Ciao!
siamo Pietro e Simone,
e quella di oggi sarà una newsletter un po’ diversa dalle altre.
Per chi ha fatto questa faccia immaginando già una newsletter da 50k caratteri: tranquilli, non intendiamo in quel senso.
Oggi parliamo della destra, ma non solo per quello che ha fatto e sta facendo.
Ci scusiamo con chi si aspettava un resoconto, per esempio, del Consiglio europeo a cui ha partecipato in questi due giorni Giorgia Meloni. Oggi, però, torniamo sul background ideologico solido su cui i partiti di governo possono fare affidamento quando si tratta di scatenare un putiferio per coprire la propria incapacità, e su chi soffre davvero le conseguenze di questo atteggiamento.
Iniziamo.
Per introdurre il tema, comunque, può essere riepilogare qualche recente e coraggiosa battaglia della destra di governo.
Lunedì 13 marzo il sindaco di Milano, Beppe Sala, comunica di dover interrompere il riconoscimento “automatico” dei figli di coppie omogenitoriali e in generale non tradizionali, a seguito di una richiesta del ministero dell’Interno espressa tramite il prefetto di Milano. Il capoluogo lombardo era una delle poche città dove ciò era possibile.
Questa decisione non poteva non scatenare la reazione della comunità LGBT+. Sabato scorso proprio a Milano si sono radunate 10mila persone per protestare contro la decisione del governo. Manifestazione a cui hanno preso parecchie personalità del mondo politico e non. Le telecamere erano puntate principalmente sulla segretaria del PD Elly Schlein e sul sindaco Sala, che a sorpresa ha deciso di scendere in piazza e di unirsi al gruppo di sindaci che rigettano le decisioni del governo.
Poi vabbè, qualche attenzione se la meritava anche Francesca Pascale, ex compagna di Silvio Berlusconi e da qualche tempo attivista arcobaleno.
Amo...?
Come poteva reagire la destra a una manifestazione che chiedeva diritti? Ovviamente andando in tv a fare a gara a chi la spara più grossa confondendo i piani.
Fare il giornalista quando al governo c’è Fratelli d’Italia non è per niente stressante.
Le danze le ha aperte la ministra per le Pari opportunità, la natalità e la famiglia, Eugenia Roccella, in diretta su Rai3, ospite di Lucia Annunziata a Mezz’ora in più. Su di lei torneremo più avanti.
L’ideologia della destra qui si presenta in tutta la sua eleganza. Roccella parla dell’utilizzo del cosiddetto “utero in affitto” per avere figli, che in Italia non è possibile. La maternità surrogata, però, è una pratica ampiamente utilizzata all’estero, e nonostante in certi casi possa essere molto costosa alcune coppie omogenitoriali italiane (e non solo) ne hanno fatto uso.
Roccella bolla così la questione: «Si tratta di decidere se una maternità possa essere una questione di mercato».
I giornali di destra ovviamente il giorno dopo hanno titolato sul fatto che Lucia Annunziata avesse detto “cazzo” in tv, ihihihih.
A rincarare la dose è arrivato, sempre domenica e sempre in tv, Fabio Rampelli, ex-vicepresidente della Camera ed ex-super dirigente di Fratelli d’Italia (su questa figura mitologica vi consigliamo il numero di oggi di S’è destra, newsletter di Valerio Renzi, giornalista esperto di politica romana di Fanpage). Ospite di In Onda su La7, Rampelli ha dichiarato: «Se due persone dello stesso sesso chiedono il riconoscimento, e cioè l'iscrizione all'anagrafe, di un bambino che spacciano per proprio figlio significa che questa maternità surrogata l'hanno fatta fuori dai confini nazionali».
D’altronde si tratta della stessa persona che durante la campagna elettorale dichiarava che l’obiettivo dell’episodio di Peppa Pig dove si scopre che Penny Polar Bear ha due mamme (spoiler, scusate) era l’indottrinamento dei bambini «per disperdere la loro identità sessuale».
Non passano dodici ore che il fratello d’Italia Federico Mollicone, da Omnibus, decide di dire la sua sulla maternità surrogata: «È un reato grave, più grave della pedofilia».
