Dalle Alpi alle Piramidi
Il decreto lavoro, soliti attriti con l'Europa e Macron che vuole litigare con qualcuno.
Ciao!
Siamo Pietro e Simone,
e se c’è una sola cosa che ci manca di essere una newsletter quotidiana è che ci perdiamo una settimana di meme su argomenti che si prestano particolarmente. Tipo questo video.
Ma io lavoro
Per non stare con te
La settimana che si è aperta con la festa dei lavoratori e che si è chiusa con lo scudetto del Napoli è stata piena zeppa di polemiche al decreto a cui, simbolicamente, il governo Meloni ha voluto lavorare in un consiglio dei Ministri proprio il primo maggio. Ma si sta chiudendo con una polemica strumentale e nata completamente a caso. Per una volta, non l’ha aperta il nostro esecutivo.
Nel mezzo c’è una questione irrisolta, come ogni volta che si parla del rapporto di Giorgia Meloni con l’Europa.
Iniziamo.
Il decreto Lavoro è una misura che contiene già molto di due elementi che il governo ha annunciato in pompa magna negli ultimi mesi: il taglio del cuneo fiscale e la riforma del reddito di cittadinanza.
Il primo è la misura più recente. Il governo aveva messo mano alle tasse sul lavoro già a fine 2022, quando si era trattato di mettere mano al caro-vita esploso con l’aumento dei prezzi dell’energia e Meloni l’aveva definita la “misura più costosa” (laddove ovviamente la maggior parte dei soldi erano dedicati al caro-bollette) di una manovra “coraggiosa”.
In effetti ci voleva del coraggio a calibrare l’aumento in busta paga in modo che i più poveri avessero i minori benefici. (tabella di Open)
Meloni, all’epoca della manovra, aveva promesso di metterci mano in futuro, in condizioni più favorevoli per le casse dello Stato. Dopodiché, il destino è infame e le bollette sono tornate a salire proprio quando il governo aveva intenzione di spendere le proprie risorse sul cuneo fiscale.
Ma “le proprie risorse”, d’altronde, per stessa ammissione di Meloni non sono infinite. Si tratta di un “tesoretto di 4 miliardi”, ovvero ciò che il governo guidato da Mario Draghi aveva speso per tagliare due punti di cuneo fiscale. Non si sa con quale criterio, ora, il governo sostiene di poterne tagliare 4 con la stessa somma. Peraltro, il taglio contenuto nella legge di bilancio godeva di uno stanziamento di 5 miliardi. Come si è visto, è bastato per aumentare il salario netto fino a 41 euro. Meloni, comunque, ha detto che il nuovo decreto arriverà a garantire un «aumento dei salari fino a 100 euro». Al momento, tutto ciò che si sa è che nella bozza di decreto si parla di «esonero parziale dei contributi previdenziali [...] fino a 7 punti percentuali per i redditi fino a 25mila euro, a 6 punti per chi arriva a 35mila euro». Per orientarsi, basti sapere che per questi ultimi l’aumento medio, allo stato attuale delle cose, sarebbe da 50 euro.
Vibes.
Il governo, insomma, bluffa sia sul valore del taglio che propone che sul prezzo di questa manovra. Ma non è la sparata più grossa di Meloni è stata senz’altro sostenere che questo sia «il più importante taglio delle tasse sul lavoro degli ultimi decenni». Cosa semplicemente non vera, dal momento che sia il governo Draghi che il governo Renzi (entrambi in questo decennio) avevano apportato dei tagli maggiori al cuneo e a imposte specifiche che ricadevano negativamente sulla busta paga.
Non c’è bisogno di elaborare oltre, no?
Tutto questo si unisce al fatto che il taglio del cuneo proposto da Meloni è temporaneo e che, al momento, non si ha bene idea di come coprire l’ultimo dei sei mesi della proposta. Un taglio strutturale, come spiega Valentina Conte su Repubblica, costerebbe almeno il doppio.
La riforma (tradotto: taglio) del reddito di cittadinanza è l’aspetto del decreto Lavoro di cui si sa di più, anche perché ampiamente anticipato (momento autoreferenziale) sia in campagna elettorale che nei mesi che hanno portato alla manovra. Dal primo gennaio del 2024 sarà istituito il cosiddetto “Assegno di inclusione”: il massimale scenderà a 480 euro (630 per nuclei composti solo da over 67 o nei quali ci sia un disabile “grave”, a cui aggiungere 280 euro se ci si trova in affitto). Dura 18 mesi e potrà essere rinnovato, dopo lo stop di un mese, per altri dodici mesi. Questo vale, però, solo per i “non occupabili”.
La platea degli “occupabili”, ovvero gente che tendenzialmente non se la passa benissimo, potrà contare sullo “Strumento di attivazione al lavoro”: 350 euro al massimo per dodici mesi, vincolati alla partecipazione di corsi di formazione e qualificazione professionale. Il che vuol dire che per tutti i 660.000 “occupabili” il governo ha ben chiaro dove andranno a seguire i suddetti corsi.
Vero?
Per Giorgia Meloni, però, i problemi non vengono solo dal fronte interno, ma anche dall’Europa.
La scorsa settimana la commissione UE ha presentato la nuova proposta di riforma del Patto di stabilità, l’accordo che regola le politiche di bilancio dei paesi europei. La principale novità è che non ci sono più parametri univoci per tutti i paesi: spariscono il tetto del 3% per il deficit e del 60% per il debito pubblico (anche di fronte al fatto che 14 paesi su 27 sono attualmente sopra questo dato) e vengono introdotti i cosiddetti “Piani nazionali strutturali di bilancio”: in sostanza, dei percorsi “personalizzati” negoziati tra la Commissione e i singoli Paesi. Che detta così sembra l’inizio di una dieta.
