9 agosto - Calma piatta
Ciao!
Siamo Simone e Pietro,
e oggi è il primo giorno in cui Carlo Calenda non ha provato ad autodistruggersi.
Questa apparente tranquillità, in attesa che decida di voler seguire le orme di Mishima ed effettuare il seppuku in diretta tv, ci permette di occuparci un po’ anche di ciò che accade fuori dalla sede di Azione e, in generale, fuori dalla sua testa.
Non fatichiamo ad immaginare una commemorazione del genere da parte di Fratelli d’Italia.
Per esempio, ci permette di discutere delle disastrose proposte economiche della coalizione che si avvia a vincere e a governare agevolmente.
Prima di cominciare, qualche reminder.
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Adesso, iniziamo davvero.
Qualche giorno fa un’immagine sui social provava a spiegare che la Flat tax è come “una cena in cui c’è chi mangia ostriche e champagne a volontà e chi prende solo una pizza”, e alla fine, si paga “alla romana”.
Non abbiamo una grande opinione di chi prova a raccontare certe dinamiche in maniera così semplicistica: chi ha provato a spiegare l’economia in 15 secondi non ha fatto una grande fine. Ma l’idea di ingiustizia che sta alla base di questo ragionamento, in fondo, non è per nulla sbagliata.
Ieri, intervistato da Radio Montecarlo, Matteo Salvini ha rilanciato proprio l’idea della Flat tax, uno dei suoi cavalli di battaglia. Alzando addirittura il tiro.
L’idea del leader della Lega sarebbe di estendere anche ai lavoratori dipendenti l’aliquota fissa al 15%, attualmente in vigore per le partite Iva fino a 65mila euro. “Nell’arco di cinque anni si può fare”, sostiene Salvini. In sostanza, la sua proposta sarebbe quella di allargare la platea interessata dalla tassa piatta introdotta dal governo gialloverde nel 2019, raggiungendo anche le partite Iva fino ai 100mila euro.
Gli alleati di coalizione sono più cauti.
Meloni propone una Flat tax solo sull’aumento dei redditi dichiarati da un anno all’altro. Da Forza Italia invece, più sensibile al tema tasse, Berlusconi accusa Letta e il PD di voler imporre tasse “patrimoniali, sulle donazioni e sulle successioni”, mentre Tajani rilancia alla proposta di Salvini sostenendo che un’aliquota unica al 23% sarebbe “molto più realistica”.
Il premio di miglior titolo del giorno va ad Avvenire.
Com’è ovvio che sia, proposte del genere suscitano una notevole dose di polemiche.
La prima è quella sulla costituzionalità. L’articolo 53 della Costituzione afferma che “il sistema tributario è informato a criteri di progressività”: chi ha di più, paghi di più. L’attuale sistema di tassazione sui redditi delle persone fisiche (IRPEF) si compone infatti di quattro scaglioni. Si va da un’aliquota al 23% per i redditi fino a 15mila euro al 43% per i redditi sopra i 50mila.
Su La Stampa, che stamattina dedica un’interessante specchietto alle riflessioni di diversi economisti sul tema della Flat tax, i dubbi sulla costituzionalità sono parzialmente dissipati: «Non ci sarebbero problemi dal punto di vista costituzionale - sostiene Carlo Cottarelli - anche perché sicuramente sarebbe prevista una no-tax area, dato che altrimenti le circa 10 milioni di persone che attualmente non pagano le tasse dovrebbero iniziare a farlo, e per loro sarebbe un aumento gigante di costi». Per Tito Boeri, ex presidente dell’INPS, il problema non sarebbe l’ammissibilità costituzionale, bensì il fatto che «è poco progressiva e senza dubbio premia i redditi più alti».
Resistono, invece, i forti dubbi sui costi di una misura del genere. Sempre secondo Boeri, le vecchie stime sulla proposta di Salvini parlano di un costo di circa 80 miliardi, insostenibile per le casse statali. Giovanni Tria, ex ministro dell’Economia nel Conte I, afferma: «Oggi gran parte degli italiani paga meno del 15% di tasse, cosa significa estendere a tutti la flat tax: si fa pagare di più a chi paga di meno?»
