Ciao,
siamo Simone e Pietro,
oggi non è venerdì, ma insomma, non serve aggiungere granché. Se ci conoscete un minimo saprete che questo numero speciale era inevitabile.
Iniziamo.
Scrivere del personaggio di Silvio Berlusconi è un’impresa ardua almeno per due ordini di motivi.
Il primo, più banale, è che ne hanno scritto tutti. La realtà, assediata dal proliferare di opinioni, punti di vista, riflessioni e così via, chiude qualsiasi porta alla possibilità della letteratura; e l’unica via di fuga resta l’autofiction, il racconto che si fa forza dell’autoconsapevolezza delle coordinate da cui proviene.
Siamo due giornalisti di 25 anni che seguono in maniera quasi morbosa la politica, italiana e non; e per noi, come per la stragrande maggioranza di chi ha la nostra età e la nostra passione, l’avvicinamento alla politica è coinciso in sostanza con una scelta di campo in cui Silvio Berlusconi faceva da spartiacque.
A proposito, miglior meme del giorno.
Ma il berlusconismo è stato un fenomeno dagli effetti anche squisitamente privati. Le coppie che in quei decenni sono sopravvissute nonostante un’opinione discordante su Berlusconi potrebbero essere contate sulle dita di una mano; per tanti figli, all’incirca della nostra età, la scelta tra aderire o meno ai codici familiari è passata anche dall’accettazione o meno della linea da tenere sul Cavaliere: essere antiberlusconiani in una famiglia berlusconiana, o viceversa, come supremo atto di ribellione adolescenziale. Per non parlare delle miriadi di rapporti di amicizia che non hanno resistito alle divergenze su questo tema.
L’ennesima citazione di Boris.
Il secondo motivo che rende difficile il racconto, invece, è più prettamente politico. Ma è anche la ragione narrativa per cui nemmeno Sorrentino, con Loro, è riuscito nell’operazione che invece aveva partorito quel capolavoro che è Il divo.
Se la letteratura si nutre dello spazio del non detto e del mistero, Andreotti e Berlusconi, pur essendo due tra i più noti personaggi politici del dopoguerra, sono diametralmente opposti. E se Andreotti ha costruito la sua fortuna su un silenzio che non lasciava trasparire nulla, Berlusconi è stato inattaccabile per quasi vent’anni perché di lui sapevamo tutto, perfino troppo.
Silvio Berlusconi è stato colui che più di tutti negli ultimi trent’anni ha contribuito a diffondere su larga scala discorsi sessisti, razzisti, omofobi e xenofobi, nascosti sotto il tappeto della goliardia e della comicità “all’italiana”. Ma è proprio su questa trasparenza “innocua” che ha costruito il suo successo politico.
Di Berlusconi si dice spesso che ha capito e rappresentato gli italiani come nessuno. Ma la vera chiave di volta sta nel fatto di non aver mai chiesto agli stessi italiani di migliorarsi, abdicando totalmente alla funzione pedagogica della politica. Berlusconi stava lì, messo a nudo - a volte letteralmente - per dire agli italiani che sulle proprie pulsioni più profonde non bisognava lavorare, che non c’era nulla di cui vergognarsi. E che chi diceva il contrario voleva il male del Paese.
«Non resta che il ricovero».
Poi, certo, di Berlusconi non sappiamo proprio tutto.
È curioso come nell’epopea del più famoso “self made man” all’italiana una coltre di nebbia ricopra proprio i primi anni, quelli del salto verso l’imprenditoria e l’edilizia, e in particolare le condizioni che l’hanno permesso. Nella migliore delle ipotesi, le risposte farebbero crollare la narrazione dell’uomo partito da zero e arrivato alle stelle, dimostrando che nemmeno Berlusconi avrebbe potuto farcela senza gli agganci giusti. Forse però l’ipotesi peggiore, quella secondo cui - per citare Raymond Chandler - “non c’è un modo pulito per fare cento milioni di dollari”, è anche quella più vicina alla realtà.
Chi vuole raccontare un Berlusconi inedito può provare a ripartire da queste zone d’ombra. Un lavoro, però, sicuramente meno comodo della consolante storia del gentleman “un po’ stagionato, ma dal cuore sempre giovane”.
Per descrivere le dimensioni politiche di Berlusconi non serve guardare per forza al remoto passato. Anche se alle volte è inevitabile, quando si tratta delle gesta del protagonista indiscusso del periodo di più profonda evoluzione della democrazia italiana.
Sul significato del termine “evoluzione” in questo caso si apre una voragine, più che uno spazio di riflessione.
