Colti in fallo
Si parla quasi più del treno di Lollobrigida che di femminicidio. Quindi, noi abbiamo uno speciale sul femminismo.
Ciao!
Siamo Pietro e Simone,
e questa è un’altra di quelle settimane in cui ci rendiamo conto che i soldi che guadagneremo con questo lavoro dovremo spenderli in salute mentale. Ovvero: ci sono ben due nuove puntate.
La prima è uscita giovedì, ed è uno speciale in cui, in occasione del 25 novembre, analizziamo il rapporto tra questo governo (e più in generale, la politica e la società italiana) e le questioni di genere. Lo facciamo con ben due ospiti: la prima è Giulia Siviero, giornalista che si occupa di femminismi e questioni di genere per il Post. Ad aiutarci in questa conversazione ci è venuta a trovare anche Cecilia Pellizzari, responsabile editoriale di Scomodo e giornalista freelance su tematiche di genere per diverse testate. Si ascolta qui in basso.
Anche nella puntata settimanale torniamo ad occuparci del femminicidio di Giulia Cecchettin, che ancor di più ha caricato la giornata di oggi di significato e di rabbia. Ne parliamo anche perché la politica italiana, nel frattempo, si è fatta distrarre molto più del dovuto dall’affaire Lollobrigida. Probabilmente se seguite questa newsletter conoscete abbastanza la politica italiana da sapere di cosa si tratta, altrimenti lo scoprirete tra poco. Qui invece l’episodio settimanale.
Iniziamo.
Dopo il femminicidio di Giulia Cecchettin, forse mai come stavolta, l’attacco di una grande fetta della società italiana non si è rivolto esclusivamente contro il responsabile dei fatti, ma ha portato sul banco degli imputati la cultura sistematicamente violenta e oppressiva perpetrata nei confronti delle donne.
Ovviamente, c’è chi si è risentito.
L’autore di Buone Intenzioni con più rispetto per la propria sanità mentale:
Ora, uscendo dal rabbit hole e cercando di lasciare da parte la galleria degli orrori rassegna stampa degli ultimi giorni, ci sono almeno due cose che vengono fuori da questa reazione scomposta.
La prima riguarda i provvedimenti concreti: il governo ha approvato in settimana un nuovo decreto per contrastare la violenza di genere, che interviene in maniera quasi esclusivamente securitaria (che sorpresa, eh?). Viene in sostanza rafforzato il cosiddetto “codice rosso”, mentre sull’aspetto culturale del fenomeno c’è niente o poco più (e di questo poco più ce ne occuperemo tra poco).
Come al solito, l’esecutivo dimostra di essere totalmente impreparato sui grandi temi che investono il paese, a dispetto dello slogan di campagna elettorale del principale partito di maggioranza. E non si tratta solo di questioni legate ai diritti, ma anche di questo ne parleremo tra poco. Ma la sostanza è che se davvero questa vicenda che “segna l’esordio del woke in Italia (…) come nel caso Floyd” riesce a riunire diversi pezzi di società per fare un’opposizione concreta, forse ci troviamo davanti all’ennesima cosa che dice la destra che sarebbe una figata se fosse vera.
(Motivo in più per essere in piazza oggi, qui un’utile mappa di Federica Rossi sul Manifesto con tutte le manifestazioni d’Italia)
La seconda, invece, riguarda l’aspetto culturale.
Il governo ha elaborato un piano di educazione all’affettività, chiamato “Educare alle relazioni”, che non solo ha diversi problemi legati al fatto che è assolutamente facoltativo in ogni sua parte, ma è stato affidato ad un “esperto” che ha posizioni abbastanza bizzarre, per usare un eufemismo.
Domani ha pubblicato alcuni estratti del libro pubblicato nel 2020 da Alessandro Amadori, responsabile del progetto governativo, che si intitola La guerra dei sessi: un testo incentrato sulla cattiveria di genere, qualsiasi cosa essa sia, e che teorizza la “ginarchia”, ovvero il tentativo delle donne di instaurare il proprio dominio sul sesso maschile.
Non ci vogliamo così male da averlo letto, ma ve ne lasciamo la copertina. Fatene buon uso.
Di fronte ad una cosa del genere l’unica cosa che riusciamo a pensare è che Meloni non ha granché da lamentarsi dell’”egemonia culturale” della sinistra, se la destra non riesce a proporre non solo un intellettuale, ma nemmeno una persona sana di mente.
Per l’occasione, oggi ci prendiamo la libertà di dare due piccoli consigli di lettura/ascolto.
Un esempio di come culture politiche diverse da quelle al governo in Italia vogliano contrastare il problema è la Spagna. Questo modello è spiegato molto bene da Roberta Cavaglià nell’ultimo numero della sua newsletter Ibérica, che ripercorre le tappe culturali e legislative degli ultimi venticinque anni nel Paese e contiene un’intervista alla sociologa Silvia Semenzin. Si legge qui.
E a proposito di Silvia Semenzin: come noi ha un podcast in collaborazione con l’Espresso chiamato “What a FAQ”. Questa settimana, in vista della giornata di oggi, ha pubblicato tre puntate speciali dedicate alla violenza di genere. La prima la trovate qui in basso.
La vicenda del Frecciarossa fermato dal ministro dell’Agricoltura Lollobrigida per permettergli di arrivare in orario ad un impegno istituzionale ha fatto discutere molto.
Il nostro concetto di discutere: fare meme.
Si tratta di una vicenda che si presta benissimo alla satira, vero: ma altra cosa è il monopolio del dibattito politico, oltretutto in una settimana delicata come quella appena trascorsa. È un fatto assolutamente sgradevole, ma che resta relegato nella categoria dei vizi di forma, delle questioni di metodo: un’opposizione bloccata sulla forma invece che sul contenuto richiama alla mente le peggiori opposizioni berlusconiane, una lezione che speriamo di aver ormai imparato.
Infine, due notizie che riguardano l’Europa:
La Commissione europea ha promosso solo parzialmente la Legge di bilancio italiana rimproverandole di non essere “pienamente in linea” con le raccomandazioni e di non investire i soldi risparmiati nella riduzione del debito. Un giudizio in linea con quello che vi avevamo raccontato qualche puntata fa: una manovra responsabile nei tagli ma sterile negli investimenti. Comunque, un ottimo punto sullo stato dell’economia meloniana lo fa Mattia Marasti su Valigia Blu.
Matteo Salvini si è congratulato con Geert Wilders per essersi affermato come primo partito alle elezioni che si sono tenute mercoledì nei Paesi Bassi. Non rientra tra le prerogative di questa newsletter raccontarvi i dettagli di questo voto (lo fa bene Francesca De Benedetti su Domani), ma basti sapere che Wilders era il personaggio che durante la pandemia e la discussione del Next Generation EU girava con il cartello qui in basso:
“Non un centesimo all’Italia”, che sommato all’altro olandese che sosteneva che l’Italia sprecasse i soldi in donne e alcool ci spinge a stare lontano da Amsterdam e dintorni.
In ogni caso, se questa è “l’internazionale nazionalista” che si prepara per il 10 giugno prossimo, auguri a tutti noi. Potremmo averne bisogno.
Per oggi è tutto, anche perché siamo stati prolissi come ai vecchi tempi e non avari di consigli per approfondimenti. Siamo gente generosa, noi.
Alla prossima settimana, ciao!