Fare il ministro dell’Economia di un governo con Salvini dovrebbe rientrare tra i lavori usuranti.
Ma il problema vero resta l’idea di società che sottostà alla base di un provvedimento del genere. Secondo l’ufficio studi della Uil, citato da Repubblica, i redditi sotto i 27mila euro pagherebbero di più rispetto al sistema attuale, a causa della sfoltita del sistema di deduzioni e detrazioni.
Un cittadino con reddito lordo da 11mila euro pagherebbe fino al 200% di tasse in più. Mentre, per i redditi sopra i 50mila euro, il taglio delle tasse sarebbe quantificato intorno al 43%. Stavolta, insomma, i ricchi non piangerebbero affatto.
«È opportuno instaurare una “pace fiscale” con i contribuenti per rimuovere lo squilibrio economico delle obbligazioni assunte e favorire l’estinzione del debito mediante un saldo e stralcio dell’importo dovuto»
Sembrerebbe quasi di leggere la dichiarazione di un qualche tecnocrate prestato alla stesura del governo della Lega. E se tra qualche giorno dovesse essere replicato quasi identicamente sul programma di centrodestra non ci si dovrebbe stupire.
Poi vabbè, del programma pronto al 99% esistono almeno tre versioni, una per partito.
Ma la citazione riportata è tratta dal famigerato “Contratto per il governo del cambiamento”, siglato da Lega e 5 Stelle nel 2018. La pace fiscale era un punto cardine del programma della Lega, che dopo aver raccolto il 17% alle politiche aveva deciso di puntare sull’alleanza sui 5 Stelle e sull’attività di governo per accrescere i propri consensi.
Da allora, è successo molto: il testo sulla pace fiscale fu approvato a ottobre dello stesso anno come decreto legge 119/2018, non prima che l’allora vicepremier Di Maio andasse in giro a ventolare ipotesi di complotto su presunte manipolazioni del testo (ve la ricordate la “manina”?).
Gli effetti degli stralci delle cartelle esattoriali al centro di contenziosi sono ancora in corso: nel disegno di legge di riforma della giustizia tributaria, che ha incassato il sì al Senato e che oggi è al vaglio della Camera, è inserita la rottamazione di 23mila cartelle, ovvero quelle dove l’Agenzia delle Entrate ha perso integralmente in due gradi di giudizio (e qui, le liti in cassazione sono risolte col pagamento del 5% per contenziosi fino ai 100mila euro) o quelle dove invece ha perso in parte o solo in un grado di giudizio (risolte col pagamento del 20% per contenziosi fino ai 50mila euro).
Salvini vuole andare molto, molto oltre.
«Un tema su cui la Lega ha già dimostrato che volere è potere sono le cartelle di Equitalia: stanno arrivando milioni di cartelle esattoriali dell'Agenzia delle entrate che gettano nella disperazione milioni di uomini e donne di questo Paese, dopo la pandemia e con la guerra in corso: ebbene.
La Lega fa una scelta precisa: quelle cartelle vanno rottamate in modo che il cittadino torni libero».
Come ci immaginiamo le milioni di cartelle esattoriali che stanno arrivando mentre se ne stralciano 23mila.
La pace fiscale su cui «la Lega ha già dimostrato che volere è potere» è considerato sostanzialmente un flusso di denaro: prendo quel che posso (poco) da chi ha debiti col fisco, e sta bene così. Soldi nelle casse dello Stato e tutti felici.
Ma come fa notare oggi il Foglio riportando i dati forniti dall’Osservatorio di Cottarelli, con sei sanatorie negli ultimi sei anni sono stati raccolti solo 18 miliardi. Dal 2000, poi, grazie a questi condoni sono andati in fumo oltre mille miliardi di crediti non riscossi.
Non esattamente la rivoluzione fiscale che la destra va in giro a raccontare.
In ogni caso, tra tagli e rottamazioni, l’unica cosa che ci ostiniamo a non voler cancellare sono i caratteri di questa newsletter. Per oggi, però, ci fermiamo qui, sempre un po’ tardi.
A domani!