Ciao!
Siamo Pietro e Simone,
e no, questo titolo non è dedicato al fratello di Ignazio La Russa.
Perle per cui vale la pena di aver seguito la campagna elettorale della scorsa estate.
Vi annunciamo che siamo contenti di partecipare insieme a voi al giochino della settimana.
Droppa una foto di agosto.
Ma tralasciando il rimpianto per un’estate che avremmo potuto impiegare diversamente, per questa settimana avevamo in programma di dedicare ampio spazio alle prossime Regionali, nella speranza che a meno di un mese dal voto iniziasse a succedere qualcosa che valesse la pena raccontare.
Invece, la campagna procede piatta. E in compenso, come saprete, è stato arrestato il principale latitante degli ultimi trent’anni. Cambiare piani in corsa ci è sembrata la cosa migliore da fare.
Quindi, iniziamo.
Ovvero il luogo dove immaginiamo che Vittorio Feltri abbia festeggiato la cattura.
L’arresto di Matteo Messina Denaro è stato accolto con il solito misto di tripudio e scetticismi quando si parla di notizie grosse in Italia, in particolare quando si parla di mafia.
Il fatto che questo video sia arrivato immediatamente primo in tendenza su YouTube il giorno dell’arresto la dice lunghissima sulla serietà di questo dibattito.
Sulle indagini e sull’arresto dell’ex super-latitante moltissimo verrà detto e scritto, non da noi. Ci duole davvero essere anche solo tangenzialmente concordi con il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi: in questo momento storico, ha una rilevanza minima dal punto di vista politico-parlamentare.
Per quanto rimanga un evento estremamente memabile.
Tutto l’arco parlamentare, giustamente, si rallegra del fatto che uno dei responsabili della stagione stragista mafiosa paghi finalmente per i suoi crimini. Certo, come avrete intuito dal titolo di Libero qualcuno si sta intestando più di altri l’arresto, anche legittimamente considerando che si trova al governo al momento della cattura.
Ricordiamoci pur sempre che quando fu arrestato un ex-latitante di bassissimo rango come Cesare Battisti due ministri andarono all’aeroporto a farsi fotografare mentre lo aspettavano. Questo solo per ricordare che tutto fa brodo.
Ma, come più o meno ogni spiffero d’aria in questo momento per la destra, anche l’arresto di Messina Denaro è stata l’occasione per celebrare una nuova semi-spaccatura.
Il ministro della Giustizia Carlo Nordio, eletto in quota Fratelli d’Italia, è notoriamente un liberale e garantista. Il che non si sposa granché bene con l’anima intimamente forcaiola dell’elettorato, soprattutto quello che ha premiato il partito di Giorgia Meloni alle ultime elezioni.
Una premier como yo no esta pa’ ministros como tuUuUuUu
Il guardasigilli aveva dichiarato già più di un mese fa, in commissione Giustizia al Senato, di voler intervenire sulle norme che regolano l’utilizzo delle intercettazioni: da una parte Nordio critica pesantemente la pratica della pubblicazione a mezzo stampa, dall’altra ritiene che l’utilizzo eccessivo di questo mezzo possa portare ad abusi d’ufficio.
Friendly reminder della posizione del corrente governo su abusi da parte di uomini dello Stato.
Nordio propone di utilizzare le intercettazioni solo per reati gravi come mafia e di terrorismo. Interessante, soprattutto dopo aver approvato un decreto che dà il via libera a intercettare le comunicazioni anche di chi sta organizzando un rave. Reato senz’altro comparabile allo stragismo.
Sulle intercettazioni, le spaccature non sono tra partiti come sempre (ne parliamo tra poco), ma interne soprattutto a Fratelli d’Italia. Forza Italia si è sempre detta favorevole a una revisione, e in effetti in questo caso Nordio sembra più un ministro forzista che uno meloniano. E pensare che Berlusconi non lo voleva.
L’opposizione, capeggiata dai 5 Stelle con l’ex procuratore antimafia Federico Cafiero de Raho, ha colto la palla dell’arresto di Messina Denaro al balzo per controbattere colpo su colpo in difesa delle intercettazioni.
Bonus track: in tutto ciò, Meloni ha fatto una gran confusione su ciò che è stato fatto dal proprio governo sull’ergastolo ostativo, che non è sinonimo di carcere duro.
Pure il 41bis non è proprio un argomento su cui scherzare. Anche se quanto fa ridere ora un ex ministro della Giustizia che di cognome fa “Bonafede”.
Cambiando argomento: ad agosto, oltre a sudare seduti alla scrivania, ci è capitato anche di dire qualcosa di vagamente intelligente. Nella newsletter del 31 agosto scrivevamo:
“Ma se dovessimo scommettere su un punto in grado di rompere l’armonia interna al centrodestra, (...) probabilmente opteremmo per le riforme istituzionali.”
