5 agosto - Credibilitywashing
Ciao!
Siamo Simone e Pietro,
scusate il ritardo!
Oggi è venerdì, e vi stupirà questa scoperta, ma anche a destra si litiga. Semplicemente, viene tenuto un po’ tutto sotto il tappeto. Un tappeto che è fatto da sondaggi che danno la coalizione meravigliosamente vicina al 50% e un accordo stretto in fretta e furia sulla divisione dei seggi uninominali.
In genere anche avere visioni del mondo non troppo dissimili aiuta.
Ma andiamo per ordine.
Come vi avevamo accennato, il leader della Lega Matteo Salvini è a Lampedusa. Una trasferta che è un palese tentativo di ricondurre l’attenzione sul tema dell’immigrazione, come dimostra la visita all’hotspot dell’isola.
Una delle difficoltà che hanno comportato il crollo della Lega negli ultimi anni, insieme al far parte di una maggioranza variegata che ha costretto a diversi compromessi, è il venir meno proprio del suo terreno di gioco preferito, un po’ sparito dalle priorità degli italiani negli ultimi anni in seguito alla pandemia e alle conseguenze della guerra in Ucraina.
La proposta, avanzata a tentoni tra conferme e smentite, di riproporre se stesso al Viminale in caso di vittoria del centrodestra, va esattamente in questo senso.
Dal Giornale di oggi. Salvini ha la brutta abitudine di scordarsi che “gli italiani” non votano proprio per tutto tutto, soprattutto per chi deve stare al ministero degli Interni.
Ciò che era meno pronosticabile, invece, è la cautela di Giorgia Meloni.
Da quando il voto settembrino è diventato realtà, la leader di Fratelli d’Italia sembra essere già entrata nei panni della candidata premier più quotata. Ne è la dimostrazione la parziale ritrattazione, nei primissimi giorni di campagna elettorale, dei toni del famoso comizio durante la visita al partito spagnolo Vox. Meloni, insomma, sembra voler evitare qualsiasi incidente che possa metterne in dubbio la credibilità come guida del Paese.
Del resto, la storia del suo partito basta e avanza.
I suoi modi si sono fatti più concilianti, i tempi di “Io sono Giorgia” sembrano lontani secoli, e anche i dati politici vanno di pari passo.
Alla richiesta della Lega di presentare in anticipo una squadra di ministri, Meloni ha preso tempo, rimandando la discussione al post-voto. Negli ambienti del Carroccio, la paura è che, una volta raggiunto palazzo Chigi, l’operazione di ripulitura della reputazione di Meloni passi attraverso la nomina di ministri tecnici (giorni fa si parlava di Descalzi, ad di ENI, agli Esteri) o addirittura provenienti dall’esperienza del governo Draghi: e il nome più gettonato, in questo caso, è quello di Roberto Cingolani, ministro della Transizione ecologica.
Da mesi, Cingolani fa da catalizzatore di tutte le critiche che riguardano l’assoluta incapacità dell’Italia di diversificare le proprie fonti di energia. La testata Politico.eu, ha analizzato piani di transizione dal gas russo di alcuni paesi europei, mettendo in evidenza una dichiarazione di Cingolani, che afferma che non ci saranno misure "draconiane" per contenere la domanda di gas in autunno.
E ha dato un voto.
«Non tutti sono ottimisti come il ministro. Il mese scorso l’ENEA ha sollecitato l'intervento del governo per ridurre la domanda. Con il paese che si avvia alle elezioni di settembre, è probabile che la questione ricada sulla nuova amministrazione». Voto: 3/10. Peggio dell’Italia, nelle votazioni di Politico, va solo la Polonia.
Se il tentativo di credibilitywashing passa anche da Cingolani (quindi di fatto non ricadendo interamente “sulla nuova amministrazione”) il partito di Giorgia Meloni ha chiaramente intenzione di non andarci pesante con la transizione dal gas russo, soprattutto in termini ecologici.
Chi più sembra essere consapevole della situazione delicata è Guido Crosetto, co-fondatore di Fratelli d’Italia. L’ex democristiano e “moderato” dirigente oggi su Repubblica cerca di mettere le toppe a molte passate posizioni del partito, ma soprattutto inizia a mettere le mani avanti sui rapporti europei e internazionali dell’Italia, e sugli effetti che avranno.
“Oh, noi al governo ci andiamo, ma un aiutino non guasterebbe”
Insomma, lo schema di Fratelli d’Italia sembra essere: meno Salvini, più gente che ci tolga un po’ le castagne dal fuoco quando saremo al governo. Come vi dicevamo martedì, al rientro dal tour dell’ex ministro dell’Interno probabilmente ci sarà un vertice tra leader e lì sapremo di più.
In tutto ciò, si è dimesso Nello Musumeci, presidente della regione Sicilia in quota Fratelli d’Italia, e si andrà al voto il 25 settembre. La regione era da tempo al centro di diatribe politiche: il presidente dell’Assemblea regionale, Gianfranco Micciché (storico esponente e capo di Forza Italia in Sicilia), osteggiava fortemente la ricandidatura del presidente dimissionario. Abbiamo già parlato delle regole interne del centrodestra, e la ricandidatura assicurata per amministratori uscenti è una di queste. Silvio Berlusconi, tuttavia, secondo Repubblica avrebbe chiesto all’ex ministra Stefania Prestigiacomo di candidarsi al posto di Musumeci. Prestigiacomo avrebbe accettato, ma la ricandidatura del presidente uscente non è affatto esclusa. Al momento, quindi, l’unità della destra alle elezioni regionali di settembre è tutto meno che scontata.
Ma non dimentichiamoci mai chi è che litiga sul serio, qui.
Il Partito Democratico esiste dal 2007 esclusivamente per porre fine a litigi ed evitare scissioni. Dal 2007 brillantemente fallisce.
A un certo punto questa newsletter riuscirà anche a parlare in lungo e in largo di programmi. Forse.
A domani!