Ciao!
Siamo Pietro e Simone,
e non cederemo alla tentazione di citare La giornata d’uno scrutatore. Né tanto meno manderemo foto della nostra tessera elettorale.
Non sappiamo neanche chi è il presidente.
Dopo tante parole, tanti ragionamenti, tanti tweet di Calenda, alla fine siamo arrivati al momento di fare la propria scelta. E a prescindere da se, e cosa, abbiate deciso di votare, converrà avere un’idea più chiara di come interpretare i dati che verranno fuori durante la nottata.
L’attesa dei dati non ci innervosisce per niente, quasi ci rasserena. (via Crudelia Memon)
Per farlo, abbiamo parlato con Giovanni Forti, responsabile area dati di YouTrend ed esperto di sondaggi e analisi dei dati.
Pietro è tra le poche persone in Italia che può dire senza vergogna “me l’ha detto mio cuggino”.
Ultime indicazioni (non di voto) prima di iniziare: come vi dicevamo ieri, vi terremo compagnia fino al 30 settembre per analizzare gli esiti di quest’elezione e capire in che direzione andrà la politica italiana. Se volete scriverci per consigli o suggerimenti, potete farlo tramite la nostra mail buoneintenzioninewsletter@gmail.com, o i nostri profili instagram @pietroforti.docx e @simonemartuscelli. Se avete apprezzato il nostro lavoro finora, e volete consigliarlo a chi invece non ha avuto il privilegio di passare quest’estate con noi, potete farlo premendo il pulsante in basso.
Adesso iniziamo.
La prima variabile di cui tener conto è l’affluenza.
Un dato che ha avuto uno sviluppo non incoraggiante negli ultimi decenni.
Il giorno del voto è solitamente quello in cui ci si aggrappa a qualsiasi numero pur di cercare di prevedere cosa succederà alla chiusura delle urne; il rischio, però, è che qualsiasi interpretazione sia potenzialmente valida e quindi nessuna sia davvero utile.
«Di solito tutte le previsioni che dicono che l’affluenza avvantaggia questo o quello vengono smentite» ci dice Giovanni. «Mettendo queste mani avanti, possiamo dire che ci aspettiamo un’affluenza tra il 65% e il 70%, quindi in calo (nel 2018 era stata al 72.9%, ndr) e in calo soprattutto al Sud». Il che non sarebbe una buona notizia per il Movimento 5 Stelle, che nelle ultime settimane sembra interessato da un trend di rimonta trainato soprattutto dai voti del Mezzogiorno.
Il meteo non ha avuto una particolare preferenza per Giuseppe Conte.
Nel momento in cui scriviamo conosciamo i dati (quasi) definitivi dell’affluenza delle 19, che vedono un calo piuttosto sostanzioso rispetto al 2018: poco oltre il 51% contro il 58,57% di quattro anni e mezzo fa. Il numero di votanti ha tenuto botta nel centro-nord ma è crollato al sud, con il picco negativo in Campania: -13,85%.
Già alle 12 la Campania sembrava deludere le attese, con un -4.5% rispetto alle ultime politiche. Anche a causa della forte ondata di maltempo che ha colpito la regione nella giornata di oggi.
Adottare soluzioni punk per sopravvivere alla destra.
Ma proprio la Campania è una delle aree da osservare con più attenzione per capire le potenzialità del Movimento 5 Stelle: «Se il PD è 5 punti, forse anche 8, dietro il Movimento 5 Stelle a Napoli è un segnale importante che rischia di essere dietro anche al livello nazionale».
L’impresa per i 5S è abbastanza difficile, anche perché, spiega Giovanni, «serve che guadagnino un paio di milioni di voti sul PD nelle isole. Qui forse il tema dell’affluenza nel Sud ritorna come una delle chiavi di lettura più importanti, perché un’affluenza medio-alta lì permette ai 5S di essere un giocatore importante al livello nazionale», permettendogli di puntare anche «a un risultato impronosticabile fino a qualche settimana fa, come il 20%. Se l’affluenza al Sud è bassa i rischi per il PD sono abbastanza più contenuti».
Noi due non appena avvisteremo un sondaggista stasera.
Ci sono parti politiche per cui scoprire i risultati potrebbe essere un pianto greco.
