3 agosto - Che settimana, eh?
Ciao!
Siamo Pietro e Simone,
e ieri abbiamo preso il nostro primo parziale granchio, descrivendovi l’accordo tra Letta e Calenda come ancora lontano mentre - come avevamo provato ad accennare verso la fine - stava diventando una possibilità concreta.
Immagine a colori di noi, oggi, mentre cerchiamo di non prenderci più certi rischi.
Ci viene da riderci su non solo perché è il nostro modo di affrontare più o meno qualsiasi cosa, ma anche perché riteniamo che, piuttosto che di un’eventuale nostra scarsa lungimiranza e pazienza, questa storia sia indicativa invece della capacità della classe politica italiana di fare e disfare in pochissime ore.
Adesso però, visto che quell’accordo è l’argomento del giorno, analizziamolo.
Ne parlano letteralmente tutti, con uno scarso livello di fantasia. E sì, stiamo parlando della pubblicità di Prostamol, vera metrica per capire il target dei giornali italiani.
Partiamo dal programma.
Dal testo dell’accordo, che si può leggere qui, quello che sembra venir fuori è un forzatissimo collage che prova a tenere insieme le proposte di tutti.
Si parla di “un’intensificazione degli investimenti in energie rinnovabili”, tema caro ovviamente ai Verdi, per poi virare sulla “realizzazione di impianti di rigassificazione nel quadro di una strategia nazionale di transizione ecologica virtuosa e sostenibile”, che strizza invece un occhio a Calenda e snobba invece le proteste dei rossoverdi contro l’impianto di Piombino.
Sulle questioni economiche, poi, la faccenda si fa ancora più complessa.
“Ha fatto lei quest’orrore?” “No, è opera vostra.”
Si parla della volontà di fare il salario minimo, e vivaiddio. Ma c’è anche la promessa di ridurre in maniera “consistente” il cuneo fiscale (“a tutela in particolare dei lavoratori”, difficile tassare i disoccupati) e di non aumentare la pressione fiscale complessiva. La domanda sorge quindi spontanea: dove prendere i soldi?
Forse dalla revisione del Reddito di Cittadinanza e del Bonus 110%, da operare ovviamente “in linea con gli intendimenti tracciati dal governo Draghi”, nonostante sia ancora poco chiaro quali siano questi intendimenti. L’importante è dare al tutto un’aura di competenza in più.
C’è poco però da girarci intorno: il patto è soprattutto elettorale. Il Partito Democratico ha fatto una grossa concessione a un alleato che, sostanzialmente, andava convinto: il 70% dei seggi conquistati al proporzionale andrà al PD, il 30% alla federazione di +Europa e Azione. Come abbiamo detto nei giorni scorsi, lo scontro elettorale decisivo si consumerà nei 221 collegi uninominali, dove il più votato vince tutto, e qui il PD avrà effettivamente bisogno di aiuto (secondo il Corriere, avrebbe la vittoria in tasca solo in 10-15 di questi collegi).
Evidentemente, serve proprio qualunque tipo di aiuto.
Proprio sulle candidature negli uninominali si è raggiunto un accordo. Nicola Fratoianni, segretario di Sinistra Italiana, aveva accettato di non candidarsi agli uninominali pur di non essere vittima dei veti di Calenda, che aveva attaccato soprattutto lui e Luigi Di Maio in quanto figure “divisive” (dimenticandosi, probabilmente, di aver appena portato a bordo due ex-ministre dell’ultimo governo Berlusconi, una delle quali porta il nome della riforma dell’istruzione pubblica più disastrosa e detestata dalla base elettorale del PD).
L’accordo è questo: non ci saranno candidature “divisive” e di leader di partito in questi collegi. Il che, a pensarci, è abbastanza ironico: Letta, Calenda, Bonino, Fratoianni, Bonelli, Di Maio, Carfagna, Gelmini non si candideranno nei collegi dove questa coalizione più rischia di perdere.
E infatti, a chi guida piccoli partiti (come Di Maio) è stato offerto il “diritto di tribuna”: se la formazione non dovesse superare la soglia di sbarramento, com’è probabile in molti casi, ci sarebbe un posto tra i seggi del PD.
