Qualcuno che si implode
La settimana in cui governo e opposizioni fanno la guerra contro sé stessi.
Ciao!
Siamo Pietro e Simone,
e siamo contenti di riuscire finalmente a parlare del nulla. O meglio, dei litigi inutili su cose decisamente serie.
Un pelo più serie di questa.
Iniziamo.
Il governo di Giorgia Meloni non è mai entrato ufficialmente in crisi. Di cose che ne hanno minato la credibilità ne sono successe non poche, nel corso degli ultimi otto mesi. Allo stesso tempo, però, il governo si è rinsaldato, trovandosi d'accordo su importanti dossier come immigrazione, tasse e lavoro. Cosa potrebbe andare storto?
Sì.
Vi abbiamo già parlato, anche piuttosto recentemente, dei litigi tra Lega e Fratelli d'Italia in sedi e contesti non proprio felici, come le war room convocate per decidersi una volta per tutte sulla gestione del post-alluvione in Emilia-Romagna. Derubricabile, almeno secondo la prospettiva del governo, come scaramuccia territoriale al livello di tante altre. D'altronde, l'alleanza delle tre destre è un sistema collaudato di dare-avere per candidature e nomine, con Fratelli d'Italia a fare la parte del leone nella maggior parte dei casi.
Certo, poi ci sono casi come quello di Terni, in cui il sindaco uscente leghista ha dovuto lasciare il passo a un candidato di Fratelli d'Italia che ha perso contro questo figuro qui.
Ma mentre ancora non si è deciso chi sarà il commissario della ricostruzione in Emilia-Romagna a più di un mese dall'alluvione, lo scontro che si sta consumando sulla ratifica del MES sembrerebbe essere di tutt'altro livello.
Secondo un retroscena a cura di Tommaso Ciriaco su Repubblica, i due leader si sarebbero incornati al telefono in maniera talmente violenta da portare al rinvio di un Consiglio dei ministri fondamentale, ovvero quello dove finalmente avrebbero dovuto arrivare a un nome per il già citato commissario.
La Lega aveva chiesto di votare contro il MES in commissione, creando più di una rogna a Giorgia Meloni che sta cercando in ogni modo di evitare lo scontro frontale con i due Paesi guida dell'Unione, Germania e soprattutto Francia, tra i pochi a non essere governati da partiti o coalizioni di destra. Anche fingendo di andare d'amore e d'accordo con Emmanuel Macron, da sempre suo bersaglio transalpino preferito. Che, peraltro, ha assicurato il voto della Francia a Riad per Expo 2030. A scapito di Roma.
“Mortaccivostra” + “mo je faccio Italexit”:
Tra i due leader della destra, dopo la morte di Berlusconi, alla competizione per i voti moderati si aggiunge la competizione per trattenere quelli più marcatamente di destra e intimamente euroscettici: Fratelli d'Italia non tollera che sia la Lega a ergersi a paladina della coerenza mentre il resto della maggioranza cerca di ratificare l'odiato meccanismo salva-Stati.
La minaccia definitiva, da parte di Meloni, è il peggior incubo di Salvini dall'agosto 2019, mese in cui iniziò l'emorragia di voti: al telefono, al vicepremier leghista la presidente del Consiglio avrebbe detto «io ci metto due minuti a portare tutti alle elezioni».
Ufficialə.
Entrambi i leader hanno rogne interne e questo potrebbe essere un altro motivo per cui prendersi a schiaffi pubblicamente. Salvini ha uno scandalo in casa, con l'ex deputato Gianluca Pini (un tempo suo sfidante per la segreteria del partito) accusato di aver contribuito a truccare un appalto per favorire Marcello Minenna, ex assessore al bilancio di Roma in quota 5 Stelle e, secondo i pm, wannabe leghista.
Chi è davvero nei guai però è Fratelli d’Italia: la ministra del Turismo Daniela Santanché, fedelissima di Meloni, a seguito di un’inchiesta di Report è coinvolta in una bufera mediatica per gli affari delle sue imprese, nella gestione delle quali non avrebbe pagato i propri dipendenti e fornitori. La Lega, e in particolare il capogruppo alla Camera Riccardo Molinari, ha chiesto che Santanché spieghi le sue “ragioni” in Parlamento.