E poi c’è il centrosinistra, che ha elevato la disperazione da spoglio a forma d’arte.
Tipo quando i leader dell’Unione si sbrigarono ad andare in piazza prima dei risultati definitivi a dire che avevano vinto perché Berlusconi stava per riacchiapparli.
Ecco, chi ha fatto campagna per il centrosinistra sa benissimo che ci sono degli indicatori che deve seguire per capire a che punto abbracciarsi al pacco di Kleenex. Ma come può saperlo prima della pubblicazione dei risultati?
«Si può dare qualche risposta per zona: se il centrosinistra fa va sotto il 27-28-29% nelle grandi città (soprattutto Torino, che è una delle città di cui conosceremo prima i risultati) potrebbe essere un sintomo del fatto che per loro sarà una brutta nottata», suggerisce Giovanni. «Se la destra vuole avere la maggioranza di due terzi deve riuscire a contendere al centrosinistra in un testa a testa le grandi città».
Quindi ecco, se il PD dovesse ottenere un risultato deludente nelle grandi città potrebbe aver finito le proprie vie d’uscita.
Un altro dato abbastanza semplicemente interpretabile riguarda una forza della coalizione, la più forte (si fa per dire) dopo il PD. «Per Alleanza Verdi-Sinistra abbiamo una pietra di paragone abbastanza “comoda” che è il risultato di Liberi e Uguali alle ultime politiche. Se uno tiene d’occhio il dato di un comune o di un collegio la sera del 25 settembre e la confronta con quella del 4 marzo 2018, si capisce abbastanza bene se è in linea o meno per arrivare a una riconferma in Parlamento rispetto a LeU».
Sinistra Italiana ed Europa Verde sono alle prese con un voto ancora più “regionalizzato”, e che può essere interpretato guardando quasi solo a due zone. «In linea di massima deve stare sopra il 7-8% nei grandi comuni “rossi” (come Bologna e Firenze, per capirci) e in generale ha bisogno almeno del 5-5,5% in Emilia-Romagna e Toscana e nelle altre grandi città», spiega Giovanni. «Se ci sono questi numeri non dico che si possa stare tranquilli, ma diciamo ci vuole una buona base al livello di voti. La soglia è il 3% ma si concretizza abbastanza bene in 1 milione di voti, o qualcosa meno, il che basterebbe per entrare in Parlamento. Se fra Toscana, Emilia-Romagna e grandi città soprattutto del centro-nord l’Alleanza Verdi-Sinistra riesce ad ottenere tra i 400.000 e i 450.000 voti già è abbastanza avanti nella sua ricerca dell’agognato seggio».
È inutile negare che chiunque abbia vissuto questa campagna elettorale come una vittoria in partenza per la destra. Non fanno eccezione leader di certe formazioni politiche, che hanno persino parlato di competere per limitarne la maggioranza, ammettendo sostanzialmente la sconfitta a una ventina giorni dal voto.
Se l’obiettivo era farne una questione di lato chiaro e lato oscuro, Letta sembrerebbe essersi ispirato all’ordine Jedi dopo l’ordine 66.
Ma il risultato della destra dipende radicalmente da quello che succederà soprattutto ai tre partiti principali che lo compongono. Se sembra difficile che il risultato di Fratelli d’Italia deluda i suoi militanti, la maggioranza potrebbe essere meno ampia del previsto per una (pronosticabile) caduta in picchiata dei consensi degli alleati, Lega e Forza Italia.
«Le probabilità che il centrodestra arrivi ad una maggioranza dei due terzi dei seggi sono in calo negli ultimi giorni. La strada per arrivarci, nel caso, è avere una percentuale alta (e quindi un recupero del Movimento 5 Stelle più basso del previsto, che al Sud non vada oltre il 23-24%) e magari riuscire a contendere in un testa a testa le grandi città».

Utile thread sempre del nostro ospite per capire perché perfino la maggioranza semplice del centrodestra è probabile, ma non scontata.
