Ciao!
Siamo Pietro e Simone,
e non saremmo mai dovuti andare in vacanza.
Più o meno il nostro ruolo dopo questi cinque giorni.
Speriamo di esservi mancati il giusto. In realtà, per una cinquantina di voi questa è la prima newsletter, quindi non vogliamo sopravvalutare la nostra importanza.
Prima di cominciare, due notizie che ci riguardano.
Martedì 30 agosto per la prima volta ci potremo vedere dal vivo per parlare della campagna elettorale! Saremo ospiti del festival Il mondo nuovo, che si aprirà domani allo storico bar Vanni di via Col di Lana a Roma.
Quello di martedì sarà il primo di quattro incontri, che faranno un po’ da spoiler agli approfondimenti tematici della domenica.
Partiamo parlando di lavoro. Che è più o meno come aprire un festival cinematografico con Profondo Rosso.
Un grandissimo grazie a Mario Soldaini per averci invitati. Nei prossimi giorni vi aggiorneremo su tutte le date, gli ospiti e i temi di cui parleremo!
Un’altra piccola novità: Simone è stato ospite di Moka, nuovo programma mattutino del palinsesto di Radio1, in qualità di redattore di Scomodo per parlare di giovani e campagna elettorale! Se volete recuperare la puntata, lo potete fare cliccando qui.
Ma le cose successe e da riassumere almeno in parte sono troppe, e l’abbiamo già fatta troppo lunga coi convenevoli.
Iniziamo.
Si sapeva da tempo che questa campagna elettorale si sarebbe giocata parecchio sui social network, soprattutto con l’agosto italiano di mezzo. Tutto quel che sta succedendo e i vari risvolti di giocarsela così tanto con post, video e meme, tuttavia, spiazzerebbero qualunque elettorato, anche uno composto al 100% da persone che passano sei o più ore al giorno sui social.
Ecco, un elettorato tipo così.
Non è servito che fossero pronte le liste elettorali (che ora trovate qui) per scatenare l’inferno. Una schiera di candidate e candidati è stata passata al setaccio dal secondo in cui sono diventati noti alcuni dei nomi più “reclamizzati”, ma anche candidati di secondo o terzo piano sono caduti nella trappola.
Quando si parla di social e politica ovviamente si è portati a pensare a tutto ciò che scrive.
Vi avevamo già anticipato una settimana fa dei guai passati da Raffaele La Regina, uno dei quattro capilista under35 sponsorizzati da Enrico Letta, per dei post sull’oppressione del popolo palestinese e sulla scelta di Donald Trump di spostare l’ambasciata americana in Israele a Gerusalemme.
Ecco, da allora anche gli altri tre sono stati tirati in mezzo per vari motivi. Solo La Regina ha ritirato la candidatura, ma Caterina Cerroni è stata criticata per frasi ambigue su Piazza Tienanmen, Marco Sarracino è stato accusato di inneggiare all’Unione Sovietica per un post sulla rivoluzione d’ottobre, e anche Rachele Scarpa è stata accusata di antisemitismo per aver rivolto critiche a Israele. Ah, e anche perché vorrebbe la patrimoniale.
Secondo la destra i dem sono dei bolscevichi da trent’anni. Ovvero più o meno da non sono più comunisti.
È piuttosto curiosa l’accusa di antisemitismo da una coalizione che vanta vari candidati di punta di note simpatie nazifasciste. (come Galeazzo Bignami, che vi avevamo già segnalato, o il più noto Claudio Durigon).
Nelle tante polemiche pre-elettorali che riguardavano la destra c’era finito anche l’ex sindaco di Catania Salvo Pogliese, sospeso due volte per la condanna ricevuta sulle “spese pazze”. Ora è candidato al Senato per Fratelli d’Italia.
Ma la realtà non interessa quanto i social, e tra gli altri candidati finiti nel mirino c’è anche la capolista a Caserta per la lista che unisce Italia Viva e Azione, Stefania Modestino. Carlo Calenda si è già scusato per i post “putinisti”, ma è ancora in corso una “verifica” sulla candidatura della docente e giornalista.
Fossero solo le candidature a soffrire le ricadute di certi post dormiremmo piuttosto sereni, ma così non è.
Non pensiamo di dovervi aggiornare più di tanto della pubblicazione del video di uno stupro a Piacenza da parte di Giorgia Meloni, che comunque non si è scusata, neanche quando sono divenute di pubblico dominio (come, non è chiaro, ma diciamo che qualche sospetto è lecito averlo) alcune dichiarazioni della vittima, che avrebbe affermato di essere stata riconosciuta a causa della pubblicazione del video. Non abbiamo visto il video, che Meloni sostiene fosse oscurato, ma in ogni caso le piattaforme social l’hanno rimosso.
A distanza di ventiquattr’ore un altro video è comparso sui social. Anche di questo avrete sentito o letto: nel parlare delle proprie proposte per incentivare i giovani a fare sport, Meloni ha parlato di come ciò aiuti a combattere le «devianze». Quando si è accesa la polemica su cosa significasse “devianza” secondo Giorgia Meloni, è stata messa una toppa decisamente peggiore del buco: tra le devianze si citano anche i disturbi alimentari. A quel punto, dopo una seconda ondata di critiche (oltre ad accorati appelli a trattare temi come obesità e anoressia con un pelo di sensibilità), Meloni ha tentato di rimettere le cose a posto con un post in cui parla dell’obesità di sua madre e del bullismo che lei stessa ha subito da ragazza per via del suo peso.
