4 settembre - Lavorare stanca
8 verticale, sei lettere: ci è fondata la Repubblica italiana ma non fa parte di questa campagna elettorale.
Ciao!
Siamo Pietro e Simone,
e torniamo finalmente a inviarvi un approfondimento di domenica.
Come ampiamente anticipato, il tema che tratteremo questa settimana è il lavoro.
È una tematica che non è entrata nella campagna elettorale quasi per nulla.
Però è divertente parlarne il giorno dopo che si è svegliato Enrico Letta.


L’infallibile tattica di ammettere gli errori fatti dal proprio partito in dieci anni di governo venti giorni prima di prendere ceffoni alle elezioni.
Torniamo a parlarne con degli ospiti. Stavolta sono addirittura tre, quindi lo spazio è pochino.
Il che vuol dire che l’approccio di Simone ai commenti inutili di mille battute di Pietro sul tema è stato più o meno questo.
A proposito di spazio: purtroppo per lo stesso motivo ci siamo concentrati solo su alcuni aspetti del mondo del lavoro.
Compensiamo, comunque, con dei consigli di lettura su ciò che non abbiamo trattato. Che è davvero, davvero tanto.
Iniziamo.
«Il problema è la fortissima precarizzazione del mondo del lavoro. Il PD parla addirittura di “crescita positiva” nel suo programma, si cita il fatto che a giugno si sia arrivati a un’occupazione del 61%, ma loro stessi ammettono che la maggior parte di quei contratti sono sostanzialmente contratti precari, in alcuni casi addirittura di un giorno. Questo ti fa capire che, al di là del salario minimo che è fondamentale, nei programmi manca una garanzia di continuità occupazionale nel lavoro».
Francesco Melis è un dirigente politico di una categoria sindacale molto particolare per il suo sindacato, la CGIL, che racchiudendo così tante diverse categorie di lavoratori ha avuto le mani piene, soprattutto a partire dalla pandemia.
NIDIL sta per “nuove identità di lavoro”, e si occupa di “lavoratori atipici”: somministrati, “collaboratori”, autonomi, disoccupati atipici tra un lavoro e l’altro e giovani in cerca di un primo lavoro. Ovvero coloro che più avrebbero bisogno di politiche attive sul lavoro, che nei programmi scarseggiano, o peggio.
«Il programma del Movimento 5 Stelle è molto poco approfondito, quindi difficile giudicare. Calenda e Renzi parlano di “correttezza contrattuale” e di “flessibilità positiva”, o roba del genere, ma poi propongono la reistituzione dei voucher». La flessibilità è una parola d’ordine cara al mondo liberale, che la preferisce di gran lungo al “modello spagnolo” pensato dal governo socialdemocratico spagnolo, e che sta avendo grande successo.
Ma a che vuoi che serva il lavoro quando hai Mewtwo.
La flessibilità, quando porta a precarietà, è un problema «non per la quantità retributiva, il voucher di per sé fissava un rapporto salario-orario dignitoso, 9 euro l’ora, persino con una componente previdenziale. Ciò che manca e che precarizza il lavoratore è la certezza retributiva e la continuità professionale».
La Lega, poi, nel proporre una profonda revisione del reddito di cittadinanza propone di sostituire la misura per coloro che sono “idonei all’attività lavorativa” con una serie di agevolazioni, tra cui il “coinvolgimento delle agenzie private del lavoro”.
«È il modello Lombardia, che ti dice che se sei in grado di collocare determinate persone prendi soldi pubblici per il lavoro che hai fatto. Peccato che li prendano le società private depotenziando in maniera strutturale un sistema di politiche attive pubbliche in estrema difficoltà», commenta Melis. I lavoratori collocati tramite le agenzie del lavoro, gli interinali, sono soggetti estremamente fragili rispetto a quei pochi che trovano lavoro tramite i centri per l’impiego. «I navigator previsti dal funzionamento originale del reddito di cittadinanza non sono stati più rinnovati, ma sono rientrati nel grande piano di assunzione nei centri per l’impiego; peccato, perché i navigator facevano un lavoro molto interessante molto specifico di ricostruzione di un database che il pubblico non aggiornava dal 1997». Un lavoro di mappatura fondamentale a cui non è corrisposto, però, un potenziamento delle politiche sul lavoro. E la tendenza non è promettente. «Le politiche attive sono diventate una roba super burocratica di scrittura di moduli, un blocco iper procedurale e poco pratico. Invece di potenziarle e riformarle, si usa questa difficoltà strutturale del servizio di matching tra offerta e domanda di lavoro per scaricare il pubblico e dire “se non funziona il pubblico deleghiamo al privato”, come già succede ad esempio nella sanità pubblica in alcuni casi. E anche qui, il modello è quello della Lombardia, che è “avanti”...».
