Ciao!
Siamo Pietro e Simone,
e come ogni governo italiano di estrema destra che si rispetti, prima o poi arriva il momento di parlare del rapporto con l’altra sponda del Mediterraneo.
Avete ragione, non vale solo per l’estrema destra, ma insomma ci siamo capiti.
È stata una settimana segnata dalla prima, prevedibile crisi tra il nuovo esecutivo e le ONG. Ma anche dall’incontro della premier Meloni con il presidente egiziano al-Sisi: la prima visita in Egitto di un capo di Stato italiano dall’omicidio di Giulio Regeni. E forse sarà solo la nostra volontà di condensare tutto in una newsletter, ma le due cose ci sembrano più collegate di quanto non sembri.
Prima di avventurarci, vi ricordiamo come sempre che potete scriverci per qualsiasi motivo a buoneintenzioninewsletter@gmail.com o ai nostri profili instagram, @pietroforti.docx e @simonemartuscelli. Se volete, inoltre, potete inviare questa mail a chi preferite tramite il pulsante qui in basso.
Iniziamo.
“La mia speranza è che ci sia stata la richiesta da parte del governo italiano di porre fine al mio 'travel ban'". A parlare dell’incontro tra Giorgia Meloni e Abdel Fattah al-Sisi è Patrick Zaki, rilasciato dalle carceri egiziane quasi un anno fa ma ancora sotto processo e impossibilitato a lasciare il paese nordafricano.
L’impressione, però, è che, benché la stessa Meloni abbia parlato di "Forte attenzione dell'Italia ai casi Regeni e Zaki", lo spazio per i diritti umani nel colloquio tra i due non dev’essere stato molto.
Anche perché insomma, al-Sisi sembra continuare a non avere particolarmente a cuore la questione.
I veri temi al centro delle relazioni tra Italia ed Egitto possono essere collocati in due filoni ufficiali, più uno ‘silente’: l’immigrazione e l’energia, oltre alle armi.
Per quanto riguarda i migranti, ad essere discusso è il futuro assetto della Libia e quindi la presenza o meno di un governo stabile in grado di limitare le partenze. Nel caos libico, l’Egitto è apertamente schierato con il governo di Tobruk, attualmente guidato da Fathy Bashagha, in opposizione a quello di Tripoli, il cui leader Abdul Hamid Dbeibeh è attualmente riconosciuto come capo dello Stato dalla comunità internazionale.
Secondo il portavoce della presidenza egiziana Bassam Radi, “entrambe le parti hanno convenuto sulla necessità di lavorare per preservare l’unità e la sovranità della Libia” e “di spingere per lo svolgimento di elezioni presidenziali e parlamentari”: elezioni che però vengono rimandate da anni.
Sul filone dell’energia, invece, si potrebbe scrivere una newsletter giornaliera a parte.
E non è detto che Pietro non possa farlo in futuro.
Un buon riassunto lo fa, sulle pagine del Manifesto, Luca Manes dell’associazione Re:Common, che di recente ha dedicato un rapporto proprio agli affari delle grandi aziende italiane con l’Egitto.
ENI, per fare un nome assolutamente casuale, intrattiene ottimi rapporti commerciali con l’Egitto fin dai tempi dell’amicizia tra Enrico Mattei e Gamal Nasser. Rapporti migliorati ulteriormente nel 2015 con la scoperta da parte della stessa ENI del giacimento di Zohr, il più grande del Mediterraneo. E proprio dalle riserve di quell’area arriveranno in Italia, dopo un biltz egiziano dell’ad di ENI Descalzi in agosto, circa tre miliardi di metri cubi di gas liquefatto entro la fine del 2022, per sopperire alle carenze sul versante russo.
Infine, il capitolo armi. Fino al 2020 l’Egitto era il principale paese destinatario di armi dall’Italia, sceso poi al 18° posto nel rapporto sull’export del 2021. Ma secondo Repubblica, ci sarebbero diverse trattative in ballo tra il Cairo e Leonardo, l’azienda italiana che opera nel settore dell’aerospazio: tra queste, 24 jet da addestramento e una flotta di Eurofighter che, da sola, varrebbe tre miliardi di euro di commessa.
Tanti auguri.
Ci sono, grosso modo, due modi di leggere quello che è successo e sta succedendo alle politiche migratorie italiane.
No, non questa.
La prima: concentrarsi sull’assurdità delle scene viste nelle acque italiane e nel porto di Catania. L’attacco frontale non era rivolto all’immigrazione clandestina, al traffico di esseri umani o alla “furia immigrazionista” della sinistra. Era rivolto alle persone che erano a bordo di quelle navi.
