Ciao!
Siamo Pietro e Simone,
e Giorgia Meloni oggi ha sentito per la prima volta Bella Ciao.
Se non fosse presidente del Consiglio, Meloni potrebbe tranquillamente aprire un canale YouTube di reaction.
Per la prima volta da un po’, il governo ha ripreso il controllo della narrazione generale, sia perché le notizie più importanti di questa settimana sono arrivate dalle borse e non più dal Mediterraneo, sia perché ha deciso di riprendere l’iniziativa, ed è arrivata la proposta di riforma fiscale. Ma è anche la settimana in cui, forse, il PD ha iniziato a fare opposizione.

“Bro, sei a casa? Su Rai Parlamento c’è il question time Schlein-Meloni”
Iniziamo.
È arrivato, dopo anni di attesa, il momento della grande riforma fiscale. Una misura che miri ad abbassare le tasse per un manipolo di persone molto benestanti ove non proprio ricche, dichiarando che tutti pagheranno meno tasse, è il sogno di ogni politico italiano di destra che si rispetti.
No, una volta tanto non parliamo di lui.
Il Consiglio dei ministri ha approvato un disegno di legge-deroga (ovvero una “richiesta” al Parlamento per iniziare a strutturare una riforma, approvata poi con decreti legislativi) sulla riforma del fisco in Italia. Se sembra un procedimento molto macchinoso è perché effettivamente lo è: il governo si è dato due anni di tempo per far approvare tutti i decreti una volta che avrà ottenuto la delega dal parlamento.
17 marzo 2025: Giorgia Meloni mentre scorta personalmente Umberto Bossi a votare l’ultimo decreto legislativo in Senato.
In realtà della riforma si sa ancora poco o nulla, a parte alcuni particolari.
Innanzitutto c’è il capitolo “favoroni alle imprese”, fino a oggi tassate principalmente con due imposte: IRES (imposta sugli utili della società) e IRAP (Imposta Regionale sulle Attività Produttive). Il governo vuole gradualmente arrivare a eliminare la seconda, la più invisa alle imprese, che però costituisce un polmone importante per i bilanci regionali (e dunque per la sanità pubblica). La prima, invece, andrebbe solo abbassata in maniera sostanziale “per chi investe o assume”. Ovvero più o meno la definizione di quello che fa un’impresa.
L’obiettivo principale del governo, però, è raggiungere la cosiddetta flat tax, spauracchio su cui la Lega ha costruito buona parte delle ultime due campagne elettorali.
Matteo Salvini cerca di farsi venire nuove idee dopo che il governo ha effettivamente continuato a far morire le persone in mare, ha realizzato il ponte sullo Stretto e instaurato un regime fiscale di flat tax.
L’idea è quella di iniziare con il diminuire nuovamente il numero di scaglioni dell’Irpef, già abbassati da cinque a quattro dal governo guidato da Mario Draghi. La destra ora vorrebbe portarli a tre, il che non cambierebbe quasi nulla in termini “redistributivi”, considerando che già oggi lo scalone più alto parte dal 43% pagato da chi ha più di 50.000 euro di reddito. Ma il governo ha sempre dichiarato che il suo obiettivo è realizzare una flat tax “sul modello” di quanto succede oggi tra i lavoratori autonomi, per i quali l’aliquota è fissa al 15%.
In ogni caso, non si sa ancora il valore di questi nuovi scaglioni. Ah, un particolare: non c’è neanche mezza indicazione su come far fronte al buco che si verrebbe a creare nei conti pubblici se si abbassassero queste aliquote.
Ma, come già accennato, il tutto è ancor meno che una bozza. Stando a quanto scritto dal senatore indipendente del gruppo PD Carlo Cottarelli su Repubblica di stamattina, il governo avrebbe fatto circolare delle proposte per questa riforma illustrate in una presentazione powerpoint.
Letteralmente Giancarlo Giorgetti con il suddetto powerpoint in conferenza stampa.
Sì, lo sappiamo che la riforma del fisco non è il modo più divertente di aprire una newsletter. Quindi, se cercavate il sangue, avete fatto bene a resistere fino ad ora: in questa settimana c’è stato anche il primo confronto diretto in Parlamento tra Giorgia Meloni e la nuova segretaria del PD Elly Schlein.

