Ciao!
Siamo Pietro e Simone,
e ieri il PD ha aperto la sua campagna elettorale.
Meglio tardi che mai.
Prima di iniziare, però, un aggiornamento su una storia di ieri. Il breve corteggiamento tra Giuseppe Conte e Jean-Luc Mélenchon è finito malissimo per il leader dei 5 Stelle: poco dopo avervi inviato la newsletter - neanche a dirlo - è arrivato l’annuncio che Mélenchon avrebbe partecipato ad un’assemblea oggi, a Roma, insieme a Luigi De Magistris, Giuliano Granato e Marta Collot (che avevamo ospitato qui), per sostenere la candidatura di Unione Popolare.
Effettivamente avere l'endorsement di Trump e di Mélenchon stonava un pelo.
Con un pensiero agli amori francesi che sanno essere brevi e tragici, iniziamo.
Come dicevamo in apertura, ieri il PD ha tenuto l’evento di lancio della sua campagna elettorale in piazza Santi Apostoli, a Roma.
Chi c’era nota come fosse totalmente assente il pubblico di mezza età, e i presenti fossero equamente suddivisi tra giovanissimi e anziani. Tra i giornali, è Repubblica a fornire la cronaca più dettagliata dell’incontro, descrivendo un umore preoccupato ma non totalmente sfiduciato. Ne sarebbe la testimonianza il balletto di chiusura del segretario Letta sulle note di Live is Life degli Opus.
Il fatto che nessuno gli abbia lanciato un pallone ci ha privato di un evento memorabile.
Al di là del folklore, Letta ha provato a caricare i suoi parlando di una situazione non ancora compromessa: «un +4% a noi ci consentirebbe di tenere la destra sotto al 55%, e quindi di riportare la partita nella contendibilità», mentre «un +4% a Calenda o un +4% a Conte, tolti a noi, oggi consentirebbero alla destra di superare il 70% di maggioranza parlamentare», anche con il 43% dei consensi.
L’obiettivo di Letta, in sostanza, è appellarsi al voto utile per impedire che la destra raggiunga i due terzi dei parlamentari che le permetterebbero di modificare la Costituzione senza passare da un referendum. Per farlo, i Dem si affidano ad uno studio riservato che indica come, con il 4% in più prefissato da Letta, il PD avrebbe la possibilità di recuperare 62 seggi uninominali tra Camera e Senato, consegnando quindi al centrodestra una maggioranza molto più risicata.
Questa la proiezione, sempre da Repubblica.
In ogni caso, Letta se l’è presa anche con la legge elettorale che lo obbliga oggi a questo tipo di calcoli, definendola «la peggiore legge elettorale di sempre». Su questo tema, il segretario del PD si è attirato le critiche di Giorgia Meloni: in un post la leader di Fratelli d’Italia ha puntato il dito proprio contro il Partito Democratico, che all’atto dell’approvazione del Rosatellum, nel 2017, avrebbe votato a favore, a differenza di FdI espressasi in maniera contraria.
Per capire chi ha voluto una legge elettorale che ora tutti sembrano odiare, converrà fare un passo indietro.
L’attuale legge elettorale è stata approvata definitivamente nell’autunno del 2017, quando al governo c’era Paolo Gentiloni (PD). La legge porta il nome di Ettore Rosato, allora parlamentare del PD oggi confluito in Italia Viva. Tecnicamente, Meloni ha ragione quindi nel sostenere che è stato il Partito Democratico non solo a votare ma a promuovere questa legge; e infatti, nella sua risposta, Enrico Letta non prova a smentire, ma accusa chi adesso non è più nel partito: «fu Renzi che lo impose, pensando a se stesso, pensando di prendersi il 70% del Parlamento». Lo scenario politico dell’epoca, in effetti, era molto diverso da quello attuale.
Eravamo felici e non lo sapevamo.
PD e centrodestra avevano ciascuno un proprio interesse nel votare una legge che avesse un impianto in qualche modo maggioritario. Il PD contendeva al Movimento 5 Stelle il ruolo di primo partito, e puntava ad avere la meglio sfruttando l’impossibilità - all’epoca, altri tempi - per il M5S di allearsi con altri partiti. Inoltre, i listini bloccati avrebbero poi permesso all’allora segretario Renzi di portare avanti una traumatica operazione di ricambio della classe dirigente. I partiti del centrodestra, dal canto loro, erano più deboli se presi da soli, ma dimostravano - come del resto anche oggi - una buona tenuta in coalizione. Non è un caso, quindi, che l’unica forza parlamentare maggiore dell’epoca ad esprimersi contro quella legge fu proprio il Movimento 5 Stelle, il partito più penalizzato da quella soluzione.
La storia ha preso poi la piega che sappiamo: il parlamento frammentato uscito dalle elezioni 2018 e l’entrata del M5S nell’alveo del centrosinistra, fino alla rottura dello scorso luglio. Il fatto che oggi il PD subisca le conseguenze di una legge promossa da sé stesso è in effetti ironico, in qualche modo.
Ovviamente anche il taglio dei parlamentari è stato votato dal PD.
Ma è solo l’ennesimo effetto dell’anomalia tutta italiana per cui si cambiano le leggi elettorali con la frequenza con cui si cambia la biancheria, e ogni volta nell’interesse esclusivo del partito al governo in quel frangente.
Chiudiamo sempre sulle riforme istituzionali. Ieri Giorgia Meloni, ospite a Porta a Porta, si è detta aperta all’idea di una Bicamerale per discutere di una riforma in senso presidenzialista della Costituzione.
Una commissione bicamerale, nomen omen, è un organo trasversale ad entrambi i rami del Parlamento che viene convocato per discutere e proporre eventuali riforme costituzionali. È stata convocata tre volte nella storia della Repubblica, e qui Il Post riassume bene le vicende di quelle commissioni.
La bicamerale D’Alema è il punto d’origine dell’interesse morboso della stampa per i menù del centrodestra, grande guilty pleasure di Simone.
Di nuovo, non smetteremo mai di dirlo, ciò che va notato è il metodo. La bicamerale non è l’unico modo per promuovere una riforma costituzionale, che può essere portata avanti anche in maniera più “unilaterale” e meno collaborativa. A maggior ragione se il centrodestra, come sembra, avrà una larghissima maggioranza in Parlamento.
Ma Meloni sa che dev’essere cauta per non attivare il cordone sanitario contro di lei e contro il centrodestra tutto. Per non far scattare “l’allarme democratico” più di quanto non sia già in moto.
Per ora, il gioco le sta riuscendo in maniera perfetta. Quanto durerà ancora?
Per oggi è tutto, anche perché stiamo finalmente riuscendo a tenerci su una lunghezza accettabile. Sarà che questa campagna elettorale è più noiosa del previsto: la strada per l’inferno la immaginavamo più movimentata.
A domani!