21 settembre - Diamo i numeri
I partiti provano a fissare i propri obiettivi. Intanto Meloni incappa in vecchi difetti.
Ciao!
Siamo Pietro e Simone,
e oggi è l’ultimo mercoledì prima del voto, capitani.
Noi in attesa del silenzio elettorale.
Come probabilmente sapete, però, c’è già un settore di questa campagna che è già in silenzio da qualche giorno. La pubblicazione di sondaggi elettorali, infatti, è vietata nei quindici giorni precedenti al voto, dunque gli ultimi dati a nostra disposizione risalgono al 9 settembre.
Attenzione, però: i sondaggi non possono essere pubblicati, ma le agenzie continuano ad effettuarli e a comunicarli ai partiti che spesso glieli commissionano. Motivo per cui vi potrebbe essere capitato di vedervi arrivare sondaggi da decriptare mascherati da emoji o corse di cavalli. Ed è anche il motivo per cui i leader continuano a ridefinire pubblicamente i propri obiettivi in termini di consenso, a seconda delle indicazioni che arrivano loro dalle ultime rilevazioni.
Ne parlavamo già ieri, ma questo è troppo per qualsiasi sondaggista.
Prima di iniziare, reminder che mancavano da un po’ per i nuovi arrivati: potete scriverci in qualsiasi momento a buoneintenzioninewsletter@gmail.com o sui nostri profili Instagram, @pietroforti.docx e @simonemartuscelli. Inoltre, potete condividere questa newsletter con chi volete premendo il pulsante qui in basso.
Iniziamo.
Oggi la nostra apertura è piuttosto bizzarra: un’intervista del Giornale, che già di per sé non è testata a cui attingiamo spesso, che dialoga con Enrico Letta.
Name a more iconic duo, I’ll wait.
L’intervista è firmata dal direttore Augusto Minzolini ed è palesemente condotta con un’ostilità di fondo, non nascosta già dalle prime battute: «Con Enrico Letta siamo su due pianeti diversi». Minzolini accusa Letta di aver «radicalizzato molto la campagna elettorale, (...) ritirato fuori dal cassetto i fantasmi del passato», di aver contribuito alle “aggressioni” che lamentano i partiti del centrodestra e di aver favorito ingerenze estere nella campagna elettorale.
Due cose, tuttavia, sono interessanti. La prima è l’abbandono definitivo dello schema delle larghe intese, sia nella chiusura a Draghi («Chi continua a evocarlo ha una rimozione della realtà») sia nel riconoscimento che a governare sarà la coalizione vincente. Nell’ennesimo tentativo di legittimare la “visione bipolare della contesa politica” che, a suo dire, lo unisce a Giorgia Meloni - e che, soprattutto, esclude altri interlocutori rimasti fuori dai due poli. La seconda è che, anche di fronte ad una domanda diretta sul tema, Letta non si sbilancia su quale sia un risultato che possa salvare la faccia al partito, e anche la sua segreteria.
“Abbiamo fatto una bella partita, adesso ci aspettano 11 finali” e altri luoghi comuni.
Non si espone nemmeno Giuseppe Conte, che in risposta alla domanda se l’obiettivo del Movimento 5 Stelle sia quantificabile intorno al 15%, afferma di non avere obiettivi percentuali ma che “l’entusiasmo delle piazze smentisce la morte del M5S”. A questo proposito, questa mattina sul Sole24Ore Roberto D’Alimonte, politologo ed esperto di sistemi elettorali, introduce nel dibattito una possibilità finora ignorata: che il Movimento 5 Stelle rientri in corsa per la vittoria di alcuni collegi uninominali.
«Per competere nei collegi uninominali del Sud - afferma D’Alimonte - basta avere tra il 30 e il 35% dei voti. È una percentuale elevata, ma non fuori dalla portata del partito di Conte. Al Sud sono in palio al Senato 31 collegi. Se il Movimento ne vincesse la metà, la somma di questi collegi con quelli che la coalizione di Letta vincerà nel resto del paese potrebbe privare il centrodestra della maggioranza assoluta».
Se dovesse recuperare ancora voti, probabilmente Conte aprirebbe direttamente una pizzeria.
