4 agosto - Un Movimento sexy
Ciao!
Siamo Pietro e Simone,
oggi è giovedì, e stiamo pian piano realizzando che avremmo preferito persino i balli di gruppo alla campagna elettorale.
Potremmo di nuovo riempire non solo un intero numero di questa newsletter, ma svariati volumi con l’analisi di tutte le microfratture che si sono prodotte ieri nel campo del centrosinistra.
Non tralasceremo, certo, di raccontarvele. Ma far diventare questa newsletter una cronaca giornaliera di strappi e rammendi, da destra e da sinistra, con la coalizione guidata da Letta ci sembra un supplizio troppo grande perfino per i nostri lettori più political junkie. Dunque, abbiamo deciso di utilizzare i recenti sviluppi per parlare di un campo che di queste manovre non è partecipe, ma di certo spettatore molto interessato.
Iniziamo.
Come dicevamo, ieri si sono aperte due falle nell’alleanza di centrosinistra.
Anche se per qualcuno non è neanche un centrosinistra. Se lo dicono loro.
La prima, in ordine cronologico, viene da sinistra: Nicola Fratoianni (Sinistra Italiana) e Angelo Bonelli (Verdi) hanno rimandato a data da destinarsi il confronto in programma ieri con Enrico Letta per definire i contorni della coalizione elettorale. «Essendo cambiate le condizioni su cui abbiamo lavorato in questi giorni, sono in corso riflessioni e valutazioni che necessitano di un tempo ulteriore», recita il comunicato congiunto. Lo strappo non definitivo (lo stiramento…?) era già preventivato, e ieri vi raccontavamo dei primi malumori di Bonelli e Fratoianni.
Neanche Luigi Di Maio, intanto, è contento di essere stato così al centro delle critiche di Carlo Calenda, e chiede “rispetto”, oltre a lamentarsi delle ampie concessioni fatte a Calenda. Il che vuol dire, sostanzialmente, che non ritiene sufficienti i tre seggi garantiti alla sua formazione, Impegno Civico, e che ne vorrebbe almeno dieci.
Ogni smottamento all’interno della coalizione riconduce, in qualche modo, all’antico alleato del Partito Democratico.
Il Movimento 5 Stelle è il motivo per cui questa campagna elettorale si sta facendo così complicata. Dalla caduta del governo Conte II in poi l’alleanza non ha mai goduto di grande salute, e il rapporto simbiotico tra i due partiti durante la segreteria di Zingaretti si è definitivamente consumato nel corso del 2022. Elezione del Presidente della Repubblica affrontata senza un’idea comune, posizioni divergenti sulla guerra in Ucraina e soprattutto la scelta di far cadere il governo Draghi sono stati i chiodi nella bara dell’alleanza.
Sì, #AvantiConConte era un hashtag lanciato in questa legislatura. No, Nicola Zingaretti non vuole più andare avanti con Conte.
Il Movimento guidato da Conte è stato vittima della sua stessa “strategia”, e per qualche settimana non ha fatto altro che subire. Ha subito la scissione parlamentare più grande della storia repubblicana, ha rotto con l’alleato, ha continuato a perdere pezzi (che non sono confluiti con Di Maio, ma che comunque parlano col PD).
Soprattutto, si è svegliato di colpo ricordandosi di avere un fondatore che, quando decide di far baccano, lo fa come si deve.
Immagini che puoi sentire.
Beppe Grillo, qualche settimana fa, ha sostanzialmente costretto il leader Giuseppe Conte (che voleva tutelare una componente storica del Movimento) a far rispettare la sacra e arcana regola dei due mandati: chi è stato eletto per due legislature dal 2013 non potrà candidarsi alle elezioni del 25 settembre. Ad esempio, non saranno nelle liste il presidente della Camera Roberto Fico, la vicepresidente del Senato Paola Taverna, l’ex ministro della Giustizia Alfonso Bonafede e l’ex capo politico ad interim Vito Crimi.
Questa decisione ha lasciato Conte privo di potenza di fuoco, anche se più o meno entusiasticamente le persone escluse parteciperanno alla campagna elettorale. E quindi si è fatta sempre più pressante la necessità di figure candidabili e già popolari.