La locomotiva d’Italia.
Lavoratori scoperti come quelli rappresentati da NIDIL hanno sofferto spesso per fenomeni come i cosiddetti contratti pirata. Possono nascere in qualsiasi modo, anche a fronte di una contrattazione sindacale completamente farlocca. Un caso noto è quello dell’accordo tra Assodelivery e UGL (sindacato da sempre legato alla destra) che sostanzialmente legalizzava il cottimo. Ma esiste anche la pratica, ben più pericolosa, dei sindacati gialli.
«Un altro esempio il contratto che è stato sottoscritto tra Assogrocery e “Unione Shopper Italia”. In questo caso Supermercati24 aveva promosso un proprio sindacato aziendale, utilizzando le mail dei lavoratori, dicendogli di aderire a quel sindacato gratuitamente e si era creata una sua associazione datoriale».
La stretta di mano tra azienda e sindacato creato dall’azienda.
«Questo ti dimostra la fragilità delle parti sociali, e la proliferazione di questo tipo di accordi dimostra che il problema si sta estendendo anche alla difficoltà delle associazioni datoriali, alla debolezza di un colosso come Confindustria: le aziende preferiscono crearsi una propria associazione datoriale e non stare Confcommercio o altri grandi conglomerati».
Un metodo per porre fine a tutto ciò ci sarebbe anche: una legge sulla rappresentanza, che impedisca a sindacati farlocchi o non rappresentativi di firmare contratti poi utilizzati per sfruttare i lavoratori.
Che poi è tutta una questione di termini.
«La legge sulla rappresentanza è un tema che per anni ha scatenato un dibattito dentro alle nostre organizzazioni nel comprendere se fosse effettivamente un boomerang sull’evoluzione del mondo del lavoro. Detto ciò, il “pericolo” è sicuramente più basso delle potenzialità. Le legge porterebbe alla cancellazione, o quanto meno alla non-nascita di contratti pirata, ma va abbinata al salario minimo. Se si vanno a vedere alcuni contratti come la vigilanza o colf/bandanti, firmati anche dalla CGIL, hanno retribuzioni bassissime. La pressione di Confindustria ha portato a far fatica anche a rinnovarli alcuni di questi contratti, ci sono contratti che non vengono rinnovati da 14 anni. Non c’è».
La legge sulla rappresentanza è un tema su cui, però, la politica non si esprime. Il programma del PD renziano, nel 2018, paradossalmente citava la necessità di approvarla. Nel 2022 è sparita dal programma.
«La rappresentanza oggi semplicemente non è garantita. Nel settore della logistica oggettivamente i sindacati maggiormente rappresentativi dei lavoratori non sono CGIL, CISL e UIL, ma sono i sindacati più conflittuali. Ai tavoli ministeriali, però, chi si siede?».
Marta Collot è portavoce di Potere al Popolo, ex candidata sindaca di Bologna e candidata nella stessa città per Unione Popolare alle politiche. È legata nella militanza all’Unione Sindacale di Base (USB). «Una legge sulla rappresentanza dovrebbe tutelare la scelta dei lavoratori di organizzarsi con il sindacato che scelgono, e questa scelta dovrebbe avere un riflesso anche nei tavoli di trattativa».
I “tavoli”, però, non sono l’unico ambito in cui la mancanza di rappresentanza mina i diritti di chi lavora. «Un altro elemento pericoloso che mina i diritti dei lavoratori va osservato nella Commissione Garanzia Sciopero. Questo è un altro problema enorme: la Commissione nell’accordare gli scioperi porta delle regole che sono sempre più stringenti e minano l’efficacia dello strumento. In pandemia, ad esempio, la Commissione di garanzia aveva sanzionato USB per aver proclamato lo sciopero generale».
Il presidente della Commissione in una foto d’epoca.
Collot di scioperi repressi ne sa qualcosa: è stata condannata in primo grado insieme ad altri per le proteste seguite, nel 2016, alla morte di Abd Elsalam, delegato dell’USB travolto da un tir durante un picchetto alla GLS di Piacenza. Una condanna estremamente contestata e che, secondo Collot, è rappresentativa dello stato del diritto di sciopero in Italia. Anche e soprattutto alla luce delle indagini che hanno portato agli arresti di altri dirigenti sindacali, stavolta anche dei Si.Cobas.
