Ciao,
siamo Pietro e Simone.
Certe mattine i titoli sono autoesplicativi.
Riportare tutto ciò che è successo la scorsa notte in una sola newsletter si preannuncia già da ora un’impresa ardua, ma cercheremo di seguire alcune linee guida per darvi una panoramica più completa possibile.
Iniziamo.
Partiamo dall’assoluta vincitrice della serata di ieri. Giorgia Meloni con Fratelli d’Italia ottiene il 26%, molto più di Lega e Forza Italia messe insieme e più o meno lo stesso numero di voti dell’intera coalizione di centrosinistra. Un trionfo su tutti i fronti.
E già tira un’altra aria.
Nel corso della nottata elettorale la leader si è presentata alla stampa solo ad ora tarda, intorno alle 2.30, sulle note di Ma il cielo è sempre più blu di Rino Gaetano. Ha parlato di un governo che finalmente esce da una “chiara indicazione alle urne” degli italiani, e di una campagna che è stata “violenta e aggressiva, per colpa di altri”. Ma ha anche detto che se governerà lo farà “per tutti gli italiani”, prima di chiudere con una frase di san Francesco: “Tu comincia a fare quello che è necessario, poi quello che è possibile. Alla fine, ti scoprirai a fare l’impossibile”.


O meglio, una frase che san Francesco non ha mai detto.
In ogni caso, con circa 185 parlamentari stimati secondo le ultime previsioni, Fratelli d’Italia si appresta ad essere nettamente il primo gruppo in entrambe le camere, e probabilmente ad esprimere, quindi, il nome per palazzo Chigi. Abbiamo una mezza idea su chi sarà.

Con molta tranquillità, al direttore del TG2 Gennaro Sangiuliano (che è quanto meno elettore di Fratelli d’Italia) Giorgia Meloni rispondeva che la sua gente sarebbe stata riscattata.
Come al solito, è sugli sconfitti che si può spendere qualche parola in più. Iniziamo quindi dai vincitori solo a metà.
Forza Italia, in realtà, tiene molto bene: il partito di Silvio Berlusconi ottiene un 8.1%, riesce nell’intento di stare davanti alla lista di Calenda e Renzi e per l’ennesima volta rimanda al mittente i requiem di chi pronosticava la fine del partito.
Alla visita di leva il medico mi disse che avevo sei mesi di vita. Anni dopo l'ho cercato per dirgli che ero ancora vivo. Era morto lui.
Chi invece nasconde dietro una faccia che ride lacrime amare è Matteo Salvini. Ieri indicavamo alcuni criteri per capire che nottata sarebbe stata per la Lega, e tra questi c’era la tenuta in Veneto e nelle zone rurali del centro. Ecco, è andata malissimo.
In Veneto la Lega si ferma sotto il 15%, mentre Fratelli d’Italia sfiora il 35%; inoltre, al Nord il Carroccio perde proprio a vantaggio del partito di Meloni diverse roccaforti storiche: Gemonio, Ponte di Legno, Cassano Magnago e perfino Pontida, sede del raduno annuale della Lega. Stesso discorso nel centro Italia: nella circoscrizione Lazio 2, dove nel 2018 aveva raccolto il 16%, stavolta la Lega si ferma sotto il 9%, ampiamente sotto Fratelli d’Italia (33.7%) e superata anche da Forza Italia (10.1%).
Se la soglia psicologica auspicata in via Bellerio era il 10%, l’8.7% finale è un risultato che obbliga a profonde riflessioni interne. Il segretario Salvini ammette che si tratta di un risultato che “non lo soddisfa”, ma rifiuta le dimissioni e rimanda il congresso a quando la Lega “sarà al governo già da tempo”. Nel partito però i dissidenti iniziano ad essere tanti e a pressare, quindi ci pensa il presidente del Veneto Zaia a dare loro voce. Sostiene che il risultato della Lega sia "assolutamente deludente" e che servirà un’analisi seria delle cause, per poi aggiungere: "è doveroso che siano ascoltate le posizioni, anche quelle più critiche, espresse dai militanti".
La sinistra che osserva la Lega compiere la sua analisi della sconfitta.
Infine, chi invece non riesce a sottrarre davvero voti al centrodestra è il polo liberale. La lista di Azione/Italia Viva si ferma al 7.8%, un buon risultato in realtà se non fosse per le aspettative monstre imposte da Calenda che parlava di un 10% necessario per “far restare Draghi”.
Aspettando Godot.
C’è un dato che però rischia di essere metaforico della volontà autodistruttiva del centrosinistra in questa tornata elettorale. Il 14% ottenuto da Calenda nell’uninominale di Roma centro al Senato non si rivela solo inutile per la sua elezione, ma dannoso per quella di Emma Bonino: la fondatrice di +Europa finisce tre punti percentuali dietro alla candidata del centrodestra, complice il mancato superamento della soglia di sbarramento per il suo partito, rimarrà fuori dal Parlamento. Uno scherzetto all’ex alleata che però avvantaggia solo il centrodestra.
