15 settembre - I russi, i russi, gli americani
I problemi della destra con l’Europa Orientale. E l’ingresso di Mattarella.
Ciao!
Siamo Pietro e Simone,
e mancano 10 giorni al voto.
Noi stiamo iniziando a pensare a come festeggiare.
Ma siccome prima del piacere viene il dovere, ci tocca seguire anche gli ultimi spiragli di questa fantasmagorica campagna elettorale.
Se volete tenerci compagnia per evitare la nostra morte per noia, potete scriverci ai nostri profili Instagram (@pietroforti.docx e @simonemartuscelli) o alla mail buoneintenzioninewsletter@gmail.com. Se invece volete prendere in giro con gli amici quei due scemi che ogni giorno cercano di capire la politica italiana con scarso successo, c’è il pulsante in basso.
Iniziamo.
Continua a tenere banco l’affaire rubli ai partiti, e questo è uno dei motivi per cui potremmo decidere di farla finita con questa newsletter. Ci sono dei nuovi capitoli: ieri il presidente del Copasir, Adolfo Urso (Fratelli d’Italia), ha dichiarato che “non esistono notizie” in merito alla presenza di partiti italiani nel report dell’intelligence Usa.
Adolfo URSS non esiste, non può farti del male.
Secondo una “fonte molto autorevole” citata da Repubblica stamattina, tuttavia, l’Italia è presente nel rapporto del National Security Council. Il portavoce del Dipartimento di Stato statunitense, Ned Price, ha affermato che Washington condividerà presto «con i paesi alleati le informazioni classificate di intelligence raccolte sulle attività della Russia per influenzare i processi politici nelle democrazie». Una dichiarazione in linea con l’opinione del ministro degli Esteri Di Maio, che ritiene che presto a Roma arriverà almeno un altro dossier.
L’indiziato numero uno, come vi dicevamo ieri, è la Lega di Matteo Salvini. Su cui aleggiano dubbi sin da un altro rapporto, sempre dell’amministrazione Usa ma stavolta firmato da Josh Rudolph, ex consigliere di Trump, nel 2020.
La situazione in casa Lega sembra così tesa che - sempre su Repubblica - persino il sindaco di Milano Beppe Sala, dopo aver ribadito il suo voto ad un Partito Democratico non certamente in ottima salute, trova il tempo di ipotizzare un possibile crollo della leadership di Salvini dopo il voto: «Il suo potere nella Lega è ancora forte, ma di fronte a un risultato molto negativo della Lega non mi stupirebbe un ribaltone al vertice del partito».
Vorremmo tutti avere il tempo da perdere che ha Sala.
Chi prova a banchettare sulle disgrazie della Lega è, ovviamente, Fratelli d’Italia. Su Domani, Davide Maria De Luca evidenzia come lo stesso presidente del Copasir Urso non sembra aver fatto mistero della propria appartenenza partitica nella gestione di questa vicenda: avrebbe tenuto a raccontare di un biglietto consegnatogli dall’ex ambasciatore Usa alla NATO Kurt Volker (sì, quello che a Repubblica avrebbe parlato di Meloni come indiziata per eventuali rapporti con la Russia) in cui si sottolinea che «Fratelli d’Italia ha zero collegamenti con Mosca», e dalle ultime conversazioni avute con funzionari statunitensi sembrerebbe aver avuto la conferma che per Washington il partito di Giorgia Meloni è “pienamente affidabile”.
Poi oh, ognuno ha qualche amico sbandato nella compagnia.
Tenendo a precisare che la stessa cosa non vale per tutta la coalizione.
I problemi di Fratelli d’Italia invece non vengono dalla Russia, ma da uno stato confinante: il vicepresidente della Commissione europea, il lettone Valdis Dombrovkis, in un’intervista su La Stampa stamattina mette in guardia dai progetti di rinegoziazione del Recovery Plan perché c’è il rischio di perdere i fondi: sono possibili «solo piccoli aggiustamenti», perché «le tempistiche di attuazione sono molto strette».
Una doccia fredda per Fratelli d’Italia che a più riprese, anche se con diversi toni - dalla rinegoziazione alle piccole modifiche - ha espresso la volontà di modificare il PNRR, se non altro per adattarlo alle nuove contingenze economiche e geopolitiche. Sul fronte europeo, insomma, la partita per Giorgia Meloni sembra complicarsi.
Chiusura con una notizia in apparenza slegata dalla campagna elettorale.
Ieri nell’approvazione del decreto Aiuti bis è stata inclusa una deroga al tetto per gli stipendi dei manager pubblici, fissato dal 2014 a 240mila euro annui. Non è chiaro quali siano le circostanze che hanno portato all’inserimento di questo provvedimento nel testo.
Sarà stata la manina.
Draghi si è subito mostrato irritato per la vicenda, e a quanto pare alla fine si è optato per un emendamento che verrà votato presto e sopprimerà questa deroga. Ma a quanto pare dietro la reazione di Draghi c’è anche l’intervento diretto di Sergio Mattarella, che avrebbe giudicato «inopportuna» la misura in un momento in cui il resto della popolazione è alle prese con gli aumenti dei prezzi dovuti alla crisi energetica.
Questa vicenda ci dice una cosa utile da tenere in mente per il futuro: anche se ben nascosto per la gran parte del tempo, il Presidente della Repubblica c’è. Al momento della composizione del nuovo governo sarà a lui che spetterà l’ultima parola, e in situazioni di questo tipo ha già dimostrato di saper imporre la sua parola su nomi (per info, citofonare Paolo Savona) e direzioni politiche (il governo Draghi è nato anche per sua indicazione).
“Chissà, chissà domani
Su che cosa metteremo le mani”
Noi per oggi abbiamo finito, ora torniamo ad organizzare il nostro party di fine campagna. Chissà che poi alla fine non si faccia davvero.
A domani!
✌️