«L’intera operazione giudiziaria di Piacenza era un castello senza fondamenta, ma tentava di equiparare la richiesta di miglioramento delle condizioni di lavoro a estorsioni, associazione a delinquere e altri reati. Ora i sindacalisti sono liberi, ma per le proteste del 2016 sono stati condannati sindacalisti a fronte di nessuna condanna per chi ha ucciso Abd Elsalam né per l’azienda. Lo stesso sta succedendo con la morte di Adil Belakhdim. Non è un caso che siano morti sindacalisti conflittuali attivi nel settore della logistica, dove i lavoratori hanno un potere contrattuale significativo, perché se si ferma la distribuzione delle merci si ferma tutto. Qui in Emilia-Romagna sono state fatte delle proposte, poi respinte, per fermare il diritto di sciopero nel settore».
Di lavoro in realtà, con questa newsletter, avevamo già iniziato a parlare qualche giorno fa.
Il 30 agosto avevamo presentato per la prima volta questa newsletter live al festival Il mondo nuovo, e il tema del lavoro era stato proprio al centro di quell’incontro. Ne avevamo parlato, anche lì, con un ospite: Lorenzo Rossi Doria, responsabile della comunicazione per SPI-CGIL, il sindacato dei pensionati. Dato il suo ruolo, ci siamo soffermati su un punto in particolare: è davvero in atto, in Italia, un conflitto generazionale in cui è la popolazione più anziana a togliere lavoro e diritti ai più giovani?
Non tutti i giovani sono nella stessa situazione, ovviamente.
Il discorso è iniziato, neanche a dirlo, dalla legge Fornero. «Una riforma spartiacque, sono passati 11 anni e ancora siamo qui a discuterne o a proporre come superarla». Cosa che aveva provato a fare la Lega durante l’ultima legislatura. «Quota 100 aveva l’obiettivo di pensionare un’ampia fascia di operai, soprattutto del nord; invece, ad usufruirne è stato principalmente il ceto impiegatizio, con un impatto comunque molto meno efficace di quanto si sperasse».
Oggi, nel programma elettorale della Lega la proposta di riforma pensionistica ha il nome di Quota 41, ma la sostanza è sempre la stessa. E risponde alla narrazione, non supportata dai fatti, che un numero crescente di pensionamenti liberi posti di lavoro per i giovani anche senza adeguate riforme del mercato del lavoro. «Ciò che preoccupa è che le proposte sono le stesse delle ultime elezioni: i 5 Stelle insistono sul Reddito di cittadinanza, la Lega sulla Flat tax e su Quota 100/41, e nessuno mette mano al mercato del lavoro».
Mood. (Credits @filosofia_coatta)
Anche per i giovani si parla di pensioni e non di lavoro. La proposta arriva proprio dal sindacato, ed è entrata nel programma del centrosinistra: la pensione di garanzia per i più giovani che entreranno nel mondo del lavoro tardi e/o male. Ma nasconde uno scenario preoccupante. «Alla base c’è l’idea che il sistema-lavoro è irriformabile, e che l’unico modo per garantire una pensione ai più giovani è un intervento ad hoc. Non uno scenario particolarmente confortante».
E parlando di lavoro giovane, impossibile non tenere conto dei lavoratori della cosiddetta “gig economy”, forse la più nota “nuova identità del lavoro” che ancora fatica a trovare un proprio inquadramento professionale e delle tutele adeguate. «La politica finora è stata lenta a legiferare al riguardo, ma qualcosa lo si è ottenuto muovendosi dal basso, ad esempio proprio attraverso i sindacati: i lavoratori di Just Eat, ad esempio, adesso sono dipendenti assunti con regolare contratto e con tutte le tutele del caso. È questa la strada su cui muoversi».
Prima di salutarci, qualche consiglio di lettura su alcuni dei temi che non abbiamo trattato:
• Agromafie e caporalato: «Sotto padrone», Marco Omizzolo, Feltrinelli 2019.
• Lavoro salariato: «Basta salari da fame», Marta Fana e Simone Fana, Laterza 2020.
• Sicurezza e morti sul lavoro: «Ogni giorno 3», Giusi Fasano, Rizzoli 2022.
• Lavoro da remoto: «South Working», a cura di Mario Mirabile ed Elena Militello, Donzelli 2022.
A domani!