo questa valutazione al post-voto.
L’altra domanda, però, riguarda l’alleato. Che fine ha fatto il Matteo Renzi che conosciamo? Quello così pieno di sé che avrebbe fatto impallidire Calenda al suo cospetto? Ieri, con una storia Instagram, l’ex premier ha affermato che “anche in politica servono gli assist”, annunciando in sostanza il suo passo indietro per favorire la leadership di Calenda.
Ok boomer.
Non vogliamo fare sempre quelli dalla scarsa fiducia nell’umanità, quindi vogliamo prendere per buona l’ipotesi che Renzi sia davvero incappato in un bagno di umiltà. O anche solo che abbia capito gli effettivi vantaggi derivati dal tenere un profilo basso, lasciando la scena all’alleato sulla cresta dell’onda.
L’alternativa sarebbe che Renzi, fiutando dall’inizio il fallimento annunciato di questa operazione nata all’ultimo e in maniera forzata, sia più che felice di intestarla nella maniera più marcata possibile a Carlo Calenda. Messo davanti alla possibilità di non entrare nemmeno in Parlamento, se avesse corso da solo, Renzi avrebbe afferrato volentieri la mano di Calenda per trascinarlo giù nel baratro il 26 settembre. Ma sarebbero, appunto, idee da persone con scarsa fiducia nell’umanità. E in Matteo Renzi.
That smile. That damned smile.
Parlando di cose più leggere, iniziano a circolare le prime versioni dei loghi delle liste, che a partire da stamattina e fino al 14 possono essere depositati al Viminale. E alcuni sono di una bruttezza immonda.
Forse il premio di logo passibile di azioni legali per vilipendio alla scheda elettorale va a “Noi moderati”, che punta a essere il centro della locuzione “centrodestra”. Il presidente ligure Giovanni Toti e l’ex ministro Maurizio Lupi avevano già raggiunto un accordo per le proprie liste: dopo essersi ulteriormente federati con “Coraggio Italia”, dove si erano a loro volta uniti sindaco di Venezia Luigi Brugnaro e l’UDC (amarcord), hanno deciso di prendere un cerchio blu, scriverci “Noi moderati” e copiaincollarci gli altri due loghi.
Era già confuso il primo, diciamocelo. Ora immaginatevi questa roba su un diametro di 3 centimetri.
Chi non ha presentato ancora il logo è il Movimento 5 Stelle. Le parlamentarie avranno luogo il 16 agosto, e mentre c’è chi dice (stranamente sul Fatto) che possa arrivare ad ottenere un buon numero di consensi, c’è chi rema contro. Di Alessandro Di Battista vi avevamo già parlato ieri l’altro, e vi avevamo accennato anche di qualche tipo di intesa con Virginia Raggi. In effetti, ormai è in aperta contesa con Giuseppe Conte e con chi ha stabilito l’inviolabilità del vincolo dei due mandati. E afferma che secondo quella regola lei sarebbe candidabile. Anche se il primo mandato al consiglio comunale di Roma l’ha iniziato nel 2013 (calcolato come “mandato zero” - ancora, che ricordi), il secondo è stato svolto da sindaca tra il 2016 e il 2021 e il terzo è iniziato con la sconfitta alle ultime amministrative, e la conseguente elezione a consigliera comunale.
Ah, vi ricordate quella bozza di programma condiviso per il centrodestra (che non sono i programmi di partito)? Ora è definitiva e firmata da Meloni, Salvini, Berlusconi e Lupi.
Ve ne parliamo a breve.
A domani!