Ciao!
Siamo Pietro e Simone,
e abbiamo provato a far scrivere l’intro di questa newsletter a ChatGPT, ma non ha inserito nemmeno una volta il nome di Carlo Calenda.
E anche Dall-E non è stata molto utile. L’intelligenza artificiale è sopravvalutata.
In ogni caso, nell’eterna attesa che si inizi a parlare davvero della campagna elettorale per le Regionali (che forse è essa stessa la campagna elettorale per le Regionali?), questa settimana è stata segnata dai primi veri banchi di prova per la premier Meloni all’estero, dove finora ha faticato ad accreditarsi.
Nei giorni scorsi la leader di Fratelli d’Italia si è recata ad Algeri per discutere di gas, e nei prossimi giorni sarà, un po’ a sorpresa, a Tripoli per lo stesso motivo (oltre che per parlare di migranti). La prossima settimana inoltre sarà a Stoccolma e Berlino, sia per preparare il Consiglio europeo straordinario del 9-10 febbraio proprio sul tema dell’immigrazione e sia per discutere degli ultimi sviluppi della situazione in Ucraina.
Abbiamo pensato quindi, in questa newsletter, di fare il punto su tutti questi temi per permettervi (e permetterci) di seguire al meglio l’agenda del presidente del Consiglio. Prego, non c’è di che.
Fatta questa premessa, iniziamo.
La presidente del Consiglio, per non annegare nelle beghe casalinghe che l’hanno vista contrapposta al proprio ministro della Giustizia (ne parlavamo la settimana scorsa), ha scelto di avventurarsi in terre esotiche, distraendosi con una sana dose di vetrina diplomatica. A inizio settimana era in Algeria, accompagnata dall’amministratore delegato dell’ENI, Claudio Descalzi, mentre oggi ha fatto tappa a Tripoli. Alla coppia Meloni-Descalzi, a questo giro, si è aggiunto anche il ministro degli Esteri Antonio Tajani.
Perché monitorare questi spostamenti della premier? Perché sono legati a un punto interessante del suo discorso di insediamento del 25 ottobre scorso:
«Ecco, credo che l’Italia debba farsi promotrice di un “piano Mattei” per l’Africa, un modello virtuoso di collaborazione e di crescita tra Unione Europea e nazioni africane, anche per contrastare il preoccupante dilagare del radicalismo islamista, soprattutto nell’area sub-sahariana».
No, per “piano Mattei” non intendeva una missione diplomatica guidata da loro per conto di Russia e Arabia Saudita.
Ma il “modello virtuoso di collaborazione e di crescita”, sostanzialmente, in cosa consiste? Per ora, il “piano Mattei” si ispira in tutto e per tutto a quello che il fondatore dell’Ente Nazionale Idrocarburi, Enrico Mattei, fece in Africa: andare a cercare combustibili fossili in giro per il continente.
Il motivo per cui questi appuntamenti diplomatici vengono seguiti da Descalzi non è una “consulenza” benevola di un esperto di mercato energetico: gli accordi che vengono siglati durante queste gitarelle riguardano direttamente l’ENI. La visita in Algeria e le strette di mano tra Meloni e il presidente algerino Abdelmadjid Tebboune sono state solo il preludio alla firma di un accordo da parte di Descalzi e del suo omologo algerino Toufik Hakkar, presidente e direttore generale di Sonatrach, ovvero la compagnia algerina Oil&Gas (la più importante in Africa in termini di fatturato).
I viaggi di Meloni, peraltro, erano stati preceduti da quello di Tajani in Egitto, tre giorni prima del settimo anniversario della scomparsa di Giulio Regeni. Gli ostacoli da rimuovere per poter tornare a fare ricchi affari con il paese governato da Abdel Fattah al-Sisi, in questo caso, sono veramente diplomatici.
Cose che la destra dice che sarebbe una figata se fossero vere.
A fronte di riserve (per ora) piene, però, non ci sono particolari motivi per cui andare a chiedere e spendere per altro gas naturale. Qualche giorno fa un interessante editoriale di Stefano Feltri, direttore di Domani, sollevava una domanda importante: perché fare tutto questo? Perché addurre come motivazione di fondo la volontà di creare un “hub del gas naturale” rendendo l’Italia “porta del Mediterraneo”, se non si è mai pensato di investire miliardi in infrastrutture per portare il gas in altre parti d’Europa?
Le risposte possibili sono due: l’ENI voleva più gas, oppure neanche la destra post-fascista sa resistere al fascino esotico della parola “hub”.
