Ciao!
Siamo Pietro e Simone,
e quest’anno la canzone di Battisti ha tutto un altro significato.
Quasi come se
Non ci fosse che lei.
Ma per un nome che imperversa nello spazio mediatico, ce ne sono decine, se non centinaia, che aspettano di capire quale sarà il loro destino. Quindi, oggi cercheremo di capire quale sarà un’ipotetica squadra di governo del nuovo esecutivo a guida Meloni. Non una prospettiva esaltante, insomma: ma ormai siamo in piena fase della depressione.
Prima, però, un altro aggiornamento riguardante i nomi. Ieri è scattato il meccanismo che in tanti, più o meno tutti quelli che ne erano al corrente, temevano del Rosatellum: l’effetto flipper.
Immagini dal Viminale.
Ieri in chiusura vi abbiamo dato conto del ribaltone che ha portato Umberto Bossi, inizialmente escluso, di nuovo in Parlamento. L’ultimo aggiornamento della tarda serata di ieri riportava 15 passaggi di seggio in 12 regioni diverse: potremmo quindi dover aspettare un po’ per avere la composizione definitiva del nuovo Parlamento. Nella scorsa legislatura, ad esempio, ci sono voluti tre anni e mezzo. Non promettiamo di essere concisi in questa newsletter, ma non raggiungeremo certo questi picchi.
Iniziamo.
Partiamo dai giornali di stamattina.
Secondo Repubblica, sarebbe finito male l’incontro di ieri tra Matteo Salvini e Giorgia Meloni: il segretario della Lega avrebbe avanzato la pretesa di tornare al Viminale come ministro dell’Interno, minacciando altrimenti di fornire solo un appoggio esterno (ovvero senza ministri) al nuovo governo.
Questo schema, usato e abusato durante la cosiddetta “prima Repubblica”, sta tornando di moda in tempi recenti: Giuseppe Conte aveva minacciato il governo di ritirare i ministri dall’esecutivo, ma Mario Draghi si era fermamente opposto all’idea di un appoggio esterno.
Quella che secondo Repubblica sarebbe una minaccia molto concreta per altri, come Il Foglio o il Corriere, è appena una possibilità. In ogni caso, questo messaggio sarebbe stato recapitato «dagli sherpa leghisti agli omologhi dei due partiti con tono piuttosto minaccioso».
Ogni volta che si legge il termine “sherpa” in sostituzione di “messaggero” non possono che venire in mente leghisti a cavallo di capre o Samuel L. Jackson che recita Ezechiele 25:17.
Come anche ieri, i giornali sono conditi di virgolettati attribuiti ai due leader litiganti: alla richiesta del Viminale con ipotesi appoggio esterno, secondo La Stampa Giorgia Meloni avrebbe risposto «come sai, il presidente Mattarella non lo permetterebbe, ci vuole un tecnico». Il motivo sarebbe, principalmente, il processo Open Arms ancora aperto, risalente proprio all’ultimo giro del segretario leghista al Viminale.
Insomma, i retroscenisti dei quotidiani del gruppo GEDI sarebbero al corrente più o meno di ogni capriccio di Salvini e di ogni rifiuto di Meloni. O forse è ancora un po’ presto per parlarne.
Per la Lega il collocamento di Salvini sembra essere l’unica cosa che conta. Il suo (poco) fedele vice, Giancarlo Giorgetti, ha detto che potrebbe “farsi da parte” se necessario. L’unica persona di cui parlano i giornali è l’ex sottosegretario a Infrastrutture e Trasporti Edoardo Rixi, candidato a guidare lo stesso ministero, che per ora fa il modesto. Le parole d’ordine dei fedelissimi di Salvini (che guarda caso coincidono con i gruppi parlamentari leghisti) sono chiare: secondo il capogruppo uscente alla Camera, Riccardo Molinari, per i leghisti «il miglior modo per rilanciare la nostra azione politica è che il nostro segretario abbia un ministero di peso». La centralità del Capitano nel progetto leghista non è stata mai così a rischio, ma mai così al centro di negoziazioni serrate con i propri alleati. Ricorda quanto appena successo con il terzo polo: in cambio di un ruolo di primo piano nella campagna per Calenda, la maggioranza dei seggi conquistati dalla lista sono per Italia Viva.
A volte esagero
Accomodati prego
Mi serviva una casa grande per il mio ego
Dall’altra parte dell’alleanza, le richieste sono poche ma modeste, anche a fronte di un risultato piuttosto solido. Forza Italia per ora sembrerebbe chiedere solo ministeri per personalità di spicco: il vicepresidente e co-fondatore del partito, Antonio Tajani, e la fedelissima del Cavaliere, Licia Ronzulli, sarebbero rispettivamente interessati a Difesa (o Esteri) e Istruzione (o Sanità). Per il resto, pochino: un ministero vale l’altro per l’ex sindaco di Pavia Alessandro Cattaneo, fresco di elezione alla Camera, e per l’ex capogruppo al Senato Annamaria Bernini.
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Sottosegretaria all’editing.
Un altro discorso è quello dei “tecnici”. È tutto meno che impossibile che nel governo Meloni I occupino un posto in Consiglio dei ministri delle personalità non politiche. Nonostante ci siano molti meno indizi da seguire rispetto ai nomi politici, sulle candidature c’è davvero poca fantasia.