Molto più schietto è invece Carlo Calenda, intervistato questa mattina dal Foglio. Nonostante una partenza in sordina («L’unica proposta mirabolante alla vigilia del voto sarà quella di non fare proposte mirabolanti»), Calenda arriva a tracciare un quadro molto chiaro di quella che sarà, secondo lui, la situazione post-voto: una Forza Italia che “sfiorerà la soglia di sbarramento” e la lista di Azione/Italia Viva al di sopra della Lega: «Perché mai un imprenditore del nord, una partita Iva, un avvocato, di fronte a questa Meloni dovrebbe sperare in un governo guidato da lei, e non puntare su un nuovo incarico a Mario Draghi con un sostegno trasversale che va dal Pd alla Lega desalvinizzata?»
Poi c’è quel trascurabile dettaglio che la persona in questione non è disponibile. Ma di anziani da supplicare tirandoli per la giacchetta di non andare in pensione questo paese ne è pieno.
Per Calenda, infatti, Meloni sta dimostrando in questi ultimi giorni di essere inadatta al ruolo di capo del governo: «Io l’ho vista, la Meloni, l’ho incontrata in questa campagna. È sempre sulla difensiva, sempre nervosa, sempre in preda a una specie di sindrome da assedio. Ce l’hanno tutti con lei: i giornali, gli artisti, le cancellerie straniere. Ma stare a Palazzo Chigi richiede saldezza di nervi, capacità di incassare in silenzio. Non è all’altezza. È unfit». Che detta così sembra più un giudizio sulla taglia dei suoi jeans che sulla capacità di guidare il paese.
Ma quali sarebbero le ultime uscite che rendono Meloni unfit? Nelle ultime ore, sono almeno tre le polemiche che stanno investendo Fratelli d’Italia.
La prima riguarda ancora Vox, il partito ultraconservatore spagnolo che era già stato al centro di polemiche quando, lo scorso ottobre, Giorgia Meloni era stata ospite di un loro evento in Andalusia e aveva usato toni e contenuti ben oltre il limite dell’inquietante.
Ricordare fa sempre bene.
Ieri la leader di FdI ha parlato ad EFE, la principale agenzia di stampa spagnola, affermando che con Vox «siamo legati da stima, amicizia e lealtà reciproca», e augurandosi poi che «il centrodestra italiano guidato da Fratelli d’Italia vinca le elezioni e che questo possa fare da apripista per qualcosa di simile anche in Spagna tra qualche mese». In Spagna si andrà al voto entro la fine del 2023, e i sondaggi indicano come Vox sia il terzo partito del paese con un consenso intorno al 15%.
Per capirci, lui è il segretario di Vox che incita alla ‘reconquista’ dell’Andalusia, in occasione delle regionali del 2018.
L’altro imbarazzo per Fratelli d’Italia coinvolge uno dei principali esponenti del partito, Ignazio La Russa. O meglio, la sua famiglia.
Il fratello Romano, anche lui iscritto a FdI, è assessore alla Sicurezza della regione Lombardia e nella giornata di ieri è stato ripreso mentre faceva il saluto romano al funerale di Alberto Stabilini, ex militante dell’estrema destra milanese e del Fronte della Gioventù. Lui ha ovviamente negato tutto.
Non è crudo, è di Parma.
E poi c’è Palermo.
La gestione del dissenso è, quella sì, da leader post-fascista. Ma senza post.
Per una leader dal passato discutibile e ansiosa di accreditarsi con le élite nazionali e internazionali, si tratta di tre passi falsi piuttosto pesanti in un solo giorno. Chissà quanti altri ne vedremo da qui al 25.
Per oggi è tutto, ma qualche indicazione logistica prima di lasciarci.
Domani, oltre alla mail giornaliera, vi arriverà anche il penultimo speciale tematico, quello che abbiamo saltato domenica. Cerchiamo di rimediare parlando di un piatto forte di questa campagna: l’ambiente.
Domenica, invece, l’approfondimento ricalcherà alcuni dei temi di oggi. Per ora, vi diciamo solo che si continuerà a parlare di dati e numeri.
Infine, se domenica sera pensate di essere a Roma, tenetevi liberi. La Maratona Buone Intenzioni sta diventando realtà, more instructions will follow.
Giuriamo che saremo migliori di così.
A domani!
Daje 🥰