Un altro dei dossier che la premier Meloni affronterà in Libia è, ovviamente, quello legato all’immigrazione.
A questo proposito, negli ultimi giorni c’è stata maretta nella maggioranza, nell’ambito della discussione del decreto ONG proposto dal ministro dell’Interno Piantedosi. Il decreto arriverà in aula alla Camera il 2 febbraio, ma durante i lavori nelle commissioni parlamentari i deputati della Lega hanno presentato 16 emendamenti che andavano in senso restrittivo. Fin troppo.
Immagina tenere per così tanto tempo i migranti sulle navi delle ONG da far sì che inizino a pagare le tasse lì.
I presidenti delle due commissioni di riferimento, Nazario Pagano (Forza Italia, commissione Affari Costituzionali) e Salvatore Deidda (Fratelli d’Italia, commissione Trasporti) hanno dichiarato l’inammissibilità di questi emendamenti dopo un’approfondita istruttoria “tecnica, non politica”. Ma lo stesso capogruppo della Lega nella commissione Affari Costituzionali, Igor Iezzi, ha criticato “la decisione degli alleati, che usano cavilli tecnici per nascondere una scelta politica”.
Quest’alleanza di governo è un costante sorriso falso mentre tutto intorno brucia.
In tutto ciò, al ministro Piantedosi ha deciso di rispondere a suo modo la Geo Barents, nave umanitaria gestita da Médecins sans frontières, che si è rifiutata di obbedire al divieto di salvataggi multipli che entrerebbe in vigore con il nuovo decreto. Anziché dirigersi direttamente verso il porto indicato, la nave ha deciso di invertire la rotta verso il porto di La Spezia (sì, in Liguria, appena un po’ più lontana dalle coste libiche rispetto a Lampedusa) per recuperare un gommone. A metà strada, poi, gli operatori di Msf si sono imbattuti in una terza imbarcazione. A proposito di salvataggi multipli.
Infine, si torna a parlare di Ucraina, nella settimana in cui la Germania decide definitivamente lasciar perdere ogni inibizione ed inviare i carri armati Leopard all’Ucraina.
Il problema è che per arrivarci dovranno passare dalla Polonia. Bad news incoming.
Su questo fronte ci sono tre novità interessanti.
La prima, è la telefonata che ha avuto luogo nella giornata di mercoledì tra i principali leader occidentali, per fare il punto della situazione sul conflitto. Hanno partecipato Biden, Macron, Scholz, il primo ministro inglese Sunak e la premier Meloni, in una delle prime occasioni di coinvolgimento in un tavolo intergovernativo di alto profilo. Sul contenuto della telefonata, è trapelato poco se non “l’importanza di una costante forte coesione tra alleati nel continuare a fornire assistenza a Kiev a 360 gradi”.
La seconda, a proposito dell’assistenza a Kiev, è l’approvazione definitiva del decreto che permetterà al governo di inviare armi all’Ucraina senza la necessità di passare dal Parlamento. I contrari si sono fermati a 46, ma quella che doveva essere una maggioranza ampia e scontata si è fermata a 215 deputati su 400. “Colpa” dei sessantasei deputati in missione, certo, ma di fronte alla contrarietà annunciata solo da parte del Movimento 5 Stelle e dell’Alleanza Verdi/Sinistra pare evidente che qualche crepa persista anche nella maggioranza.
E qui si arriva alla terza novità. Come scriveva giovedì Stefano Feltri su Domani (che evidentemente stiamo citando troppo spesso), dietro al sostegno annunciato formalmente pare che in realtà Forza Italia e Lega abbiano provato a bloccare o a rallentare l’approvazione del dl Ucraina. Un rumor che sarebbe arrivato anche alle orecchie degli alleati USA, che non avrebbero gradito granché: anche da lì, la necessità della telefonata per ribadire “la forte coesione tra alleati”.
Immagini che continuano a invecchiare sin troppo male.
Insomma, più la maggioranza trova punti di rottura più si dice compatta, a parole. Un legame che ha tutti i crismi della relazione tossica.
Grazie per averci seguiti in questa piccola gita in giro per il planisfero con il governo Meloni.
Noi abbiamo un po’ di mal di mare, e la prossima settimana vi promettiamo di tornare sulla terra fermissima delle nostre elezioni amministrative regionali.

Anche perché, come si ricorderanno coloro che ci seguivano quest’estate, a 15 giorni dal voto scatta il blackout dei sondaggi. Indovinate chi è in testa per ora.
Ciao!