La nottata è stata lunghissima soprattutto per un partito.
La coalizione costruita da Letta intorno al PD non è mai stata competitiva, ma davanti a un risultato (per quanto ottimo) non eccezionale della destra ha perso completamente la faccia. Al Senato, il risultato complessivo della coalizione è inferiore a quello della sola Giorgia Meloni (25,99% contro 26,02%). Non che alla Camera la situazione sia migliore: la percentuale è più alta del 2018 a causa dell’affluenza, ma il PD ha perso la bellezza di 815.000 voti.
Se in termini assoluti la sconfitta dei democratici è pesante, è guardando ai collegi uninominali che si può guardare quasi voyeuristicamente alla disperazione del PD. Sui 147 collegi uninominali alla Camera, la coalizione ne ha conquistati solo 11, quattro dei quali non erano candidati del PD e uno dei quali è un indipendente, Paolo Ciani (vincitore a Roma centro). Al Senato, stessa storia: 5 elezioni nei collegi uninominali, solo tre dei quali erano candidati del PD.
Nazareno, 26 settembre, ore 02:00.
Due delle sconfitte più pesanti sono arrivate ai danni della già citata Emma Bonino, sconfitta al collegio Roma 1 al Senato da Lavinia Mennuni, e di Emanuele Fiano, superato di circa venti punti a Sesto San Giovanni da nientepopòdimenoche Isabella Rauti. Due parlamentari di corso piuttosto lungo sconfitti in collegi un tempo sarebbe stato impensabile vedere candidate di estrema destra vincere un seggio uninominale.
Papa would be proud.
Insomma, per il centrosinistra è stata una nottataccia. Debora Serracchiani, unica a parlare nella notte in cui tutti aspettavano Enrico Letta (che ha parlato stamattina), si è rivolta alla stampa sostenendo che la destra “non è maggioranza nel paese” nonostante la maggioranza in parlamento. Come a volerla prendere in giro, i risultati della destra porteranno la Lega ad avere gli stessi seggi del PD alla Camera. Secondo YouTrend, infatti, la Lega col suo 8,78% avrebbe 65 seggi grazie alle vittorie uninominali. Il PD ne otterrebbe altrettanti con il 19.06%, circa il doppio dei consensi.
Insomma, per la seconda volta su due elezioni questa legge elettorale ha penalizzato chi l’ha votata.
Metodi creativi per il suicidio.
Ieri vi abbiamo mandato un pelo fuori strada. Giovanni Forti non aveva torto a dirci che l’affluenza bassa al sud avrebbe potuto essere un brutto segnale per il Movimento 5 Stelle. Ma nonostante l’affluenza bassissima nel Mezzogiorno (ben oltre il -10% in quasi tutte le regioni del sud e in Sardegna), i 5 Stelle hanno raggiunto il 15,5%, risultato completamente impronosticabile fino ai sondaggi pre-blackout del 10 settembre.
Oggi Giuseppe Conte ha ben ragione di festeggiare: ha vinto gli stessi uninominali vinti dal PD al Senato e solo uno in meno alla Camera. Candidato un po’ ovunque, il leader 5S non ha ancora deciso chi rappresentare, anche se sembra probabile occupi il primo lombardo alla Camera, ed entrerà così per la prima volta in Parlamento.
Oggi ha poi dovuto difendersi da Enrico Letta, che l’ha accusato per la vittoria del centrodestra.
Ah già, Letta.
Finalmente una faccia triste, stava sorridendo un po’ troppo in questo periodo.
Il suo PD non è mai stata una gioiosa macchina da guerra, ma senz’altro avrebbe preferito non essere costretto alle dimissioni. Che comunque non ha rassegnato: il segretario ha detto che non si ricandiderà al prossimo congresso, il che vuol dire che si potrebbe arrivare a primarie già a marzo. Fino ad allora, Letta continuerà a essere la guida del PD in un’opposizione che ha definito “dura e intransigente”. Conte ha rilanciato con “durissima e senza sconti”. Il che sostanzialmente vuol dire che saremo di fronte a mesi di nulla a sinistra della destra, e che Meloni ha davvero il controllo completo del Parlamento, anche senza una maggioranza bulgara come sperava.
Per oggi è abbastanza, abbiamo ancora quattro giorni per addentrarci nei meandri dei risultati. Ma se volete, oggi siamo stati intervistati da BBC World Service per il programma O.S. a proposito dei risultati delle elezioni. Trovate la puntata qui. Scusate il nostro inglese.
A domani!
Grazie per la chiarezza e completezza ❤️