Se si dovessero mettere gli occhi su giornali di destra, in questi giorni, ci si accorgerebbe che questo è un ritornello nostalgico che si legge spesso.
L’accordo celebrato ieri, però, è tutt’altro che risolutivo della situazione nel centrosinistra. Innanzitutto, non è granché contenta una parte del PD, soprattutto per le ampie concessioni in termini di seggi che Letta ha dovuto fare all’alleato ritrovato. Il segretario, secondo Repubblica le avrebbe giustificate così: «Siamo il partito più grande della coalizione, nell’interesse dell’Italia dobbiamo esercitare una maggiore responsabilità»
Non è contenta neanche la base di Azione. Calenda ha passato tutta la serata di ieri e la mattinata di oggi su Twitter a rispondere a chi lo criticava l’accordo.
E per Carlo Calenda Twitter è sempre stato un’importante base elettorale.
Al di là di Twitter, Calenda deve misurarsi con quest’accordo anche all’interno del partito. Giampiero Falasca, il responsabile tematico di Azione per relazioni industriali e rapporti di lavoro, si è dimesso dal suo ruolo nel partito in aperta critica con l’accordo. Per un leader la cui storia passa da Confindustria e dal Ministero per lo Sviluppo Economico non è una perdita da poco.
(Vabbè, in realtà anche questo annuncio arriva da Twitter.)
Non è contento Matteo Renzi, che ora si ritrova da solo al centro: tutte le formazioni politiche interlocutrici di Italia Viva si sono accasate dall’una o dall’altra parte. Secondo Repubblica lo stesso diritto di tribuna sarebbe stato offerto anche a Renzi, che però avrebbe rifiutato. Il PD smentisce, ma sia Letta che Calenda nella giornata di ieri hanno parlato di “porte aperte” nei confronti di Renzi assicurando che “non ci sono veti”. Ma sia Renzi che Boschi hanno parlato di rancori personali della coalizione di centrosinistra nei loro confronti. Chissà come mai.
In foto, un uomo che non prova rancori personali.
Non è contento Giuseppe Conte, ma questo è scontato. Ormai, con Calenda a bordo, qualsiasi spiraglio per un’alleanza col PD è chiuso, a fronte di questa “ammucchiata”. Ed è già arrivato il momento di rivolgersi a vecchie conoscenze, ma questa sarà la storia di un’altra giornata di questa campagna elettorale.
Ma soprattutto, si sorride poco dalle parti di Verdi e Sinistra Italiana, federati in un’unica lista. Calenda ha attaccato i due partiti senza sosta, e Letta ha accettato dei punti (come quello sui rigassificatori) probabilmente irricevibili per Angelo Bonelli e Nicola Fratoianni. Entrambi hanno rifiutato il diritto di tribuna. Bonelli sul Corriere sostiene che la loro federazione vale più voti di Calenda e chiede il no al nucleare (a cui Azione dedica una parte importante del proprio programma energetico). Fratoianni sulla Stampa sostiene che il dialogo coi 5 Stelle vada riaperto (Calenda avrebbe voluto chiudere anche a ex 5S) e che la cosiddetta “agenda Draghi” non gli appartiene.
Oggi Letta incontrerà proprio Bonelli e Fratoianni, per chiarire la situazione. Ora, siamo stati un po’ frettolosi ieri nel dire che l’accordo tra Partito Democratico e Azione/+Europa fosse lontano. Oggi non ci sbilanciamo, ma penso abbiate capito dove stiamo andando a parare.
(Intanto, sui social sta girando un appello e una raccolta firme su Change.org a fare “qualcosa di sinistra”. Rivolto anche a Sinistra Italiana.)
A destra, Giorgia Meloni è coinvolta in una sorta di carteggio con Ernesto Galli della Loggia, editorialista del Corriere, sul significato della parola “conservatore”.
Berlusconi, per ammazzare il tempo, lancia il simbolo da barrare all’estero.
Salvini è in Calabria.
La definizione di relax estivo.
A domani!