🎶 crawling back to you 🎶
Il paradosso, come spiegato sulla Stampa di oggi, è che per candidarle il comitato di garanzia dei 5 Stelle che si occupa delle candidature sta smantellando ogni regola fissata in precedenza. La rigidità sui due mandati, dunque, ha già lasciato il posto alla flessibilità per cui:
• per candidare Chiara Appendino, ex sindaca di Torino e condannata in primo grado per i fatti di Piazza San Carlo, l’impedimento alla candidatura si verifica solo se c’è il dolo (e nel caso di Appendino non c’è)
• per candidare Alessandro Di Battista non si deve essere iscritti al Movimento da più di sei mesi (Dibba rinunciò alla “tessera” quando il Movimento decise di appoggiare il governo Draghi)
• per far eleggere… beh, chiunque, ci si può candidare indistintamente a Camera e Senato
• per lo stesso motivo, la vecchia regola 5 Stelle che prevede la possibilità di candidarsi anche solo nel collegio di residenza, ha lasciato il posto al vincolo di candidarsi dove si hanno residenza, domicilio o «centro principale dei propri interessi». Il che consentirà, ad esempio, al ministro Stefano Patuanelli di candidarsi a Roma e non in Friuli-Venezia Giulia. Certo, non è facile capire perché Chiara Appendino, già sindaca della propria città, dovrebbe trovare altrove il «centro principale dei propri interessi»
C’è tempo per candidarsi alle “parlamentarie” pentastellate fino all’8 agosto.
La decisione finale sulla composizione delle liste, comunque, spetterà a Conte, che quindi potrà indicare chi saranno i capilista: particolarmente importanti visto che la legge elettorale non prevede l’indicazione di preferenze per la parte proporzionale.
Ma la ricerca di volti noti spendibili in questa campagna elettorale si sta spingendo oltre i confini del partito.
Voti della facoltà di fisica: assicurati
Giorgio Parisi, ormai arcinoto Nobel per la fisica, si è accodato a un accorato appello rivolto ai giovani dal SISC (Società Italiana per le Scienze del Clima) invitandoli al voto “per chi si batte per l’ambiente”. Il Movimento ci si è fiondato.
Ma veramente non è che Parisi abbia proprio scritto un programma, eh
A cooptare il povero Parisi ci stanno pensando anche Sinistra Italiana e Verdi, che condividono l’appello del fisico sui social.
La possibilità di un “patto Parisi” tra 5 Stelle e la federazione SI-Verdi, comunque, dipende dalla volontà dei rossoverdi di rompere con Letta. Voci importanti in Sinistra Italiana come la storica dirigente comunista e poi fondatrice del Manifesto, Luciana Castellina (93 anni tra pochi giorni) spingono per la rottura dopo l’accordo tra PD e Azione/+Europa. Il Movimento è vigile: una simulazione YouTrend-Cattaneo Zanetto mostra che la rottura tra Verdi e SI con l’alleanza di centrosinistra farebbe perdere 14 collegi a quest’ultima. Una nuova coalizione tra 5 Stelle e le ex-”frattaglie”, invece, farebbe guadagnare fino a tre seggi al Movimento di Conte.. Non un bottino inestimabile, ma con i chiari di luna che si prospettano per i pentastellati è già tanto.
Secondo la Stampa, qualche dirigente del PD sarebbe preoccupato da quest’alleanza, un “Mélenchon italiano”, “una roba da 13-14%”.
Stessa cosa.
Matteo Pucciarelli, che su Repubblica descrive da tempo i travagli interni del Movimento, riporta le parole di un fedelissimo di Conte sulla possibilità di unirsi in un patto alternativo al centrosinistra. «Noi abbiamo mandato il segnale, ci siamo esposti pubblicamente, ora sta a loro decidere. Le nostre agende sono sovrapponibili, però in politica non sempre sono i programmi a fare le alleanze».
In effetti, di programmi si sta parlando pochino, così come dello storico dei partiti. Le posizioni di Sinistra Italiana e Verdi su molti argomenti, come ad esempio le migrazioni, non hanno molto a che vedere con quanto attuato dai 5 Stelle in quattro anni e mezzo al governo. In generale, a sinistra (o comunque quella roba che sta proponendosi come alternativa alla destra) sembra che il tempo per discuterne sia infinito.
D’altronde mancano solo 52 giorni alle elezioni.
A domani!