Indovinate secondo lui chi ha “vinto”?
Schlein ha interrogato la premier sul tema del lavoro, e in particolare ha sollecitato il governo ad intraprendere la strada del salario minimo. Nella sua risposta, Meloni ha spiegato: «In un contesto come quello italiano, caratterizzato da un’elevata copertura della contrattazione collettiva e da un elevato tasso di lavoro irregolare, il governo non è convinto che la soluzione sia la fissazione di un salario minimo legale».
Post muto.
Schlein ha ribattuto parlando di un governo “ossessionato dall’immigrazione”, che non vede “l’emigrazione di tanti giovani che i salari bassi e la precarietà costringono a costruirsi un futuro altrove”. Prime scaramucce, conclusesi tra l’altro con una stretta di mano, di un duello che sembra destinato a segnare una buona parte della fase politica in arrivo.
Ah, e visto che ci siamo: durante lo stesso question time, a domanda del deputato di Italia Viva Luigi Marattin, la premier ha ribadito che finché ci sarà lei al governo l’Italia non accederà al MES, il Meccanismo Europeo di Stabilità. Se durante la pandemia avete aperto un solo telegiornale - vista la noia generalizzata, deve esservi successo - forse ricorderete questo strumento che in quei giorni sembrava indispensabile e che poi è lentamente finito nel dimenticatoio, oscurato dal Recovery Fund. In ogni caso, questa dichiarazione rappresenta l’ennesima giravolta sul tema, dopo che di recente Meloni aveva aperto alla possibilità di ratificarlo se l’Italia fosse rimasta l’unico paese a non farlo.
Se dovessimo rinfacciare tutte le giravolte dei protagonisti della politica italiana ci resterebbero troppe poche speranze per scrivere una newsletter. Eppure ogni tanto qualcuno deve pur farlo.
Il titolo - che peraltro ammettiamo di aver preso in prestito - era troppo ghiotto per non indirizzare la nostra agenda. Ma nell’ultima settimana c’è stato un altro caso degno di nota.
Tenere insieme l’accoglienza dei migranti dall’Africa e la guerra in Ucraina sembrava un’impresa impossibile per chiunque. Ma per un uomo che ha le spalle così larghe da reggere conflitti d’interesse che valgono migliaia di euro, nulla è precluso.
Lunedì il ministro della Difesa Guido Crosetto ha fornito una sua spiegazione riguardo all’aumento dei flussi migratori nelle ultime settimane, ed è una spiegazione piuttosto fantasiosa: le partenze sarebbero incentivate dai mercenari russi della brigata Wagner militanti in Africa, per destabilizzare l’Italia nell’ottica di una strategia di “guerra ibrida”.


Una tesi che ha generato un divertentissimo cortocircuito.
Ma oltre a certificare la nuova strategia del governo sull’immigrazione, questa dichiarazione ha causato anche un leggero risentimento da parte dei russi. Prima è stato il capo del gruppo Wagner, Evgenij Prigozhin, a definire Crosetto con aggettivi che linkiamo senza riportare perché ci vantiamo di far ridere in maniera sana e pulita.
Dopodiché, si è passati al sodo: a quanto pare, già dieci giorni prima delle dichiarazioni del ministro - nonostante le smentite da parte dello stesso - i miliziani della Wagner avrebbero posto sulla testa di Crosetto una taglia di 15 milioni di dollari.
Un’informazione che noi non rivendichiamo assolutamente di avervi fornito.
«Guerre puniche a parte, mi hanno accusato di tutto quello che è successo in Italia».
Chiudiamo con una breve chicca.
Nel Consiglio dei Ministri di ieri è stato approvato un decreto-legge che riprende, per l’ennesima volta, il progetto per la costruzione di un ponte sullo stretto di Messina.
Un piano che prevede tempi pachidermici, un rischio sismico da non sottovalutare e i cui rientri economici restano tuttora incerti. Il capolavoro di questo esecutivo.
Questo ma non avevamo voglia di fare il meme.
Noi ci sentiamo venerdì prossimo, nella speranza di recuperare la voglia di memare in autonomia.
Le idee ci sarebbero pure, ma se tutti i nostri lettori fossero di Roma sarebbe tutto molto più semplice.
Ciao!
Grazie per il bel lavoro 😘