Si sapeva già da una settimana (e d’altronde ne avevamo parlato già due settimane fa) che il governo di Giorgia Meloni non aveva alcuna intenzione di accogliere quelle persone, di farle scendere dal ponte di Humanity 1, Ocean Viking e Geo Barents.
Sembra una vita fa, ma due anni fa Giorgia Meloni condivideva meme trovati in rete basati su un suo intervento particolarmente aggressivo alla Camera. Di che si parlava? Immigrazione, a quanto pare sempre buona per i meme.
Perché e come si sia arrivati, poi, a “cedere” passo dopo passo sulla scelta di lasciare scendere le suddette persone in base a scaglioni di fragilità non è un mistero: si sono rispettate le leggi internazionali del mare e i trattati che passati governi di destra hanno firmato convintamente.
L’Italia, quindi, ha coscientemente preso una posizione critica nei confronti di tutto quello che ha contributo a costruire. E che, in una semplice e pratica locuzione, si chiama “politica migratoria”.
E la politica migratoria italiana attuale, quando si guarda al Mediterraneo, si basa su tre semplici pilastri:
1) provo a far partire meno gente possibile da, costi quel che costi in termini di vite umane, violazioni dei più basilari diritti della persona e, infine, soldi che vanno a finire nelle tasche di chi queste violazioni le compie;
2) se non è lo Stato italiano a salvare vite in mare perché costretto a farlo, cercare di rendere impossibile la vita a chi cerca di salvarne altre;
3) banalmente rendere la vita impossibile a chi si cerca di rimpatriare.
E la responsabilità qui, per questo governo, sono ancora minime. È un’eredità, se non politica, amministrativa brutale che arriva dai governi precedenti.
Cose invecchiate male. O bene. Boh.
Qui c’è poco da aggiungere rispetto alle parole di Nello Scavo su Avvenire qualche giorno fa.
Nessuna parola, ancora una volta, viene spesa contro i crimini commessi in Libia dalle autorità del Paese e denunciati (se non bastassero anni di inchieste giornalistiche) da una ventina di rapporti firmati dal segretario generale dell’Onu Antonio Guterres e da 23 dossier della Procura internazionale dell’Aja. Ma del resto, se si tratta di «carico residuale», che senso ha sprecare anche una sola parola per loro?
E poi c’è Calenda, che giustamente rivendica le politiche migratorie francesi e spagnole. Con i primi che per perseguire i migranti in Italia oltrepassano illegalmente confini e i secondi che hanno un pezzo di Marocco dedicato esclusivamente a fermare o uccidere chi tenta di arrivare in Spagna. Top.
La seconda chiave di lettura riguarda gli aspetti inediti dell’azione del neonato governo Meloni.
Intanto, si conferma la grande passione del ministero dell’Interno per lo strumento del decreto, che ha dimostrato di saper utilizzare a meraviglia.
Nella nuova puntata di “norme scritte durante una partita a Scarabeo”.
Ma soprattutto, e ne leggeremo e sentiremo parlare ovunque per giorni, la novità vera si sta materializzando nei rapporti che si stanno deteriorando tra Italia e Francia.
L’obiettivo del governo italiano era quello di spingere altri paesi europei a rivedere la “distribuzione” di migranti provenienti soprattutto dalla rotta del Mediterraneo centrale. Quando dopo giorni di condanne unanimi in tutta l’UE la Francia ha deciso di aprire un proprio porto all’arrivo della nave Ocean Viking, Matteo Salvini ha esultato. Pensando che fosse una vittoria di una certa portata, ha dichiarato in pompa magna «Bene così! L’aria è cambiata».
Ecco, poi è arrivata la “notizia” che la Francia ha persino meno amore di noi per chi arriva da fuori i propri confini.
«Questi meccanismi di ricollocamento sono in pieno funzionamento già da settimane, l'Italia d'altronde ne è fra i primi beneficiari. 3.500 ricollocamenti di rifugiati erano previste già da qui all'estate 2023. È evidente che a effetto immediato, la Francia sospende l'insieme dei ricollocamenti dei 3500 rifugiati attualmente in Italia e chiede a tutti i partecipanti a questo meccanismo, soprattutto la Germania, di fare lo stesso».
Era difficile essere più chiari di così. Una crisi del genere nelle relazioni tra i due Stati non si vedeva da anni. E per un governo così bisognoso di dimostrarsi al contempo affidabile e duro in Europa trovarsi contro un governo platealmente più affidabile e duro non è una posizione invidiabile.
Oggi ci siamo andati giù duri, ma forse è perché abbiamo parlato soprattutto di rapporti con l’estero. Noi italiani sappiamo ridere soltanto di noi stessi.
Non ci vuole molto, in fondo.
Noi ci sentiamo venerdì prossimo, ciao!