Ciao!
Siamo Pietro e Simone,
tenetevi forte, perché questa settimana c’è davvero troppa roba di cui parlare. E se già nelle settimane normali riusciamo a essere inspiegabilmente logorroici, figuriamoci ora.
How it’s going.
Per non perderci in inutili chiacchiere, eccovi in allegato anche l’altra utile guida ai temi di questa settimana: la puntata del podcast, in cui ci perdiamo anche in due o tre svarioni degni di nota e di ascolto.
Detto questo, iniziamo.
La scorsa newsletter parlavamo, ad urne appena chiuse, dei risultati che iniziavano a venire fuori dall’Abruzzo: e che delineavano una vittoria abbastanza netta del centrodestra, contraddicendo la narrazione sull’”effetto Sardegna”.
Chi segue questa newsletter da un po’, sa che per noi la linea è sempre la stessa. Il vento (più grande metafora di questo 2024 politico finora) non ha cambiato direzione, soffia ancora pericolosamente da destra, ma ogni tanto trova degli impedimenti provenienti proprio da quello stesso campo. In Sardegna la sinistra è stata brava ad approfittarne, mentre in Abruzzo i ranghi conservatori si sono ricompattati.
On this topic.
Ecco perché, probabilmente, il dato più interessante a cui guardare sull’Abruzzo è proprio quello interno alla coalizione vincitrice. Rispetto al 2019, in cui la Lega aveva raccolto il 27,53%, qualche centesimo di punto ci impedisce di dire che il Carroccio ha perso esattamente il 20% dei consensi (7,56% oggi). E se l’affermazione di Fratelli d’Italia non è ovviamente una sorpresa ma un trend ormai consolidato, meno rassicurante è il fatto che anche Forza Italia recuperi terreno: dal 9% al 13,5%, imponendosi come terzo partito regionale e recuperando oltre 20mila voti reali (la Lega ne ha persi oltre 120mila).
Non è nemmeno l’unica preoccupazione per Salvini, che già vede il suo posto da segretario scricchiolare se le Europee non dovessero mostrare miglioramenti. A inquietare le sue notti c’è anche l’impossibilità di riuscire a “promuovere per rimuovere” il grande avversario interno nel partito: Luca Zaia. Dopo il blitz fallito per la riforma sul terzo mandato per i presidenti di regione, questa settimana Salvini ha provato a proporre a Zaia di farsi avanti per la candidatura alle Europee, vedendosi opporre un educato rifiuto. Insomma, il fantasma veneto che si aggira per via Bellerio è ancora più vivo che mai.
E invece, come va dall’altra parte?
Non bene.
Se il centrodestra è già sicuro della ricandidatura dell’uscente Vito Bardi alle prossime regionali, in Basilicata (21-22 aprile), il centrosinistra è nel pieno di uno psicodramma. Dopo un lungo scrutinio, il nome selezionato era stato quello di Domenico Lacerenza, un’oculista che per la verità non sembrava avere una gran voglia di candidarsi, ma che aveva convinto entrambi i leader dei due principali partiti della coalizione, Giuseppe Conte ed Elly Schlein. Fino a ieri, almeno - che è il motivo per cui questa newsletter vi arriva di domenica, e il motivo per cui nel podcast parliamo ancora di Lacerenza come candidato del csx. Ieri, però, dopo un po’ di giorni in cui si rincorrevano voci a riguardo, Lacerenza ha annunciato il ritiro della sua candidatura, motivandolo con le reazioni contrariate registrate tra le basi locali dei due partiti, impossibili da ignorare.
E quindi, ora, è il caos. Mentre da un lato Calenda attacca il PD per essere arrivato a questo punto pur di tenere insieme l’alleanza con il M5S, in realtà la pista più probabile al momento è che i due partiti decidano di separarsi. I Dem potrebbero sostenere la candidatura di Angelo Chiorazzo, che intanto ha presentato la sua candidatura da indipendente. Il suo era il nome più papabile all’inizio, senza però aver mai riscaldato tropo i cuori degli alleati a 5 Stelle: che quindi dovrebbero scegliere di andare da soli senza però avere ancora un nome pronto. In alternativa, il nome di Piero Marrese è ancora sul tavolo nel caso di una candidatura ancora unitaria. Inoltre, resta aperta la questione della collocazione dei partiti del fu terzo polo, che hanno speso in più occasioni parole positive per il candidato del centrodestra. L’”effetto Sardegna” sembra già un lontano ricordo.
Altre notizie, per uscire dal loop delle regionali.
Ad esempio, la notizia colazionabile della settimana: Geert Wilders, l’euroscettico alleato di Salvini, non diventerà primo ministro olandese. Too bad.
In Europa, oggi è soprattutto il giorno in cui Ursula Von der Leyen si è recata, insieme a Giorgia Meloni, al premier greco Mitsotakis e al belga De Croo, in Egitto, per chiudere un accordo da circa 7,4 miliardi con il governo di Al Sisi. Un memorandum modellato sull’esempio di quello stipulato con la Turchia, che sostanzialmente permette l’esternalizzazione della gestione dei confini, ma che ha in più una grossa parte riservata ad accordi di partnership energetica, con ENI in primo piano tra gli attori protagonisti nell’area.
La stretta sull'immigrazione avviene in un momento in cui la presidente della Commissione, come vi abbiamo già raccontato nelle ultime puntate, sta lentamente cambiando volto entrando in modalità campagna elettorale, e prendendo consapevolezza del fatto che dovrà guardare soprattutto a destra se vuole conservare la speranza di essere riconfermata. Ma questi sbandamenti non passano inosservati, anche all’interno delle istituzioni Ue: questa settimana, infatti, il Parlamento europeo ha annunciato che porterà alla Corte di giustizia europea la decisione della Commissione di sbloccare 10,2 miliardi di fondi europei all’Ungheria, senza adeguate garanzie riguardo al rispetto dello stato di diritto. Inoltre, l’Eurocamera ha chiesto spiegazioni anche riguardo alla misura speciale presa nei confronti della Tunisia nel dicembre 2023, e si parla già di un’istanza simile anche per l’accordo appena firmato con l’Egitto. I prossimi tre mesi di campagna non saranno per nulla stressanti.
Chiudiamo con una notizia che forse avrebbe meritato molto più spazio, e una riflessione approfondita. Ma chi ce l’ha il tempo.
Parlando della riforma fiscale in arrivo, Meloni ha offerto uno scampolo della sua visione del mondo e della società, dichiarando: “Non penso e non dirò mai che le tasse sono una cosa bellissima, sono bellissime le libere donazioni non i prelievi imposti per legge”.
Detto da qualcuno che fino a poco fa era considerato di “destra sociale”, è un’affermazione che fa abbastanza sorridere. Ma se non altro dimostra come, oltre alle battaglie di bandiera in senso conservatore su migranti, diritti LGBTQ+, aborto ecc, Meloni abbia totalmente abdicato a tutti i propositi incendiari degli anni precedenti all’arrivo al governo, e sia invece sempre più sulla strada giusta per giocare alla Thatcher all’amatriciana.
Adesso le manca l’invasione di un paio di rocce nel Mediterraneo. Noi un’idea ce l’abbiamo.
Per questo episodio è tutto, noi ci sentiamo la prossima settimana per commentare i prossimi ventisettemila nomi venuti fuori dal centrosinistra lucano.
Ciao!