In apparenza, potrebbe sembrare una parziale concessione alle richieste italiane (e mediterranee, in generale) di una maggiore flessibilità. Ma in realtà le insidie sono dietro l’angolo: le nuove regole prevederebbero comunque un aggiustamento di bilancio minimo dal deficit eccessivo pari allo 0,5% del PIL; e per l’Italia, uno dei paesi più indebitati dell’Unione, i primi calcoli della Commissione europea stimano un percorso di rientro dello 0,85% annuo per quattro anni.
Il che equivarrebbe ad una manovra correttiva da 14-15 miliardi ogni anno. Un limite non indifferente allo spazio di manovra del governo Meloni.
A complicare i rapporti con la Commissione Ue, poi, c’è anche la solita questione del Mes.
Battute che avrebbero fatto molto più ridere durante la commissione Juncker:
La presidente della Bce Christine Lagarde è tornata a sollecitare l’Italia affinché dia il suo sì definitivo alla ratifica della riforma del Mes. La questione va avanti ormai da mesi: a dicembre la Corte costituzionale tedesca aveva dato il via libera al nuovo Meccanismo europeo di stabilità, che fornisce liquidità ai paesi membri in difficoltà in cambio di una serie di condizionalità piuttosto dure in termini di riforme e aggiustamenti macroeconomici (in parte alleggeriti dalla riforma).
Con la sentenza della corte di Karlsruhe l’Italia è rimasta l’unico Paese membro a impedire la ratifica definitiva delle modifiche: ma se l’Ue spinge affinché l’Italia dia il suo beneplacito, il governo italiano continua a chiedere che il Mes sia totalmente rivisto affinché diventi un “veicolo di crescita”.
Un obiettivo lodevole, se non fosse che lo strumento predisposto a quest’intento esiste già ed è il PNRR, su cui l’esecutivo guidato da Giorgia Meloni continua ad avere enormi problemi di messa a terra. Una grande confusione sia ideologica che pratica, insomma, che rischia solo di isolare l’Italia in Europa.
E a proposito di isolamento, ieri è scoppiato l’ennesimo caso diplomatico tra Francia e Italia.
Some crisi diplomatiche were better than others.
Per la verità, ci sentiamo di discolpare in parte il governo italiano rispetto a questa vicenda: il caso nasce dalle dichiarazioni - un po’ a caso in pieno stile Persone Furiose - del ministro degli Interni francese Gérard Darmanin, secondo cui Meloni, leader di un “governo di estrema destra scelto dagli amici di Marine Le Pen”, sarebbe “incapace di gestire i problemi migratori per i quali è stata eletta”.
Evidentemente ancora suggestionato dall’ultimo film di Nanni Moretti.
Nulla di falso, ovviamente, ma rimane un intervento quanto meno scomposto. Tanto da spingere il ministro degli Esteri Tajani ad annullare il bilaterale, previsto nella serata di ieri, con l’omologa francese Catherine Colonna.
Ovviamente, però, queste dichiarazioni non sono frutto di un brutto risveglio dalla parte sbagliata del letto per Darmanin. Ma hanno almeno due spiegazioni alla base.
La prima, che ci interessa forse di meno, è più inerente alla situazione interna in Francia. L’approvazione della riforma delle pensioni ha esposto Macron a notevoli critiche soprattutto a sinistra, dato che lo scoglio della mozione di censura è stato aggirato solo grazie al soccorso della destra moderata dei Républicains. E quale modo migliore per provare a recuperare la credibilità perduta a sinistra se non attaccando a gamba tesa il governo più indifendibile d’Europa?
Poi insomma, prima della credibilità Macron avrebbe bisogno di recuperare almeno la possibilità di tornare a casa tutto intero.
La seconda, invece, ci riguarda più da vicino. Ieri la premier Meloni ha incontrato a Roma il generale libico Khalifa Haftar, uomo forte della Cirenaica, la parte orientale del Paese. Un incontro che ha visto evidentemente al centro il tema dell’immigrazione, con l’esecutivo italiano disperatamente alla ricerca di interlocutori in nord Africa per limitare le partenze.
Ma il bilaterale ha avuto anche l’effetto di innervosire la Francia: perché si guarda con sospetto ai piani energetici di Meloni nel nord Africa e ad un possibile aumento dell’influenza italiana nell’area, ma anche perché Haftar viene ritenuto, per la sua vicinanza a Putin, un interlocutore ormai poco affidabile riguardo alla situazione libica. Uno sfogo insomma, quello di Darmanin, che ha davvero poco a che fare con il post-fascismo di Meloni.
PS: come giustifichiamo il titolo? Da ottimi paraculi, abbiamo scoperto che ci sono piramidi anche in Libia. Scacco matto, lettori.
Per oggi è tutto. Sappiamo che queste infornate esclusivamente sul governo vi fanno rimpiangere i bei tempi della campagna elettorale in cui persino Letta sembrava un organismo vitale. Ma è una delle cifre di questa legislatura: si è aperta con una campagna elettorale in cui il baccano veniva da chi sapeva che avrebbe perso, mentre chi sapeva di vincere cercava di stare zitto.
Ciò non toglie che speravamo che queste opposizioni divise ci dessero qualche soddisfazione in più. Certo, poi c’è chi non smette mai di divertire anche quando rimarca l’ovvio.
Unico commento possibile.
A essere sinceri, qualcosina a sinistra di Azione e Italia Viva si sta muovendo. Non è detto che non sia l’argomento della prossima settimana.
Noi, come sempre, ci sentiamo venerdì.
Ciao!
Buon lavoro 😘