Il Ministero più importante a cui trovare un inquilino è a via XX novembre, ed è quello di economia e finanza. I nomi “partitici” per Fratelli d’Italia ci sarebbero, ma sono un po’ poco graditi al resto d’Europa e agli investitori: Giulio Tremonti, ministro dell’ultimo governo di Silvio Berlusconi (che fece quasi bancarotta), o Cesare Pozzi, nome che qui avete già sentito e che, al di là di una cattedra alla LUISS di Roma e a Foggia, nel proprio CV conta praticamente solo interventi alle convention di Fratelli d’Italia. Vi raccontavamo tempo addietro (lo diciamo come se fosse una vita fa: era il 20 settembre) come Fabio Panetta, membro del comitato esecutivo della BCE, avesse declinato l’offerta di Fratelli d’Italia di essere il nuovo ministro dell’Economia, e che verosimilmente puntasse a succedere a Ignazio Visco come governatore della Banca d’Italia. Un altro nome market friendly sarebbe Domenico Siniscalco, anche lui già al governo con Berlusconi tra il 2001 e il 2005.
A questo punto non vediamo perché non valutare anche Lamberto Dini in quanto ministro del primo governo Berlusconi. En plein.
Altri “tecnici” di spicco, secondo Domani, sarebbero Elisabetta Belloni, capo dei servizi segreti (e a un certo punto persino candidata Presidente della Repubblica), e Claudio Descalzi, amministratore delegato dell’ENI. Sarebbero ambedue molto vicini a Fratelli d’Italia e nomi possibili per il ministero degli Esteri, ma preoccupati di lasciare il proprio posto.
Infine, un nome che è praticamente onnipresente sulle pagine dei giornali è quello di Matteo Piantedosi, prefetto di Roma e già “braccio destro” di Salvini al Viminale ai tempi del governo gialloverde. Lo aiutò a scrivere i Decreti sicurezza, e potrebbe essere proprio lui a soffiargli l’amato colle.
Ovviamente, la partita per i ministeri si gioca anche nello stesso partito di Giorgia Meloni. Uno dei primi nomi che salta alla mente è quello di Guido Crosetto, tra i fondatori del partito e considerato esponente principale dell’ala “moderata” dello stesso.
Capiamoci, l’ala “moderata” è questa qui. E i rapporti con i giornalisti sembrano essere un problema ricorrente.
Per Crosetto sembra pronto il posto di sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, visti gli ottimi rapporti con Meloni. Meno chiaro è invece se occuperà un dicastero (prima del voto smentiva questa possibilità) e, in caso, quale: si parla per lui del ministero della Difesa o dello Sviluppo Economico. Nel dubbio, intanto, ha annunciato di aver messo in liquidazione la società di consulenza che aveva fondato negli ultimi anni, per “evitare illazioni”.
Chi ha già occupato il ruolo di ministro della Difesa è Ignazio La Russa. Per lui si parla di un possibile incarico come presidente del Senato, ma l’ostacolo sarebbe la volontà di Giorgia Meloni di redistribuire la guida delle camere agli altri due partiti della coalizione o addirittura di dare una camera all’opposizione. Altro nome importante per Fratelli d’Italia è Francesco Lollobrigida, attuale capogruppo di FdI alla Camera, che potrebbe andare al ministero delle Infrastrutture.
Meloni potrebbe puntare su nomi interni al suo partito anche per gestire la presentabilità del proprio governo all’estero. Uno dei nomi più papabili per la Farnesina è Giulio Terzi di Sant’Agata: già ministro degli Esteri durante il governo Monti ed eletto al Senato con Fratelli d’Italia con quasi il 60% dei voti nel suo collegio di Treviglio-Bergamo-Brescia. Terzi potrebbe doversela vedere per questo ruolo con Antonio Tajani, che presenta anche lui un buon curriculum in campo internazionale; e un altro possibile ministero in concorrenza con il resto della coalizione è quello della Giustizia, dove Carlo Nordio, eletto in quota FdI, potrebbe battagliare con Giulia Bongiorno, senatrice nelle file della Lega (possibile per lei anche il ministero della Pubblica Amministrazione).
Un altro profilo da tenere d’occhio per i suoi rapporti internazionali è Raffaele Fitto, ex presidente della regione Puglia e attualmente europarlamentare per Fratelli d’Italia. Se il pugliese decidesse di rinunciare al suo seggio a Bruxelles, per lui potrebbero aprirsi le porte di un ministero contiguo per indirizzo, quello agli Affari Europei.
Poi sulle sue posizioni europee si potrebbe discutere a lungo.
Ultima carrellata di nomi: Fabio Rampelli, attuale vicepresidente della Camera, potrebbe andare al ministero per i Beni Culturali o all’Ambiente; Marcello Pera sembra indirizzato alle Riforme, mentre Giovanni Donzelli potrebbe diventare il capogruppo alla Camera, o finire ai Rapporti con il Parlamento che però è nell’orbita anche del già citato Lollobrigida. Per la Difesa, sembrano in corsa anche l’attuale Questore della Camera Edmondo Cirielli e il presidente del Copasir Adolfo Urso. Infine, pare che per Giovanbattista Fazzolari, senatore siciliano di FdI, sia pronto un ministero ripescato per l’occasione dopo più di dieci anni: il Ministero per l’attuazione del programma di governo.
Lo storico di questo ministero sprizza Seconda Repubblica da tutti i pori.
Dopo questa sfilza di nomi, una notizia breve ma importante per recuperare la vostra attenzione: domani vi arriverà l’ultimo numero di questa newsletter. Per ora.
Promettiamo di non causarvi troppe lacrime.
A domani!
No no non potete lasciarci😪