Non è stata l’unica volta che si è parlato del corpo di Giorgia Meloni negli ultimi giorni: il caporedattore della sezione news di Vice, Leonardo Bianchi, ha condiviso sui social un arcaico video scovato su Twitter con una canzone dedicata all’attuale presidente di Fratelli d’Italia, risalente ai tempi della militanza nel Fronte della Gioventù. Il titolo: “Coatto antico in un corpo da bambina”. Il testo sarebbe a cura di Raffaele Persichetti, esponente di Fratelli d’Italia della Garbatella, quartiere in cui Meloni è cresciuta.
Curiosa omonimia.
In ogni caso, la rincorsa sui social si basa esclusivamente sulla produzione di content.
Il PD di Letta ha lanciato una serie di “card” in cui si oppone un futuro grigio-nero con la destra al governo con qualcosa che il PD sostiene di garantire. Ovviamente qui lo spazio per i meme era una prateria, e Letta ne ha anche ricondiviso uno.
Quella roba lì sulla situazione grave ma non seria, ecco.
Tradurre content con “contenuti”, nel bel mezzo di una campagna elettorale in cui non si parla sui social dei contenuti dei programmi, sarebbe veramente ingeneroso.
Di proposte si è parlato solo a Rimini, al meeting annuale di Comunione e Liberazione, dove una buona parte dei leader si sono ritrovati per parlare all’elettorato cattolico storicamente più di destra, per quanto “moderato” (qui le virgolette si sprecano). Il pubblico si è particolarmente scaldato per Giorgia Meloni, il che forse denota poca moderazione. Se volete recuperare il confronto moderato dal direttore del Corriere Luciano Fontana lo trovate qui.
Controindicazioni.
Un particolare interessante tra i vari temi, si è parlato di istruzione: Letta è stato fischiato per aver parlato di un eventuale obbligo di frequentazione della scuola dell'infanzia dai 3 ai 5 anni e di prolungamento dell’obbligo alle superiori fino ai 18 anni. Anche se si parla di “rafforzare” l’istruzione per queste fasce, nel programma del PD quest’obbligo non compare.
Il vicepresidente di Forza Italia Antonio Tajani, invece, ha deciso di andarci pesante nel lisciare il pelo al pubblico di CL, proponendo un sostegno a chi decide di mandare i propri figli in scuole non pubbliche. Che in Italia vuol dire, nella maggior parte dei casi, scuole paritarie cattoliche.
Il giorno dopo, gli applausi erano tutti per Mario Draghi, che nel suo discorso si è sostanzialmente eretto una statua da vivo. La politica, intanto, continua a rincorrerlo, e sgomita per avere i suoi favori.
Qui un esempio davvero poco divertente di questo esercizio.
(Il primo account è quello di Filippo Sensi, deputato PD e già portavoce dell’allora premier Matteo Renzi.)
La stampa, ovviamente, segue a ruota gli sforzi verso la canonizzazione di Draghi. Sull’Huffington Post qualche giorno fa Alessandro De Angelis scriveva un pezzo esemplare in questo senso. Secondo questa interpretazione, all’interno del discorso di Draghi sarebbe presente sia un messaggio (anzi, una “lezione”) alla destra, colpevole di portare avanti un discorso isolazionista; sia alla sinistra, che descrive l’arrivo della destra al governo come un armageddon, quando in realtà «l’Italia ce la farà, chiunque governi».
La narrazione che vuole una classe politica irresponsabile accodarsi intorno ad un leader illuminato non è una novità da quando l’ex presidente della BCE è arrivato a Palazzo Chigi. E se sulle incapacità dei primi si può essere d’accordo, l’impressione è che si tenda a sopravvalutare l’operato e le opinioni di Mario Draghi.
È abbastanza chiaro che dietro la volontà della destra di spingere l’Italia fuori dalle attuali coordinate internazionali non ci sia la reale scelta di isolarsi quanto piuttosto la spinta a ridisegnare queste stesse coordinate. Magari in senso filorusso, come vorrebbe Salvini. E allo stesso tempo, non solo non è vero ma va rifiutata con forza l’idea che l’Italia ce la farà a prescindere da chi uscirà vincitore dal voto di settembre. Tra le tante possibili definizioni di cos’è la democrazia, essere padroni di fatto del proprio destino è una di quelle che si avvicina di più all’esattezza.
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Solo i nuovi arrivati e gli ingenui potevano credere che, dopo cinque giorni d’assenza, non saremmo andati lunghissimi.
Per i nuovi, ribadiamo le nostre informazioni di contatto: potete trovarci alla mail buoneintenzioninewsletter@gmail.com o sui nostri profili Instagram: @pietroforti.docx e @simonemartuscelli.
Per gli ingenui, invece, consigliamo di corazzarsi con una buona dose di disillusione prima di affrontare il prosieguo di questa campagna elettorale.
A domani!