La prima pagina di Repubblica di lunedì sembra fatta apposta per darci ragione.
Come scrive Matteo Pucciarelli su Rep, mentre la Lega approfitta delle prossime regionali in Lombardia per promettere la riforma sulle autonomie entro il 2023, Fratelli d’Italia evita il discorso e se deve parlare di riforme istituzionali, preferisce puntare tutto sul presidenzialismo e sulla riforma di Roma capitale.
Ma la premier Meloni non è l’unica a titubare di fronte alla proposta leghista. Anche Forza Italia ha espresso parole di scetticismo (l'Italia «non può essere divisa» e «non si può penalizzare il Sud», ha affermato Tajani), e a inizio anno più di 50 sindaci del Sud avevano indirizzato una lettera ufficiale a Mattarella per sollecitare l’impegno a ridurre i divari territoriali e fermare la riforma Calderoli.
Anche perché insomma, come quest’uomo possa ancora fare riforme resta un mistero.
Mercoledì, a questo proposito, si è tenuto un vertice di maggioranza a palazzo Chigi per provare a ricomporre le fratture createsi nei giorni precedenti. Un summit concluso con una “tregua” che non fa altro che rimandare la resa dei conti: la riforma sull’autonomia arriverà sul tavolo in uno dei prossimi Consigli dei Ministri, e già si prospettano delle trattative alquanto difficili; mentre sul presidenzialismo le vaghe indicazioni sono quelle di completare il percorso “nel più breve tempo possibile” e “col più ampio coinvolgimento del Parlamento”, con la possibilità di una Bicamerale che resta ancora in piedi.
Ma oltre all’opportunità politica di portare avanti le due riforme in parallelo, il grande punto interrogativo resta l’assetto statale che potrebbe venir fuori da questo combinato disposto. Se la “secessione dei ricchi” voluta dalla Lega dovesse andare in porto, non basterebbe di certo l’accentramento di più poteri nelle mani di un Presidente a garantire la coesione dello Stato.
E men che meno le sparate di Salvini che crede di essersi riscoperto meridionalista grazie al Ponte sullo Stretto.


Matteo, Messina, denaro.
In chiusura, qualche notizia in breve.
Si sono tenute le elezioni dei dieci membri laici del Consiglio Superiore della Magistratura. Il CSM è composto da 33 membri, di cui 30 sono elettivi: I ⅔ sono giudici eletti dai magistrati (i togati), mentre ⅓ (i laici, appunto) è eletto dal Parlamento e composto da avvocati o professori di diritto.
No, non lui.
9 membri su 10 sono stati eletti senza intoppi, mentre si è creato un caso sull’ultimo nome spettante al centrodestra. Il candidato iniziale era Giuseppe Valentino, già sottosegretario alla Giustizia dei governi Berlusconi II e III. Ma nella settimana dell’arresto di Messina Denaro, la notizia del coinvolgimento di Valentino in un’indagine per ‘ndrangheta si è rivelata uno scoglio troppo arduo da superare. Il centrodestra ha optato quindi, in fretta e furia, per Felice Giuffrè, professore dell’Università di Catania, che ha però dovuto aspettare il secondo scrutinio prima di essere eletto.
Infine, Matteo Renzi e Carlo Calenda hanno annunciato la creazione di un partito unico liberaldemocratico da finalizzare entro le Europee 2024.
Non smetteremo mai di ripostarlo.
Al di là della facile ironia su quanto durerà questa armonia, specie per chi segue questa newsletter dal giorno uno, qualche appunto interessante sul tema lo fornisce - seppur da una prospettiva lontanissima dalla nostra - il direttore di Linkiesta Christian Rocca in questo editoriale.
Per oggi è tutto. O quasi.
Prima di salutarci, un anticipo di ciò che terrà banco questa settimana: nonostante le trattative tra governo e sindacati, è stato confermato lo sciopero dei distributori di carburante per il 25 e 26 gennaio.
Il ministro delle Imprese e del Made in Italy (dobbiamo ancora abituarci a chiamarlo così) Adolfo Urso ha provato a mediare, abbassando le sanzioni e imponendo l’esposizione dei prezzi solo su base settimanale e non più giornaliera. Ma ha ottenuto solo una riduzione della serrata da 60 a 48 ore.
Il ministro Urso che festeggia questo traguardo. L’unica cosa inverosimile sono le fiamme, visto che mancherà la benzina.
Insomma, per chiunque sia automunito sarà una settimana molto particolare. Ma visto che noi non rientriamo in questa categoria ci rileggiamo sempre qui, sempre venerdì pomeriggio.
Sempre che riusciate a sopravvivere a quest’apocalisse.
Ciao!
Grandi✌️