Un punto di vista interessante su questo “dibattito” l’ha espresso Chiara Albanese, giornalista di Bloomberg e host del podcast Politics de il Post, ospite di Flipper di Lorenzo Pregliasco. Albanese, che con sua moglie e suo figlio forma una famiglia omogenitoriale, crede che «in questo caso sia la società che guidi il cambiamento e la politica che stia facendo un po’ di fatica ad adattarsi, e che forse stia scegliendo delle battaglie un po’ datate. [...] Secondo me il centrodestra qui rischia un effetto boomerang. La mia sensazione è che al livello sociale ci sia una sorta di accettazione, o forse disinteresse, sulla questione dei diritti delle famiglie omogenitoriali».
Ma non è l’unica questione su cui la destra, in questi ultimi giorni, ha deciso di intraprendere battaglie del tutto ideologiche.
Il Partito Democratico nella scorsa legislatura, a ridosso della caduta del governo di Mario Draghi, aveva presentato un disegno di legge volto a evitare che i figli delle detenute finiscano in carcere con le madri.
La destra, in commissione Giustizia, ha approvato la legge modificandola pesantemente: gli emendamenti della deputata Carolina Varchi di Fratelli d’Italia avevano aggiunto la riproposizione del carcere per le detenute madri in caso di recidiva e la cancellazione del differimento della pena automatico per le donne incinte o con figli che abbiano meno di un anno.
Il dibattito, questa volta, lo ha infiammato il PD, che ieri ha ritirato la proposta. Il deputato Alessandro Zan sostiene che la destra avrebbe «utilizzato come un autobus la nostra proposta di legge per fare le loro schifezze». Marco Furfaro, fedelissimo di Schlein, aggiunge: «Odiano i poveri, i migranti, le donne. E ora pure i bambini».
«Qualcuno pensi ai bambini!»
Di fronte al ritiro della proposta, la destra ha dichiarato di voler depositare un proprio disegno di legge, per implementare quanto proposto da Fratelli d’Italia e oltre.
Indovinate da dove intende ripartire Matteo Salvini.
E pensavamo di essere stufi di sentir parlare di Ponte sullo Stretto.
Il Garante nazionale dei detenuti, Mauro Palma, in un’intervista su La Stampa di oggi, sostiene che «indicare una categoria rispetto a un reato sia un arretramento culturale grave». Ma alla domanda successiva, «Una forma di razzismo?», risponde: «Preferisco non usare questo termine».
Vabbè.
Oltre al fatto che evidentemente le “borseggiatrici” di etnia rom non sono l’oggetto della riforma, si aggiunge anche la portata del tema. Il tema delle detenute madri ha una sua rilevanza etica, ma non numerica: si tratta di 23 persone, per un totale 26 figli a carico.
Il filo comune della storia di questa settimana però, parte da più lontano. E si intreccia con la biografia di una delle protagoniste di questo attacco sistematico.
Per chi ha seguito le vicende che hanno portato alla formazione del nuovo governo, il profilo della ministra della Famiglia Eugenia Maria Roccella non suonerà come una novità. Figlia di uno dei fondatori del Partito Radicale, negli anni ‘70 Roccella era stata tra le leader del Movimento di liberazione della donna; portando avanti battaglie, come quella per l’aborto, in aperta contraddizione con le sue posizioni odierne. Una contraddizione che Roccella non ama riconoscere, cercando invece di tenere uniti il suo passato e il suo presente nella definizione, precaria, di “femminista conservatrice”.
Producendo effetti abbastanza comici.
Quella che però sembra essere la narrazione autoassolutoria di un singolo, è invece paradigmatica di un pensiero sempre più radicato nelle destre occidentali; che in Italia, come vedremo, non ha ancora trovato terreno fertile per esplicitarsi del tutto.
C’è un articolo, apparso sul Foglio qualche anno fa, che rappresenta una delle chiavi per capire questo discorso. Si chiama “Quell’orribile Sessantotto”, raccoglie alcune riflessioni di pensatori di area conservatrice per i cinquant’anni dal movimento studentesco, e lo ha scritto Giulio Meotti.
Uno che ha queste posizioni, per capirci.
Tra le opinioni raccolte dal Foglio c’è, ad esempio, quella di Éric Zemmour: spauracchio finito come la più classica delle montagne che partoriscono un topolino alle ultime presidenziali francesi, che rappresenta però uno dei primi esempi in Europa occidentale di un discorso di destra lontano dall’alone popolareggiante di Le Pen/Salvini, e più concretamente borghese e conservatore. Del Sessantotto, Zemmour pensa - come ribadito più volte anche in campagna elettorale - che sia l’evento fondante della disgregazione dei valori fondanti delle società occidentali: famiglia, autorità, eredità, nazione.