La festa potrebbe non essere uguale per tutti, quindi. La Lega è ormai rassegnata a cedere lo scettro di primo partito della coalizione a Fratelli d’Italia: ma le dimensioni della sconfitta non saranno affatto irrilevanti. «La Lega perde in favore di Fratelli d’Italia in due livelli diversi: al nord bisogna capire se FdI sarà la prima lista, di quanto, ed è importante capire se lo sarà anche in Veneto, che è praticamente la regione in cui la Lega va meglio, che è molto importante. Ci sono zone in cui quasi sicuramente Fratelli d’Italia sarà la prima lista del centrodestra. Le zone rurali del centro, soprattutto, sono zone storicamente favorevoli per FdI. Il Lazio, fuori da Roma, è abbastanza una roccaforte. Lì la Lega nel 2019 era andata molto bene, e aveva preso percentuali anche sopra il 35%. Ci fosse uno svuotamento completo della Lega, che magari in quei comuni sta sotto il 10%, sarebbe un segnale importante che potrebbe stare sotto il 10% anche al livello nazionale».
L’altro alleato, Silvio Berlusconi, ha dato spettacolo durante questa campagna elettorale, ma rischia di essere ricordato esclusivamente per il suo mirabolante percorso su Tik Tok (Tak). Anche qui, i risultati si possono vedere soprattutto confrontandoli con il passato elettorale. «Molto in realtà dipende dal sud. Nel nord del paese, soprattutto a nord-est, già nel 2019 aveva avuto una performance abbastanza scadente». Giovanni ce lo spiega come se lo dovesse spiegare a dei bambini, e fa bene. «Se a inizio maratona, quando arrivano i dati dalle prime città, si dovesse scoprire che ha preso il 5% in Veneto non sarebbe la fine del mondo. Sarebbe la fine del mondo se prendesse il 5% in Sicilia, e vorrebbe dire che nel resto d’Italia è probabilmente sotto. Da questo punto di vista Forza Italia deve cercare di mantenere al livello di voti assoluti gli stessi voti che aveva preso nel 2018 in modo da avere quasi la certezza di stare sopra al 6%».
Insomma: se Forza Italia va male al sud c’è da aspettarsi che Berlusconi non vada molto oltre le cinque o sei dita nel conteggiare i punti percentuali.
Ma il travaso dei voti di Lega e Forza Italia non esce dal centrodestra. Molto va a Fratelli d’Italia. Pochissimo, al contrario di quanto speravano i suoi leader, va ad Azione e Italia Viva.
Chiusura su due liste minori, almeno stando agli ultimi sondaggi.
In campagna Carlo Calenda aveva dichiarato di puntare al 10%, nonostante nessuna rilevazione gli desse granché credito. Ma di cosa ha bisogno il terzo polo? «Una cosa che può cercare di fare è avere un buon risultato non soltanto nelle grandissime città, le quattro più grandi del Centro-Nord (Roma, Bologna, Milano e Torino) ma anche nelle città di medie dimensioni fra i 100.000 e i 250.000 abitanti, nel Veneto, le altre dell’Emilia-Romagna e della Lombardia. Qui ha bisogno proprio di un boom e di stare sopra il 10%, per rimanere sopra il 6% nazionale».
A casa Draghi stanno incrociando le dita perché Mattarella non si faccia sentire.
Infine, l’incognita di queste elezioni per i sondaggisti si chiama Italexit. Il partito di Gianluigi Paragone è dato molto vicino alla soglia di sbarramento, ma capire il vero peso elettorale di questa lista è particolarmente difficile non esistendo uno storico dei risultati e quindi alcun dato sulla distribuzione territoriale degli elettori.«Sappiamo che Italexit tende molto a svuotare il M5S al Nord, dove già era debole, e meno al Sud. Questa cosa qui è un po’ un limite, perché chiaramente nel momento in cui recuperi voti solo dal M5S e solo al Nord dove già il M5S non era andato benissimo sei un po’ limitato nella rincorsa al 3%. Dovrà riuscire a rubare un po’ di voti anche alla Lega, immagino più al Sud: quegli elettori del 2018 del M5S che poi avevano votato Lega nel 2019 alle europee soprattutto al Sud e nelle grandi città».
Oggi siamo stati lunghissimi, ma l’importanza del momento lo richiedeva.
Per chi è a Roma, ci vediamo tra poco a Spin Time Labs per passare questa nottata elettorale insieme.
Stavolta potremmo non avere buone intenzioni.
Per tutti gli altri ci sentiamo domani. Ci prenderemo il nostro tempo per digerire i risultati e saremo di ritorno da voi.
Ciao!
A dopo😘