Ciao!
Siamo Pietro e Simone,
e man mano che ci avviciniamo alla tornata elettorale di giugno prossimo, non aumentano solo i nostri incubi, ma anche lo spazio dedicato all’Europa e agli esteri nella politica italiana. Questa settimana, ad esempio, la puntata del podcast che potete trovare qui in basso è dedicata quasi per intero a questi temi.
Ma c’è anche una piccola novità su una questione squisitamente nostrana. Ci arriviamo tra poco, in ogni caso.
Quindi, iniziamo.
Innanzitutto, la nostra attenzione è stata catturata da un titolo apparso sulla prima pagina di Repubblica di venerdì.
Non ci sono errori ortografici: impressionante se si pensa che è stato scritto solo con la mano sinistra.
Citando fonti diplomatiche francesi, Rep sostiene che il presidente Macron starebbe spingendo per avere Mario Draghi alla presidenza della prossima Commissione europea, con Ursula Von der Leyen forse dirottata verso la segreteria generale della NATO. Una versione poi smentita dalla Stampa, secondo cui Draghi non avrebbe interesse verso la carica; e da Domani, che indica come direzione più papabile per l’ex premier il Consiglio europeo. Ma l’indiscrezione ha comunque un suo valore, sotto alcuni punti di vista.
Innanzitutto, non sarebbe la prima volta che Draghi, giocando troppo d’anticipo sulle sue reali intenzioni, finirebbe per “bruciare” una sua potenziale candidatura. Lo stesso, in effetti, era avvenuto ai tempi dell’elezione del Presidente della Repubblica. Dimostrazione che è possibile essere degli ottimi tecnici, perfino tra i migliori del continente: ma poi il gioco della politica è un’altra cosa.
La seconda, invece, è che fa un po’ specie leggere della proposta forse più legata allo “status quo” possibile in un momento in cui si discute di epocali cambiamenti negli equilibri politici europei e di nuove maggioranze di destra. Se questa è la “nuova Europa” dei sovranisti, si potrebbe già dire che la montagna, alla fine, avrà partorito un topolino banchiere.
Altre notizie dall’Europa di questa settimana.
Sabato scorso si è tenuta, a Firenze, la convention dei sovranisti europei di Identità e Democrazia organizzata da Matteo Salvini. Nello stesso momento, la presidente del Parlamento europeo Roberta Metsola dava il via alla sua campagna elettorale nel sud Italia. Partendo da Caserta, con somma sorpresa di Simone.
Che è contento di poter finalmente citare un poeta che diceva:
Tutte le strade portano a Roma / tranne l'Asse Mediano
Questa compresenza ha dato vita, in sostanza, ad una sorta di scontro simbolico tra due differenti visioni dell’Europa: rafforzato dall’attacco di Salvini a Metsola, accusata di voler “riproporre l’inciucio con le sinistre”. A prendere posizione in maniera piuttosto netta contro Salvini, ci ha pensato prima di tutti un membro della maggioranza stessa: Antonio Tajani, che ha avvertito il leader della Lega che il Partito Popolare “non farà mai alleanze con AfD e con la signora Le Pen”.
E se si arrabbia Tajani.
Dal canto suo Meloni, come al solito, ha interpretato il ruolo della diplomatica: mercoledì la premier ha incontrato entrambi, prima Salvini e poi Metsola, cercando in qualche modo di fare da paciere e incassando la fiducia della presidente del Parlamento Ue che l’ha definita “una donna pro-Ue molto forte”. Ma se per ora le tensioni restano controllabili, l’avvicinarsi della scadenza elettorale rischia di far saltare il tappo.
Ultime due notizie per questa settimana:
Come rivelato dal Corriere della Sera mercoledì, l’Italia ha ufficialmente comunicato a Pechino la volontà di uscire dal progetto della Nuova Via della Seta. L’unico paese del G7 ad aderirvi, in sostanza, è anche il primo paese ad abbandonare il piano. Per un bilancio in breve di questi quasi quattro anni dell’accordo (spoiler: fallimentare), vi rimandiamo ad un’analisi di ISPI. Dal canto nostro, siamo solo contenti che Meloni abbia finalmente trovato il coraggio di rompere anche l’ultima relazione tossica che restava nella sua vita.
Chiudiamo tornando agli affari di casa nostra: la proposta presentata dalle opposizioni riguardante il salario minimo è definitivamente naufragata, tra lo stupore di nessuno. Il centrodestra ha presentato un emendamento interamente sostitutivo, che sostanzialmente l’avrebbe trasformata in una legge delega. Le opposizioni, quindi, hanno ritirato in blocco la propria firma dal testo: in un putiferio che ha visto come apice Giuseppe Conte strappare il testo della proposta.
La reazione più pacata di Conte nel leggere un testo senza la parola “congiunti”:
Per questa settimana è tutto, noi ci ritroviamo sabato prossimo. O forse anche prima, non ne abbiamo idea neanche noi ad essere sinceri.
Ciao!