Il leader di Forza Italia ha fatto delle sue ultime gesta politiche un testamento. Un mese fa dal ricovero del San Raffaele si era preso la briga di scrivere e registrare un discorso di 21 minuti senza pause da trasmettere alla convention di Forza Italia. Un discorso in cui ripeteva ciò che ha detto per tutta la sua vita politica, senza mai un ripensamento o un’ammissione di colpa. In cui, in ultima analisi, si rifiutava di passare il testimone per la guida del partito. Ormai era evidente anche al più ingenuo degli iscritti che non solo non era in grado, ma probabilmente già da tempo non si occupava più in prima persona della linea politica di Forza Italia.
Nonostante tutto, però, Berlusconi è rimasto l’unico vero leader, l’unica figura in grado di tenere le redini senza che il soggetto politico fondato trent’anni prima si sfasciasse.
Forza Italia ha rappresentato talmente tante persone di estrazione sociale diversa e provenienti da così tante culture politiche differenti che qualsiasi speranza di trovargli un senso al di là di Berlusconi era ed è ancora inutile. Questo vale per il partito fondato con Marcello Dell’Utri ieri e vale per il partito diviso tra Antonio Tajani, Marta Fascina, Licia Ronzulli e chissà tra quanti altri oggi.
Vale la pena di ricordare di quando il Popolo della Libertà tentò di imbastire delle primarie in vista delle elezioni del 2013, dal momento che Berlusconi aveva dichiarato di non volersi ricandidare. Primo e ultimo caso in cui il centrodestra cercò di scimmiottare il centrosinistra. Si candidarono Angelino Alfano, Guido Crosetto, Giancarlo Galan, Gianpiero Samorì, Vittorio Sgarbi, Alessandra Mussolini, Alessandro Proto, Alfonso Luigi Marra, Daniela Santanché, Michaela Biancofiore, Alessandro Cattaneo e, dulcis in fundo, Giorgia Meloni. Poi Berlusconi ritornò “con disperazione” e tutto tornò nella norma, il volto della coalizione sarebbe stato lui. Una ventina di giorni dopo successe questa cosa qui sopra.
Berlusconi ha dettato le regole del gioco non solo di Forza Italia, ma della politica italiana degli ultimi trent’anni. Oggi sembra scontato dirlo, ma che i media fossero inondati esclusivamente per 24 ore al giorno da immagini e dichiarazioni dei leader di partito non era la norma. L’alternanza al governo di soggetti politici diversi era assolutamente inedita. Soprattutto, un partito il cui zoccolo duro di voti potesse variare dal giorno alla notte era l’eccezione. Le flessioni o i rialzi in termini percentuali per uno stesso soggetto politico si misuravano nell’arco di decenni e non in pochi mesi. Questo non perché una dissonanza tra dichiarazioni e fatti non si fosse mai registrata prima dei quattro governi che il Cavaliere ha guidato (oltre ai tre di cui Forza Italia ha fatto parte). Ma perché, tolta dal campo l’ideologia, non è restato altro che il leader e la sua caratteristica principale a determinare le logiche di partito e le dinamiche del consenso.
Per Giorgia Meloni la coerenza, per Matteo Salvini la popolarità, per Matteo Salvini e Giuseppe Conte la popolarità, per Elly Schlein evidentemente il silenzio. Persino Carlo Calenda, a cui qualunque stratega politico sano di mente nel 1994 avrebbe riso in faccia, ha dovuto puntare sulla “competenza” per potersi dire un leader.
Per Berlusconi c’era il successo personale a parlare e tanto gli è bastato. E, in ultima analisi, è grazie al suo successo personale se, a trent’anni dalla famosa videocassetta, esiste ancora un’alleanza di governo di destra capace di determinare sorti e disastri d’Italia.
Certo, poi c’è sempre bisogno di qualcuno che ci si metta d’impegno.
La morte del leader di Forza Italia ovviamente lascia irrisolte delle domande, oltre che sul senso della vita, anche sulla possibilità di riprodurre un’esperienza politica del genere.
È ancora troppo presto per valutare se la tenuta del governo è a rischio o meno. Certo, potrebbe subire pesanti perdite se una parte dei parlamentari dovesse decidere di staccarsi come lo stesso Berlusconi minacciava a ottobre. Già sembra una vita fa.
Ma è anche troppo presto per giudicare se Fratelli d’Italia saprà reggere la pressione di dover seguire le orme di Silvio Berlusconi. Per ora è stabilmente il primo partito nel Paese non certo grazie alla fiamma tricolore nel simbolo ma grazie a Giorgia Meloni. Esattamente come Forza Italia non vinse elezioni grazie alla “rivoluzione liberale”, ma grazie alla loro fuga a Silvio Berlusconi.
La storia, almeno stavolta, è già andata in scena come farsa mentre ancora andava scritta la trama della tragedia.
Noi ci sentiamo venerdì. Certo, sarà strano aver parlato già della storia della settimana.
Ciao!
Titolo da Oscar. Per vari motivi.
Concordo .. grandissimi. :*
Grandissimi , grazie 🥰