Salvini che usa un’inchiesta di Report per attaccare un’avversaria politica. What a time to be alive.
Ma per un governo che inizia a mostrare i primi veri segnali di difficoltà, c’è un’opposizione che non fa assolutamente nulla per provare ad approfittarne. Anzi.
Sì, stiamo per parlare di lui.
Il caso della settimana nasce sabato scorso, durante la piazza “Basta vite precarie” organizzata dal Movimento 5 Stelle a Roma. Sul palco della manifestazione, Beppe Grillo incita i cittadini a “darsi da fare”, a modo suo: “Cominciate a fare le brigate di cittadinanza, mascheratevi col passamontagna e di nascosto andate a fare i lavoretti, mettete a posto marciapiedi, aiuole, tombini. Fate il lavoro e scappate”.
Una frase che ha scatenato polemiche non solo perché, per molti, leggere “brigate” e “passamontagna” ottura le vene in una maniera tale da impedire di leggere tutto ciò che c’è intorno.
Appunto.
Il vero problema politico, però, era rappresentato dalla presenza in quella piazza di Elly Schlein, impegnata nell’ennesimo capitolo di questo corteggiamento tra PD e Movimento 5 Stelle che però non sembra mai arrivare a compimento.
Una passerella per cui la segretaria dem ha ricevuto diversi attacchi, pagandone anche alcune conseguenze: Alessio D’Amato, ex assessore alla Sanità del Lazio e candidato del centrosinistra alle ultime regionali, ha deciso di dimettersi dall’assemblea nazionale PD, denunciando l’”errore politico” della partecipazione della segretaria alla manifestazione M5S e affermando di non ritrovarsi “in questa linea politica”.
Le accuse alla segretaria sono state convogliate nella direzione del partito che si è tenuta lunedì. Al punto che Schlein non è riuscita a far votare la sua relazione completa, a causa delle critiche della minoranza: mettendo ai voti invece una versione parziale che elenca sette punti di lavoro sui quali indirizzare gli sforzi del partito nei prossimi mesi.
Qui interviene quello spazio di riflessione che per fortuna ci riserviamo di portare avanti in questa newsletter, altrimenti che noia un semplice riepilogo della settimana politica.
Il tentativo di dialogo con il Movimento 5 Stelle ha un’innegabile influenza sulla postura del PD di Schlein rispetto a certi temi. Basti pensare all’Ucraina: la segretaria è stata molto chiara nel confermare il sostegno all’Ucraina, ma la scelta di presenziare in una piazza in cui Moni Ovadia pronuncia un discorso che fa sue, senza alcuna remora, tesi della propaganda putiniana non giova a favore della chiarezza.
Il punto, però, è che in questo momento discutere di un’alleanza tra PD e M5S è qualcosa che non ha nessun senso. Le prossime elezioni di rilievo saranno le Europee, le sole con un sistema totalmente proporzionale che non prevede coalizioni. Le due regioni più grandi hanno appena votato, Campania ed Emilia-Romagna andranno alle urne solo nel 2025 e le amministrative nelle principali città sono previste nel 2026.
In realtà il 25-26 giugno si vota in Molise, e la particolarità è che per la prima volta in un’elezione regionale il centrosinistra appoggia un candidato del M5S. Ma fatichiamo a dare rilevanza nazionale ad un’elezione in cui il terzo candidato è costui.
Il grande vantaggio di Schlein, al momento della sua elezione a segretaria, era proprio la possibilità di non dover “cedere” su pezzi della propria identità per esigenze di coalizione, avendo invece campo libero per dettare una nuova linea. Esattamente il contrario di ciò che sta avvenendo, con una segretaria decisamente pavida e non in grado, per ora, di tenere fede alle enormi aspettative suscitate dalla sua elezione. Paura, impossibilità di impossessarsi di un partito molto più grande di lei o scarsa chiarezza rispetto al proprio progetto politico? Quale delle tre sia la risposta, le prospettive non sono particolarmente incoraggianti.
Per oggi è tutto, ma non possiamo lasciarci prima di una perla.
Vivendo nel 3000, Luigi Di Maio ha finalmente trovato la soluzione all’annosa questione del velo islamico per le donne: eliminare le discriminazioni di genere facendolo indossare anche agli uomini.
Noi ci sentiamo venerdì prossimo, ciao!
Complimenti ✋