Nel pezzo compare anche il filosofo conservatore britannico Roger Scruton, che invece si esprime così:
«Quando chiesi ai miei amici cosa volessero, cosa stessero cercando di ottenere, quello che ho avuto come risposta è stato un lessico assurdamente marxista. Ne ero disgustato e pensavo che ci fosse una via per la difesa della civiltà occidentale contro queste cose. Così sono diventato un conservatore. Sapevo che volevo mantenere le cose piuttosto che abbatterle».
Ok, non è così inverosimile, ma quanta retorica.
Quello che ci interessa di Scruton, però, è che è stato senza dubbio l’ideologo di riferimento di Giorgia Meloni negli ultimi anni: tanto da citarlo persino nel discorso di insediamento da presidente del Consiglio alla Camera lo scorso ottobre, in mezzo a Steve Jobs e Montesquieu.
E questo ci avvicina a tanto così da un generatore automatico di citazioni di Giorgia Meloni.
Visto che lo spazio della newsletter è limitato, è il momento di indirizzarci verso un paio di conclusioni.
La prima, quella che riguarda meno i temi di questa newsletter, è che le destre occidentali stanno focalizzando sempre di più il loro bersaglio verso la “degenerazione morale” avvenuta dagli anni ‘60/’70 in poi. Ed è una dinamica obbligata dal fallimento di qualsiasi progetto di destra “sociale” che, per ovvi motivi, non mette davvero in discussione l’impianto economico neoliberista degli ultimi 40 anni.
Gli ovvi motivi.
Si tratta però di un passaggio più importante e meno ovvio di quanto sembri. La storia secondo cui la sinistra ha dimenticato i diritti sociali per quelli civili è, senza ombra di dubbio, tra le chiavi narrative del successo della destra nell’ultima fase politica. Ora che il ciclo nazional-sovranista sembra aver abbracciato senza colpo ferire la competitività e il libero mercato, sottolineare come sia la stessa destra a voler spostare le attenzioni su un discorso ultraconservatore in materia di diritti è una svolta centrale per la costruzione di un’alternativa.
La seconda è che gli attacchi di questa settimana indicano come questa sistematicità di pensiero stia arrivando, con notevole ritardo, anche in Italia. I motivi di questo ritardo sono tanti, e non tutti ancora pienamente identificabili. Saltano all’occhio, ad esempio, la scarsa capacità di analisi storica delle classi dirigenti italiane (condivisa da entrambi i lati dello schieramento politico) unita alla tendenza, ancora più nostrana, a tenere tutto insieme nel tentativo di racimolare consensi un po’ dappertutto (a riguardo, come detto, citofonare Roccella).
Ed è evidente, infine, un discorso di presenza mediatica e culturale.
Navigando nei meandri del sito di Fratelli d’Italia può capitare - com’è successo a noi - di imbattersi in controegemonia: il bollettino editoriale del partito, in sostanza una raccolta di consigli di case editrici, riviste e interventi utili a costruire un nuovo discorso culturale, come suggerisce il titolo emblematico.
Tra i consigli all’interno c’è Nazione Futura, rivista diretta emanazione del think tank fondato dal rampante consigliere del ministro della Cultura Francesco Giubilei, di cui avevamo parlato qualche numero fa.


Se pensate che il ruolo istituzionale gli avrebbe impedito di scrivere baggianate: vi sbagliate.
Quello che è evidente, tuttavia, è la sostanziale irrilevanza di questi dispositivi nel dibattito mainstream: un piano dove la destra sta invece cercando in maniera disperata di scoprirsi maggioritaria, puntando però su cavalli sbagliati e "datati", come si diceva in precedenza.
La sostanza, quindi, è che lo sforzo ideologico della destra, più che dare i suoi frutti, sembra per ora rischiare di mandarla a sbattere.
Ci siamo dilungati sin troppo, ma ogni tanto serve tornare su certe dinamiche per evitare di scadere in alcuni cliché.
Anche perché, se i postfascisti oggi guidano la destra di quasi tutta Europa, cantare Bella Ciao prima che parli la presidente del Consiglio dei ministri non diventerà da un giorno all’altro una grande strategia politica.
Noi sentiamo venerdì prossimo, ciao!
Siete Grandi 🤗 Grazie